25 Agosto 2024
Turismo
tra Profitto
e Desiderio
Qual è la nostra strategia di fronte ad un sistema
che per fare profitti è riuscito a manipolare
anche i nostri desideri più profondi?
#turismo
#proteste
Anche quest’anno sta finendo il mese delle vacanze dal lavoro, conquistato dai movimenti operai e minacciato dalla precarizzazione neoliberale. Agosto, come sempre, porta con sé un'eterna discussione sul turismo.
Quest’anno la conversazione è risultata abbastanza incandescente, viste le proteste contro il selvaggio turismo di massa in diverse città turistiche spagnole.
Da Maiorca a Barcellona, così come ad Ibiza, gli abitanti autoctoni si sono stancatə di avere a che fare con l’insostenibilità ambientale e i disagi socio-economici causati dal turismo di massa.
Località simili, d’altronde, soffrono il peso della gentrificazione e della crisi abitativa. Nel frattempo, le loro ricchezze naturali sono messe in pericolo dalla turistificazione stessa della città.
Ogni anno decine di milioni di turisti visitano la Spagna – un trend che rimane in aumento nonostante la crisi economica. Il 15,6% della forza-lavoro spagnola è impiegata nel settore turistico (un record che in Europa diventa primato).
Non ci stupisce che simili proteste siano esplose proprio in Spagna.
L’industria del turismo spicca il volo negli anni ‘70-’80. È in questi anni che si verifica l’abbattimento progressivo dei costi di mobilità internazionale, il parziale rinnovamento delle ferrovie e il decollo economico e infrastrutturale dei viaggi in aereo.
I fatti parlano chiaro. In questo articolo, prenderemo in analisi i dati registrati fino al 2015-2016, per evitare di scontrarsi con l’era Covid, e tutti gli stravolgimenti che si è portata dietro.
Nel 2015, il turismo contribuiva al 10% del Pil globale e impiegava il 9% della forza-lavoro (numeri che, Covid o meno, rimangono simili tutt’oggi).
Il turismo globale assorbe un volume economico di 7.600 miliardi di dollari, di cui 1.522 miliardi sono assorbiti dal turismo internazionale e il resto da quello locale.
Giusto per fare un piccolo confronto, i nostri nemici di classe ci dicono che il costo della Transizione Ecologica ammonterebbe a 3.500 miliardi di dollari annui. Meno della metà del settore turistico quindi.
Al contrario del turismo, tra l’altro, questi soldi ci tornerebbero pure indietro grazie all’abbondanza economica che verrebbe sprigionata dalla transizione.
Complessivamente, nel 1950 i viaggiatori internazionali erano 25,3 milioni; poi 69,3 milioni nel 1960; 158,7 milioni nel 1970; 204 milioni nel 1980; 425 milioni nel 1990; 753 milioni nel 2000; 946 milioni nel 2010; 1 miliardo e 186 milioni nel 2015.
Una persona su 7 è un turista.
Le persone migranti – questa piaga sociale che tanto fa piangere i reazionari – sono meno di 4 su 100.
Insomma, se vogliamo davvero parlare di “invasioni”, il turismo sarebbe un ottimo punto da cui partire. Le radici di questa industria, tra l’altro, poggiano proprio sui privilegi coloniali di borghesi e aristocratici, che andavano a visitare le nazioni colonizzate per puro intrattenimento – un retaggio che ancora ad oggi non siamo riusciti a scrollarci di dosso.
Il turismo di massa e la turistificazione delle città dilaniano le metropoli, girano il coltello nella piaga della crisi abitativa ed esasperano l’ipocrisia della gestione del welfare cittadino.
Quando si fiuta l’odore di profitto facile, i comuni trovano sempre i soldi per finanziare servizi pubblici relativamente efficienti; quando invece si tratta di occuparsi di chi abita in città per tutto l’anno, la sua forza-lavoro, la metropoli cambia atteggiamento, e mostra il suo vero volto: una maschera sprezzante, fatta di precarietà lavorativa e inaccessibilità economica.
Nonostante tutto, però, il turismo è generalmente sentito come una forza “positiva”(per chi?), che crea “posti di lavoro” (che genere di posti di lavoro?) e “valorizza il patrimonio nazionale”.
In realtà, questa industria è un’ennesima opera di parassitaggio del capitale, costruita sulle spalle di un desiderio reale delle persone – quello di viaggiare e visitare nuovi luoghi. Se il grande pubblico ancora non l’ha capito, è anche colpa nostra. Evidentemente, non ci siamo spiegatə bene.
Le Contraddizioni del Turismo
Il turismo di massa rappresenta in pieno il modello di struttura industriale post-Fordista.
Se le fabbriche controllavano ogni fase del processo produttivo e possedevano tutti gli input di produzione, il turismo fa da tramite per una serie di altre industrie (agenzie di viaggio, compagnie aeree, Real Estate, industria dello svago…), così che riescano a comunicare tra loro in modo profittevole.
Il turismo è assetato di plusvalore sotto forma di rendita. In questo senso, assomiglia molto alle Piattaforme Digitali, che infatti sono le industrie dominanti di oggi, l’equivalente delle fabbriche fordiste negli anni ‘50-’60 e ‘70.
Le peculiarità e le contraddizioni del turismo sono dunque il risultato delle dinamiche post-fordiste.
"Il turismo è una merce complessa."
Che tipo di merce vende il turismo? Rispondere a questa domanda è sorprendentemente difficile.
Quando va in vacanza, il turista sta comprando un’esperienza suggestiva? Oppure del tempo libero? Sta comprando i servizi di trasporto ed accoglienza? Si comporta da “city-user”, oppure il suo breve passaggio lo mette in una posizione completamente diversa?
Il turismo è una merce complessa, che abbraccia un po’ tutte queste descrizioni.
L’industria turistica mette in vendita l’esclusività e la rarità di un posto (la famosa località da non perdersi), ma anche il conformismo sociale in quanto un luogo è turistico quando attrae decine di milioni di persone non-autoctone.
Il Fordismo produceva grandi quantità di merci standardizzate, mentre il Post-Fordismo (che dà forma al turismo) centellina l’Abbondanza potenziale e la trasforma in scarsità artificiale su misura del singolo consumatore.
Esso produce dunque merci e mercati “on-demand” e personalizzati.
Tra chi, anche nella stessa città, preferisce l’albergo piuttosto che l’agriturismo, il centro storico piuttosto che la movida, l’esperienza turistica è sempre “unica”, e al tempo stesso socialmente conforme.
Il settore si muove sotto la spinta dell’abbattimento repentino dei costi di mobilità personale, alla ricerca di una “nuova” meta, autentica, scarsa e intatta.
"Il turismo e l’accumulazione di capitale diventano i peggiori nemici di loro stessi."
Questa espansione, però, porta ad una continua saturazione del turismo stesso. La città “autentica”, se vuole attrarre nuovi turisti, è costretta ad ergere processi di industrializzazione e servizi di larga scala. Questi processi intaccano inevitabilmente la presunta purezza del luogo.
Per quanto le città provino a reinventare costantemente la loro autenticità, prima o poi le città intatte finiscono.
In questo senso, il turismo funziona esattamente come i processi di accumulazione di capitale.
Per poter assorbire l’aumento della produzione c’è bisogno di espandere i mercati e trovarne di nuovi, capaci di realizzare alti profitti a parità di investimento (in gergo economico, alti saggi di profitto).
A furia di attrarre nuove imprese e nuovi investimenti, però, la competizione abbassa il saggio di profitto e questi nuovi mercati si saturano.
Quando le risorse naturali si consumano, nuovi mercati diventano sempre più difficili da inventare e costruire.
Attraverso i loro sforzi ad espandersi, il turismo e l’accumulazione di capitale diventano il peggior nemico di loro stessi.
Nelle singole città, il turismo diventa un motore propulsore della gentrificazione, spaccando in due la città e lo spazio pubblico.
Da una parte c’è la città turistica, con servizi pubblici su misura e assistenza e cura personale del turista; dall’altra, c’è la città reale, fatta di precarietà, crisi abitativa e tagli decennali su welfare e assistenza pubblica.
Il turista, specie di classe medio-bassa, può permettersi di vivere in condizioni economiche lussuose rispetto a quelle a cui è abituato soltanto per 2 o 3 giorni all’anno (al massimo una settimana), in una città che non è la sua.
È decisamente più vivibile visitare una località lontana, piuttosto che passare il tempo nella città in cui si lavora e si contribuisce attivamente alla produzione della ricchezza sociale.
Eppure nelle grandi città il flusso di turisti annui spesso supera il numero di abitanti dei suoi abitanti. Ottanta milioni di turisti internazionali visitano ogni anno le città francesi, mentre in 50 milioni quelle italiane.
Se il capitale riesce a sostenere l’infrastruttura socioeconomica che consente ai turisti di vivere nel benessere, vuol dire che potrebbe essere in grado di fare la stessa cosa per i suoi abitanti.
Il sistema dunque nega il benessere collettivo abbondante e quotidiano per concedere ai turisti un assaggio di libertà una volta l’anno.
Questa dinamica, risulta molto conveniente per le assurde logiche di profitto.
La città turistica funziona come una famiglia disfunzionale, dove il rapporto tra genitori e figliə è sempre precario ed abusivo, eccetto quando c’è un ospite a tavola. In quel momento e solo in quel momento, la famiglia si trasforma in un ambiente caloroso, pieno di sorrisi tirati e facce lavate.
Pur di negarci la possibilità di avere accesso al benessere comune, il capitalismo ha turistificato e gentrificato le città, edificando assurde crisi abitative e tagliando i fondi per la tutela di chi lavora.
Il turismo, insomma, regala piccoli assaggi di libertà mentre si impegna a reprimere con ogni sforzo il lusso comune.
Economia del Desiderio
Il turismo è l’industria simbolo del desiderio sociale manipolato dal capitalismo.
Come abbiamo visto, il turismo vende una merce che sfugge alle categorizzazioni più superficiali; dà in affitto pezzi di città, propone esperienze ritenute suggestive, concede il tempo libero necessario a visitare una particolare località.
Il turismo mercifica un desiderio, quello di viaggiare e conoscere altri posti durante il proprio “tempo libero”.
L’assaggio di libertà a cui abbiamo accennato sopra viene usato sapientemente dall’industria, che manipola i nostri desideri per renderli compatibili con una merce che, guarda caso, è già pronta all’uso.
Le pubblicità sono oculate per alimentare una sensazione di urgenza, la necessità di dover prenotare subito per evitare che l’occasione sfugga.
La scarsità artificiale è accompagnata da storie suggestive sulla presunta autenticità di luoghi vicini e lontani. Il tutto è costruito a tavolino per creare un un tipo di domanda per cui il capitale ha già pronta l’offerta.
Quel che è peggio, il desiderio che muove l’industria del turismo è un risultato dei problemi strutturali del capitalismo, che come sempre sfrutta ogni occasione per percularci.
Le persone, infatti, sentono il bisogno di staccare dalla propria città perché questa economia ci costringere a lavorare a ritmi insostenibili (e non necessari), causando inevitabilmente un’epidemia di burnout; la libertà è accessibile solo in piccole dosi – un assaggio alla volta – perché il capitale ha monopolizzato certi standard di vita solo per una ristrettissima oligarchia.
"Ogni desiderio è sociale. Non esistono desideri veri o falsi."
La critica e la lotta all’industria del turismo ci obbligano a ripensare la concezione che abbiamo di desiderio e del suo perverso rapporto col capitale.
Troppo spesso – implicitamente o esplicitamente – distinguiamo tra desideri reali e desideri imposti (o sociali): da qui la posizione assunta è una sterile “resistenza” contro i desideri imposti dal capitalismo, in favore dei desideri “veri”, generati spontaneamente.
La realtà, però, è molto diversa.
Ogni desiderio è sociale. Non esistono desideri veri o falsi. La società in cui viviamo influenza per forza di cose i nostri desideri, e ne crea costantemente di nuovi.
All’aumentare della ricchezza materiale a nostra disposizione, l’umanità “sblocca” dei nuovi desideri, che prima non erano nemmeno contemplati perché fuori scala rispetto alle potenzialità produttive.
Questi desideri inizialmente sono solo abbozzati. Nessuno si immagina la “logistica” tecnica e sociale con cui verranno esauditi; piuttosto, ci si rende pian piano conto che essi potrebbero diventare realtà.
Il sistema non manipola il desiderio in sé, ma definisce i vincoli e le modalità reali entro il quale può concretizzarsi. In poche parole, controlla il modo in cui esso si realizza. Su questa base si edifica la lotta politica.
Come diamo vita, praticamente, ai nostri desideri? La risposta a questa domanda riflette il conflitto sociale sottostante che anima la nostra società.
"Come diamo vita, praticamente, ai nostri desideri?"
Nel caso del turismo, l’abbattimento dei costi di mobilità internazionale ha “sbloccato” un nuovo desiderio: quello di viaggiare lontano e visitare altre città a prezzi più abbordabili, accessibili anche a persone di classe medio-bassa.
È qui che entra in gioco la politica: quali relazioni, convenzioni e dinamiche economico-sociali si formano per poter permettere la riproduzione di questo desiderio?
La nostra lotta politica non deve reprimere un “falso desiderio” (nessun desiderio è falso), ma piuttosto agganciarsi ai desideri collettivi reali e mostrare una via alternativa per realizzarli, sostenibile sia in termini culturali che economici.
Altrimenti, il campo del desiderio – e della sua manipolazione – resterà per sempre nelle mani dell’1%.
Come Superare l'Empasse?
Quest’articolo non vuole essere una difesa dei turisti.
Il turista seriale è spesso una persona molto classista, convinta di essere più in alto nella gerarchia sociale di quanto lo sia davvero; soprattutto, è culturalmente e socialmente noncurante, disinteressato a comportarsi con rispetto nei confronti degli ambienti che va a visitare.
Persone del genere potrebbero sentirsi dire che dietro casa loro c’è una città costruita nel 2000 a.C., tutta in oro e totalmente autentica, e ci cascherebbero senza farsi domande.
Stiamo parlando molto spesso di veri e propri idioti, nel senso della parola usato dai greci, cioè di persone che agiscono contro i loro stessi interessi particolari – i greci avevano la coscienza di classe anche nei loro insulti.
Assistere ai “temibilissimi attacchi” dei residenti delle città contro i turisti è indubbiamente catartico, e sicuramente contribuisce a riportare a galla il problema. Staremmo mentendo se dicessimo di non aver goduto profondamente per le proteste contro il turismo di massa di “semi-lusso” (o di lusso sfrenato), in Spagna e altrove.
Se però attaccare i turisti rimane la nostra unica arma, ci stiamo condannando ad un suicidio politico.
Da una parte, infatti, questo tipo di contronarrazione è poco funzionale, e ci dipinge come i soliti rompicoglioni che rosicano davanti a chi vuole godersi la vita.
Dall’altra, prendersela col consumatore e non col sistema produttivo vuol dire ammettere una sconfitta. Significa dichiararsi incapaci di fornire un’alternativa seria a quella offerta dal capitalismo per concretizzare il nostro desiderio di viaggiare ed esplorare il mondo.
Il capitalismo continuerà a monopolizzare i desideri sociali, mettendoli in pratica alle sue condizioni.
"Se al burnout generale delle persone aggiungiamo anche i sensi di colpa, stiamo firmando la nostra condanna a morte."
Potremmo fare lo stesso discorso per le Olimpiadi (di cui abbiamo parlato nella nostra “Distopia in Tempo Reale”). È inutile sbattere la testa cercando di “decostruire” un “desiderio imposto”, e trattare le Olimpiadi come se fossero un problema in sé.
Piuttosto, bisognerebbe sottolineare che il capitalismo ci ha rovinato un altro desiderio: noi volevamo goderci lo sport – o la visita di altri luoghi – e il capitale ci ha costruito attorno processi di speculazione, gentrificazione e sfruttamento di massa.
D’altronde pensiamo davvero che nell’Abbondanza Rossa, nell’era post-capitalista, la gente non viaggerà? Che non avrà voglia di visitare altri posti nel (maggior) tempo libero di cui dispone?
Al contrario, con la diminuzione delle ore di lavoro quotidiane e l’aumento del reddito, questa dinamica aumenterà sia in termini di persone impiegate che di tempo speso.
Qual è l’alternativa? Cosa proponiamo alle persone che vogliono semplicemente staccare dal lavoro, pigliare un volo e godersi 4 o 5 giorni di relax in un’altra città che, per qualsiasi ragione, le affascina?
Se al burnout generale delle persone aggiungiamo anche dei sensi di colpa infondati su come spendono il loro sacrosanto tempo libero stiamo firmando la nostra condanna a morte
Il messaggio dovrebbe essere: ci sarebbe un modo alternativo, migliore per soddisfare i nostri desideri, se solo il capitale non fosse in mezzo al cazzo a rovinare tutto.
"Il capitale non ci sta viziando: solo l’Abbondanza Comune può risolvere il problema."
Per costruire un'alternativa chiara e comprensibile c’è bisogno innanzitutto di conoscere bene le vere dinamiche economiche sottostanti a questa industria, compresa la logistica tecnica.
Concretamente, come fa il capitale a sostenere, riprodurre e addirittura espandere il turismo?
Come si dà vita ad un’infrastruttura tecno-economica in grado di spostare ogni anno più di un miliardo di persone in miriadi di luoghi diversi della Terra?
Quante ore di lavoro vengono spese? Quali sono le tecnologie dominanti, su cui si fonda la produttività di questa industria?
Come è organizzata la logistica e la sua sostenibilità materiale e climatica?
Soprattutto, serve abbandonare una retorica di sottofondo che purtroppo permea i Movimenti, secondo la quale il capitalismo ci “vizia” troppo, e dunque per salvaguardare il Pianeta, la cultura e i diritti umani, c’è bisogno di tornare a dei livelli precedenti di tecnologia e di potenzialità produttive.
Il turismo – e fondamentalmente tutte le cose che non siano mangiare e vestirsi – viene visto come “un lusso che non possiamo permetterci” davanti ad un Pianeta che brucia.
Come abbiamo già visto in un altro articolo, il problema non è la produzione assoluta (in questo il Movimento Degrowth a nostro parere sbaglia) ma è la disponibilità reale delle risorse impiegabili. Il problema è la dipendenza del capitale da risorse naturali scarse, le uniche funzionali al mercato.
Non solo l’austerità morale non è la soluzione, ma affonda il coltello nella piaga.
Solo l’Abbondanza Comune – intesa come la capacità di produrre ricchezza consumando poche risorse naturali e umane – risolve il problema alla radice.
L’industria del turismo ci ricorda che è arrivato il momento di cambiare approccio e strategia politica. La continua moralizzazione delle “scelte” delle persone – che in mancanza di alternative reali sono solo illusioni di scelta – esemplificano l’atteggiamento di una sinistra radicale che ha perso ogni capacità di modificare realmente il mondo in cui opera.
Se vogliamo che la gente faccia scelte diverse, dobbiamo proporle, metterle in campo, farle diventare popolari e organizzare il conflitto di classe attorno ad esse.
Se non siamo in grado di proporre un’alternativa alle dinamiche del capitale, in grado di soddisfare i desideri sociali più diffusi, continueremo ad essere i “perdenti morali” della politica, altro che rivoluzionariə.
E sinceramente noi di perdere ci siamo stancatə.