01/08/2024
La Transizione [Eco]nomica
La Transizione Ecologica non significa diventare tutti poveri, ma felici. Significa salvare il pianeta mentre liberiamo abbondanza e benessere per tuttə.
01/08/2024
La Transizione [Eco-nomica]
La Transizione Ecologica non significa diventare tutti poveri, ma felici. Significa salvare il pianeta mentre liberiamo abbondanza e benessere per tuttə.
Tempo di lettura: 25 minuti
Il primo agosto è l’“Earth Overshoot Day”, l’infame giorno che segna il momento in cui l’umanità supera il consumo di risorse che la Natura può darci per l’anno intero.
Il trend è chiaro: fino agli anni ‘70 consumavamo giusto giusto l’equivalente di una Terra all’anno. Nel 2024 servirebbero quasi due Terre per sostenere i ritmi della nostra produzione economica.
Se c’è un giorno simbolo del fallimento del nostro sistema sociale, è l’Earth Overshoot Day.
Il capitalismo ha esacerbato le disuguaglianze sociali più di ogni altro sistema economico, trascinandole ad un livello pietoso mai prima registrato nella Storia. Il migliore dei mondi possibili affama un miliardo di persone nonostante ci sia cibo in abbondanza per tuttə, ci costringe a lavorare più di quanto facessero i servi della gleba otto secoli fa, e ci abbandona sistematicamente in un individualismo asfissiante, che scoraggia la solidarietà e la cooperazione.
Non solo – nel realizzare questo spettacolare fallimento, il capitalismo ha portato l’intero sistema naturale al collasso.
La crisi climatica è il tema più caldo degli ultimi decenni. È stato concettualizzato principalmente dai Movimenti post-68, ma la sua influenza ha scalato presto le gerarchie sociali, arrivando fino ai piani alti.
Nessun politico – negazionista o opportunista che sia – può semplicemente evitare la questione. Al massimo ci gira attorno.
Come spesso accade, il Movimento ha avuto una grande intuizione, nata da nuove scoperte e da un colpo di genio collettivo; l’intuizione ad ha raggiunto popolarità pubblica; il potere si è trovato costretto ad affrontare il problema, ed ha assorbito questa innovazione politica nella sua retorica, lasciandoci con l’illusione che prima o poi farà qualcosa al riguardo.
Il Movimento, per l’ennesima volta, ha dato vita ad un mostro più grande di sé, che le sue strutture sociali non sono in grado gestire. Il potere aspetta solo l’occasione giusta per appropriarsi della popolarità delle nostre lotte e usarle senza pietà contro di noi.
Parzialmente, questa situazione è anche colpa nostra. La questione climatica è diventata mainstream per la prima volta tra gli anni ‘90 e i 2000, per poi tornare pesantemente alla ribalta nell’ultimo decennio. Ed è proprio questo il periodo in cui gli ultimi rimasugli delle organizzazioni popolari di larga scala crollano su se stessi.
Tra sindacati e partiti che vengono distrutti, sciolti e assorbiti dal neoliberismo, e una sinistra post-68 che si è esplicitamente rifiutata di costruire istituzioni di Contropotere durature, globali e coordinate, la potenza di fuoco dei Movimenti si è pian piano spenta.
Anche la migliore delle idee finisce per rimanere una goccia in mezzo ad un mare di informazioni se non c’è una piattaforma sociale capace di costruirci intorno una narrazione accessibile a tuttə.
I nostri messaggi dovrebbero essere parte di un discorso più ampio, che permetta al grande pubblico di distinguere automaticamente un serio impegno per il clima da una marchettata zeppa di greenwashing.
Nonostante il tema della crisi climatica sia molto sentito, e nonostante tantissime persone si siano convinte che questa sia la questione più importante del momento, il discorso pubblico a riguardo è comunque impostato in modo assolutamente surreale.
Da una parte ci sono i Governi e le Multinazionali, che, in preda ad un’isteria collettiva, spendono miliardi in propaganda per convincerci che il problema siamo noi che consumiamo ciò che inquina, e non le Multinazionali che producono ciò che inquina.
I media e i burattini del capitale hanno passivamente supportato questa narrazione, legittimandola in pieno.
Dall’altra, i Movimenti parlano di tutt’altro, ripetendo il solito mantra, non si può produrre all’infinito in un pianeta finito.
Da qui emerge una dicotomia tra crescita economica (che le persone vedono come simbolo di ricchezza generale) e transizione ecologica.
Sembrerebbe di dover scegliere. O una, o l’altra.
Nella mente delle persone si è creata un’opposizione – “un trade-off”, un “aut-aut”– tra benessere collettivo e cura ecologica.
Con il nostro articolo, intendiamo smontare questa impostazione al problema, al fine di sciogliere dei nodi su una potenziale crisi d’identità all’interno dei Movimenti.
La Transizione Ecologica e la Transizione Economica in realtà sono alleate naturali, non solo perché generati da una causa comune (i malfunzionamenti del capitalismo), ma anche perché si muovono nella stessa direzione.
Verso l’Abbondanza Rossa.
La Crisi d’Identità
Facciamo un piccolo passo indietro.
Che cosa intendiamo con crisi d’identità? Quando le pratiche e/o le teorie di un certo gruppo – in questo caso dei Movimenti – entrano in contraddizione, c’è la possibilità che inizino a macerare e marcire all’interno delle nostre strutture sociali se non vengono affrontate e sciolte alla radice.
Punto uno: il Movimento post-capitalista è teso a creare un sistema più produttivo di quello odierno, più ricco.
Per moltə marxistə, la transizione dal capitalismo al comunismo aveva il compito di liberare le potenzialità nascoste della tecnologia.
Questa convinzione è stata tramandata nel corso del tempo fino ai giorni nostri. Utilizzare l’apparato produttivo esistente e delle Nuove Istituzioni al fine di generare più ricchezza è un progetto valido, ed una sostanziale parte del Movimento lo considera ancora adesso positivo.
Punto due: un’altra parte del Movimento è generalmente molto critica della tecnologia. Questa seconda tradizione è dispersa in una costellazioni di teorie differenti, e nelle sue espressioni più settarie ha dato vita ai movimenti luddisti e anti-industriali.
L’idea si basa su un’analisi molto specifica della tecnologia, che si concentra
primariamente sulla sua funzione distruttrice e sugli aspetti di controllo nei confronti della classe lavoratrice.
La risposta diventa dunque disfarsi della tecnologia, de-crescere economicamente e tagliare i consumi superflui, come se il capitalismo ci avesse viziato troppo.
Queste prospettive si scontrano troppo spesso all’interno del Movimento, specie in momenti di incontri e auto-formazioni. La sezione più “economista” immagina un futuro ad alta intensità tecnologica e poco lavoro, e quella ecologista descrive il domani come una fotocopia dei commons prima che venissero espropriati dai capitalisti.
“Che fare?”, diceva Lenin. Come sciogliamo questo intricato puzzle una volta per tutte? Come vogliamo costruire il prossimo futuro? Che rapporto dovremmo avere con la tecnologia, e come possiamo integrarlo nel nostro rapporto con la Natura?
In poche parole – decrescita o crescita sostenibile?
Quest’ultima domanda, ancora una volta, si basa su una falsa dicotomia. Per salvare il Pianeta non dobbiamo accontentarci di meno di ciò che abbiamo. Un progetto del genere non solo è deprimente, ma è inutile ed errato.
Cosa Stiamo Sbagliando
Nella sezione precedente, abbiamo parlato di due diversi atteggiamenti che il Movimento assume nei confronti della tecnologia.
Ad oggi, la strada che va verso l’abbandono della tecnologia è quella che raccoglie più consensi. L’idea è di sostituirla con attività economiche ad alta intensità lavorativa, in un’utopia pre-capitalistica e non-industriale.
Una posizione del genere, almeno a nostro parere, non ha senso.
Dov’è che tracciamo la linea, come facciamo a sapere se siamo “regrediti” abbastanza? Quand’è che la tecnologia smette di esercitare su di noi un controllo spropositato e distruttivo?
La linea è consumare solo le risorse annue che la Terra ci offre? L’ultima volta che è successo erano gli anni ‘60.
Davvero la scelta è tra vivere in un’era pre-Internet, priva degli strumenti che abbiamo sviluppato post-anni ‘70, o morire bruciatə vivə?
Al tempo stesso l’atteggiamento più aperto alle potenzialità della tecnologia finisce per avere degenerazioni produttiviste e arriva, nelle sue versioni più surreali, a diventare scettico dell’intera questione del riscaldamento globale.
Proviamo allora a scomporre questo puzzle pezzo per pezzo.
Per prima cosa, dobbiamo indagare il rapporto che è emerso tra l’umanità e la natura
Nessun essere vivente – umani inclusi – è in grado di sopravvivere a prescindere dalla natura. Se gli animali devono adattarsi e seguire passivamente le sue leggi, noi abbiamo da sempre avuto un raggio d’azione più ampio.
Un tempo eravamo fondamentalmente schiavi della natura, come ogni altro essere vivente. Le sue regole e i suoi processi di rigenerazione operavano a tutti gli effetti come un’imposizione sulla vita di chiunque.
Poi abbiamo iniziato a tentare di prevederne gli effetti, o di controllarla in alcune aree specifiche. Le abbiamo dato degli attributi spirituali, l’abbiamo trattata con terrore e rispetto, amarezza e infine presunzione.
Ad oggi, infatti, il rapporto che abbiamo con la natura è completamente degenerato e, addirittura, si è ribaltato rispetto alle nostre condizioni originarie: adesso siamo noi a schiavizzare la natura, piegandola alle nostre regole.
L’Earth Overshoot Day è il simbolo perfetto di questo brutale sfruttamento.
L’umanità e il sistema da lei creato strappano dalla natura più risorse di quanto ci possa realmente offrire. In cambio, noi non le diamo indietro niente, se non distruzione e caos. Sostanzialmente, ci comportiamo da padroni.
Questo rapporto è tenuto in piedi dalle forze impersonali del capitalismo.
Le risorse naturali di tutto il Mondo sono parte della macchina del capitale, la quale, per sopravvivere, ha bisogno di crescere ad un ritmo sempre maggiore.
Le risorse naturali invece – come i gas naturali, gli alberi, l’acqua, il petrolio, l’uranio… – si rigenerano secondo ritmi fissi e in quantità costanti.
Per forza di cose, prima o poi i ritmi di accumulazione del capitale finiranno per superare i tempi complessivi di rigenerazione della natura. Questa contraddizione ha innescato il collasso climatico, la famosa Sesta Estinzione di Massa (la prima ad essere artificialmente prodotta).
Volente o nolente, l’Earth Overshoot Day va al nocciolo della questione: il capitalismo vuole molto di più di quel che la natura può fisicamente offrirci.
Qui, però, va fatta una puntualizzazione cruciale.
Cosa vuol dire “chiedere più di quel che la natura può offrire”? Superare il ritmo della rigenerazione naturale, d’altronde, è un concetto fin troppo vago.
I ritmi di rigenerazione della natura sono costanti, sì, ma per ogni elemento questa costante ha un valore diverso. Alcune risorse si rigenerano in sei mesi, altre in un milione di anni, e altre ancora semplicemente non possono rigenerarsi.
Le risorse abbondanti sono quelle che non dobbiamo sforzarci per ri-produrre; un bene usa-e-getta può durare per sempre se non inquina e si rigenera spontaneamente. Le risorse con uno sforzo di riproduzione particolarmente alto, invece, si dicono scarse.
Il capitalismo preferirà sempre investire nelle risorse che non si rinnovano (oppure che lo fanno in tempi esageratamente lunghi) proprio perché sono scarse. La scarsità economica – naturale o artificiale che sia – è una condizione fondamentale per il sistema, poiché non è possibile monopolizzare un bene facilmente riproducibile.
Nello sfruttare queste specifiche risorse oltre i loro limiti, il capitalismo ci nega la possibilità di creare ricchezza domani. Le riserve per il futuro sono state saccheggiate e distrutte per pura ingordigia, e la situazione non accenna a migliorare.
Ogni anno, Il Capitale strappa dalla natura più di quel che lei può dare, e in qualche modo il 99% della popolazione continua comunque a impoverirsi.
Le risorse rinnovabili non sono digeribili per il capitalismo. Anzi, la loro presenza rischia di corroderne i meccanismi.
Una risorsa facilmente riproducibile genera un’improvvisa abbondanza, che il mercato capitalistico non è assolutamente in grado di gestire.
È fondamentale che rimanga un’eccezione piuttosto che una regola.
Mettiamo di essere un capitalista. Cerchiamo progetti pratici che si occupino della produzione energetica e della sua conseguente distribuzione. Un bel giorno uno dei nostri ingegneri ci presenta un’idea all’avanguardia: il suo macchinario ricava energia dal Sole (o dalle maree, o dal vento), ed in poche ore è in grado di soddisfare la domanda annua di energia globale.
La proposta è interessante. Al livello razionale, è ottima.
Certo, costruire infrastrutture tecniche nuove è molto costoso. Superata questa prima fase, però, nessuno dovrebbe più preoccuparsi di pagare le bollette, e il mondo intero comincerebbe a produrre energia in modo sostenibile.
C’è solo un piccolo problema: se la domanda annua dell’intero pianeta venisse soddisfatta nel giro di qualche ora, la competizione del mercato ridurrebbe a zero il prezzo dell’energia, eliminando dunque ogni possibile margine di profitto.
La logica del profitto non dà alcun valore alla proposta del nostro ingegnere. Per quale ragione dovremmo costruire per vent’anni un’infrastruttura che produce una merce abbondante e dunque gratuita? Cosa torna indietro al povero capitalista?
L’abbondanza non ripaga gli investimenti, ma risponde alle necessità delle persone. E questo al capitale non va giù.
É praticamente impossibile promuovere l’energia rinnovabile senza mettere in discussione il sistema capitalistico. Chi, nonostante tutto, ci prova, spesso si limita ad affermare che le rinnovabili “costano meno”, senza rendersi conto che per il capitale il problema è proprio questo. Dove c’è Abbondanza, c’è necessariamente anticapitalismo.
In un colpo solo, l’incentivo al profitto ci ha impedito di vivere in un mondo accogliente ed accessibile, e ci ha intrappolato in una società ecologicamente insostenibile.
È vero, di conseguenza, anche il contrario: investire nella liberazione dell’Abbondanza può essere un modo per salvare il Pianeta mentre costruiamo più benessere.
Per tornare da dove eravamo partiti, la Transizione Ecologica senza anticapitalismo è una pura illusione tecnocratica. Questo, però, non significa che la rivoluzione debba necessariamente implicare l’abbandono della tecnologia e della ricchezza accumulata in centinaia di millenni di storia umana.
Il problema non è il consumo di per sé, ma le risorse che scegliamo di consumare, ed il modo e i tempi in cui scegliamo di consumarle.
Non esiste un livello di energia “tollerabile”, abbastanza semplice da esprimere in un numero da non sforare.
Piuttosto, dobbiamo creare nuovi incentivi economici, in grado di stabilire delle priorità nuove, liberare abbondanza sostenibile, e rimuovere la distruzione generata dalle logiche di profitto.
L’uso “produttivo” delle risorse si concentrerebbe su quelle abbondanti, e lascerebbe in pace quelle scarse.
È fondamentale riprogrammare il nostro rapporto con la Natura: da uno di schiavitù, ad uno di Mutuo Soccorso.
Il Mutuo Soccorso Umanità-Natura
Partiamo da un presupposto: l’umanità è un sottoinsieme interno alla natura.
Siamo parte integrante del sistema naturale, ed il nostro unico vantaggio è una maggiore capacità di autodeterminare le nostre condizioni di vita rispetto al resto degli esseri viventi.
È proprio questo privilegio ad averci messo nelle condizioni di distruggere il pianeta. Se oggi vogliamo invertire la Sesta Estinzione di Massa, dobbiamo metterci in discussione e costruire un rapporto sociale nuovo, positivo e costruttivo con la natura. Una forma di Mutuo Soccorso.
Il Mutuo Soccorso è una rete di rapporti tra parti differenti, basato sulla cooperazione tra i gruppi coinvolti. Idealmente, le capacità di uno rispondono alle esigenze di un altro e viceversa. Si tratta del caro vecchio concetto di cura reciproca: una volta io aiuto te, poi tu aiuti tizio e tizio aiuterà me. Il ciclo continua all’infinito.
Per dirla à la Marx: ad ognuno secondo le sue necessità, da ognuno secondo le sue capacità”
Il rapporto che il capitalismo ha con la natura è diametralmente opposto al Mutuo Soccorso.
Ad oggi, l’umanità conosce la natura nei minimi dettagli e sta utilizzando questa conoscenza per sfruttarla e distruggerla nel profondo.
L’umanità si è emancipata da praticamente tutti i vincoli che la Natura le ha imposto: sappiamo come affrontare il problema della limitata reperibilità di cibo, delle temperature estreme e delle carestie naturali. Al contempo, però, abbiamo mandato all’aria tutti i delicati equilibri su cui poggia la riproduzione della natura da miliardi di anni.
Il corpus di conoscenza che abbiamo a disposizione ci permette di prevedere il comportamento naturale con un’accuratezza estranea ad ogni altra epoca storica. Invece di utilizzare questo privilegio per capire come agire in modo più sostenibile, ci siamo crogiolati nell’illusione di poter dominare la natura, e l’abbiamo piegata senza pietà alle logiche autodistruttive del profitto.
Forzare i limiti ci ha insegnato tanto sul funzionamento del sistema naturale, almeno come effetto collaterale. Certo, nel processo sono state erose diverse culture e con loro le rispettive interpretazioni del rapporto uomo-natura, ma distruggendo la Natura l’abbiamo trasformata in un libro aperto.
D’altronde, questo è il motivo per cui possiamo renderci conto che stiamo bruciando il Pianeta.
In questa contraddizione sta il seme che farà fruttare il Mutuo Soccorso. Questo è il modo più costruttivo per usare il privilegio di cui parlavamo prima.
Se l’umanità è l’unica specie vivente ad aver sviluppato la capacità di prevedere e determinare i processi naturali su larga scala, è anche l’unica specie in grado di capire cosa serve alla natura. Al contempo, abbiamo bisogno di un pianeta sano per sopravvivere.
Questa dinamica è perfetta per instaurare un rapporto di Mutuo Soccorso.
Il nostro progetto, però, ha bisogno di molto impegno per risultare duraturo. Il Mutuo Soccorso diventa facilmente un’arma a doppio taglio quando non è pianificato in modo lucido, democratico e collettivo.
Il terreno sociale dev’essere aggiustato in modo che ogni necessità venga coperta e nessuna persona subisca un carico sproporzionato di lavoro o, viceversa, campi sul lavoro degli altri.
Tra gli esseri umani quanto con il resto degli esseri viventi, quest’aggiustamento non è spontaneo né intuitivo.
Una cosa, però, è certa: più abbondanza c’è, meno faticosa ed estenuante diventa la produzione, più è facile alimentare e riprodurre il Mutuo Soccorso e quindi un rapporto sostenibile e costruttivo con la natura.
Ancora una volta, contro ogni aspettativa, l’equazione regge: la Transizione Economica e quella Ecologica vanno di pari passo.
È arrivato il momento di entrare nel dettaglio. Come si articolerebbe un rapporto del genere? Quali sarebbero quei processi e meccanismi impersonali e sistemici che connettono l’Abbondanza Rossa e la Transizione Ecologica?
Abbondanza e Transizione Ecologica
Come abbiamo visto durante tutto l’articolo, il Mantra “Non si può produrre all’infinito in un Pianeta finito” non va al nocciolo della questione.
Il problema non sono le quantità assolute, ma la priorità spontanea che il capitalismo dà alle risorse scarse rispetto a quelle abbondanti.
Come Movimento, la nostra strategia dovrebbe essere finalizzata a rafforzare le potenzialità emancipative dell’apparato produttivo odierno e ad erodere tutti i processi oppressivi generati dal sistema.
La produzione economica si basa su incentivi e vincoli che andrebbero ri-programmati alla radice. Oggi, il sistema è incentivato dalla massimizzazione del profitto ed agisce entro i limiti (i vincoli) dei costi privati, che vanno mantenuti bassi.
Per noi, l’incentivo dovrebbe essere il risparmio di lavoro collettivo, e il vincolo la minimizzazione dei costi sociali.
I costi sociali sono i costi reali della produzione, quelli subiti da tutta la popolazione e non solo dall’1%. Il costo di una risorsa, ad esempio, implica anche i danni potenziali che il suo consumo potrebbe avere sulla salute umana e del pianeta, e tiene conto di quanta ne rimane per il futuro.
In questi termini, una risorsa non rinnovabile finirebbe per avere un costo esorbitante, mentre l’energia rinnovabile diventerebbe praticamente gratuita.
L’incentivo a risparmiare lavoro collettivo invece, è funzionale a costruire il vero valore della ricchezza sociale.
Nel capitalismo la ricchezza è privata e appare sotto forma di profitto. Nell’Abbondanza Rossa la ricchezza è collettiva, e si manifesta nella capacità di godere dei frutti della produzione abbondante con sempre meno sforzo.
Se il nostro obiettivo è risparmiare lavoro, ci concentreremo sulle tecnologie che ci rendono realmente più ricchi, quelle che fanno faticare meno lə lavoratorə.
La produzione – piegata sotto l’influenza di queste nuove regole – è forzata a produrre più abbondanza per tuttə all’interno dei limiti reali della rigenerazione naturale. Passeremmo da una market economy a una resource-based economy.
Come si articolerebbe un rapporto del genere nel concreto?
Oltre a riconvertire tutte le industrie verso metodi di produzione ad impatto zero, il nuovo apparato produttivo sarebbe incentivato a ricavare energia da processi naturali che esistono a prescindere dell’attività umana, in modo tale da ridurre il lavoro collettivo e il consumo delle risorse in un colpo solo.
Le risorse, d’altronde, non mancano: un’ora di sole basterebbe a soddisfare la domanda energetica del pianeta per un anno intero. E non abbiamo neanche solo il sole, anzi. Le maree e il vento potenzialmente sono capaci di liberare abbondanti quantità di energia.
Certo, chiaramente ci vorrebbe del tempo per costruire infrastrutture tecniche in grado di catturare la maggior quantità di energia possibile dal sole, dal vento, dall’acqua, o dalle maree.
Nessuno pensa che sia semplice capire come produrre cibo e altri beni economici senza superare i limiti naturali. Da quel momento in poi, però, i beni sarebbero tutti a costo zero.
La creazione di Abbondanza, paradossalmente, sfocerebbe in una decrescita economica. Se recuperassimo tutti i vestiti che abbiamo accumulato sulla terra, ne avremmo abbastanza per 7 generazioni.
Improvvisamente, si libererebbe una grande quantità di abbondanza, e tutto il settore della moda finirebbe per dissolversi, con l’annessa “perdita” di PIL che ne consegue.
Questo, però, sarebbe un fatto positivo.
Tutte le industrie che vivono di scarsità artificiale e di impatto ambientale elevato dovrebbero essere abolite, e a quel punto potremmo decidere democraticamente come redistribuire il lavoro risparmiato da questa abolizione.
A lungo andare inizieremo semplicemente a produrre di meno, godendoci un’abbondanza di risorse e tempo senza precedenti. E se nel processo qualcunə perderà il lavoro, potrà godersi i frutti dell’Abbondanza Rossa e il reddito universale.
È dunque questo il grande paradosso che chiude il cerchio. La decrescita economica non solo è compatibile con l’aumento della ricchezza: entrambi sono processi sviluppati simultaneamente dalla liberazione dell’Abbondanza Rossa.
La Transizione Ecologica crea un precedente fondamentale per porre limiti all’accumulazione del capitale e a liberare l’abbondanza economica. Al tempo stesso, solo un progetto davvero post-capitalista è in grado di progettare una Transizione Ecologica omnicomprensiva.
Questo paradosso scioglie la crisi di identità tra le due anime del Movimento, incoraggiandole a cooperare.
Solo così siamo in grado di affrontare le contraddizioni del sistema, e preparare il terreno per un futuro diverso, di cui tanto si parla nelle Rivoluzioni ma che per ora è solo una flebile luce in fondo ad un tunnel infernale.
La Transizione Ecologica potrebbe rappresentare il primo giro di prova delle Nuove Istituzioni Globali, il cui obiettivo sarebbe creare Abbondanza e redistribuire la ricchezza già esistente.
Perché funzioni, un progetto del genere deve essere coordinato su scala globale, pianificato economicamente, deliberato attraverso una democrazia radicale di scala globale (così che nessuna comunità risulti travolta dal processo). Soprattutto, deve includere l’esproprio di tutte le (tante, tantissime) industrie ecologicamente insostenibili: un sogno che si avvera.
La dicotomia tra la Transizione verso un futuro più ricco e quella Ecologica non esiste.
Non solo esse possono coesistere, ma insieme creano un circolo virtuoso che si auto-alimenta, e su cui Movimenti possono e devono aggrapparsi se vogliamo avere qualche speranza di abbattere questo sistema e salvare il Pianeta.