Seconda Metà di Luglio:
Quando il Vecchio Muore…
Seconda Metà di Luglio:
Quando il Vecchio Muore…
Tempo di lettura: 20 minuti
Quando il Vecchio Potere Muore, il Marcio Serpeggia. Viviamo in un neoliberismo in putrefazione, incapace di partorire i nuovi equilibri politici che lo sostituiranno.
La forma di potere che ha dominato la politica per quarant’anni oggi inala i suoi ultimi respiri, contagiandoci in un’Isteria Generale. Il marciume, nelle fila del potere, è ovunque.
Lo ritroviamo in Kenya, dove il governo fantoccio ha prima piegato il capo di fronte al Fondo Monetario Internazionale, e poi ha sedato le proteste nel sangue quando giovani, studentə e lavoratorə hanno manifestato il loro dissenso, incendiando il conflitto sociale.
Ma lo ritroviamo anche nelle penose votazioni europee, dove il centrosinistra ha supportato Von Der Leyen. Lo ritroviamo persino nelle parole dei magistrati, che ci dicono a Cutro c’è stato un Omicidio di Stato ed ha provocato la morte di 100 migranti.
Ormai, addirittura la legge finisce per ritorcersi contro i potenti: il potere è marcito così tanto che le regole che aveva scritto nelle generazioni passate finiscono per essere un ostacolo per le élite contemporanee.
C’è rimasto solo disgusto, e la voglia di sfogarlo in azioni politiche. Ci troviamo di fronte ad un vuoto di potere, e prima o poi qualcunə dovrà colmarlo.
( Che i media mainstream se le siano cagate o meno )
La Crisi in Francia non Passerà in Fretta
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Ormai è chiaro: gli equilibri parlamentari emersi dalle elezioni francesi hanno portato ad una parziale paralisi della nuova legislatura.
D’altronde, però – come sottolineato dal leader dei Socialisti Olivie Fauvre in uno dei suoi rari momenti di lucidità – anche lo scorso governo ha impiegato cinque settimane a formarsi, e in quel caso la situazione era decisamente più comoda.
Macron, dal canto suo, sta bloccando tutto; si è rintanato all’Eliseo e continua imperterrito a prendere tempo. Il Nuovo Fronte Popolare ha superato in numeri le altre coalizioni, è vero, ma il centro gode di uno spazio di manovra molto più ampio, ed è avvantaggiato in termini di alleanze parlamentari.
La prima importante azione di questa partita è stata giocata durante le votazioni per la presidenza dell’Assemblea Nazionale (l’equivalente del Presidente della Camera). A vincere è stata una candidata centrista: Yaël Braun-Pivet.
Dopo aver perso i primi due confronti (sia con il candidato comunista, Chassaigne, che con quello di estrema destra, Sébastien Chenu), il Centro ha pensato di ritirare tutti i suoi candidati meno che Braun-Pivet proprio alla terza votazione, dove per vincere basta la maggioranza relativa e non quella assoluta.
Grazie a questa mossa, con diverse difficoltà, Macron si è aggiudicato una prima vittoria.
Si tratta delle prime prove generali delle alleanze del futuro. Probabilmente, sarà un’alleanza larga di centro ad avere più possibilità di attuare un governo di minoranza.
Questa potenziale alleanza è in ogni caso garantita dal cuscinetto tra centro e destra, ma la sfida per la sinistra è far fronte comune e non lasciare che i Socialisti si accodino ad una coalizione di centro, visto che sono il cuscinetto tra centro e sinistra.
Si è parlato tanto sui giornali delle “divisioni” che “bloccano” la sinistra. Litigate sulle nomine, bisticci sulla priorità del Manifesto, personalismi tra Mélenchon e Fauvre. La realtà è che i Socialisti stanno appositamente prendendo tempo per stare con un piede in due scarpe: da una parte hanno fatto campagna elettorale servendosi di un Manifesto popolare su cui hanno basato le loro fortune; dall’altra, vogliono lasciarsi la possibilità tradire queste promesse in qualunque momento vogliano, e trovare un modo per salire sull’ignobile carro dei vincitori.
Macron, nel frattempo, oramai da anni gioca a fare il despota “illuminato”, quello che accentra su di sé i poteri per “salvare la democrazia”. Insomma, a quanto pare la schiavitù è libertà; il despotismo è democrazia.
La formazione del nuovo governo è stata così posticipata a dopo le Olimpiadi (Olimpiadi che, tra l’altro, hanno blindato tutta Parigi dispiegando una forza militare ingiustificata, ed intensificando una crisi economica e politica pronta che sicuramente lascierà delle ferite tra la popolazione francese). Prima di questo annuncio, il Fronte Popolare aveva raggiunto una nomina comune, ma ovviamente il despota non ha voluto sentirne parlare.
Ancora una volta, le élite che hanno portato alla crisi si aggrappano agli ultimi angoli del loro potere per cercare di evitare l’inevitabile.
Azione diretta contro una Tigre di Carta: gli Houti e Israele
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- “Tutti i reazionari sono tigri di carta. In apparenza essi sono terribili, ma in realtà non sono poi così potenti. Da un punto di vista lungimirante, non i reazionari, ma il popolo è veramente potente”
Fu questo il modo con cui Mao, leader dell’Esercito Popolare di Liberazione, aprì l’intervista con la giornalista americana Anna Louise Strong nel lontano 1946. Il termine tigre di carta diventerà un santino all’interno dei Movimenti dell’epoca, specie quelli di Liberazione Nazionale.
Il potere, una volta che si consolida e inizia a marcire, passa dall’essere una tigre “vera” – un mostro politico che fa davvero paura – ad essere una tigre di carta, che vive di riflesso, solo grazie all’immagine paurosa che proietta sul resto della società.
Nelle ultime settimane, l’operato degli Houthi ci ha confermato che le basi dell’Impero occidentale sono fragili.
La prima conferma arriva dal porto di Eilat, in bancarotta grazie al blocco navale. “Solo una nave è arrivata qui negli ultimi mesi. Gli yemeniti hanno di fatto bloccato l’accesso al porto”, ha dichiarato il CEO del porto di Eilat, Gideon Golber.
La seconda arriva la notte tra il 18 luglio e il 19 luglio, quando un drone a lunga gittata lanciato dagli Houthi finisce particolarmente vicino all’ambasciata Usa a Tel Aviv.
Questo risultato strategico – indipendentemente dalla storia politica degli Houthi, a molti di noi sconosciuta – ci dimostra concretamente cosa intendevano i Movimenti quando descrivevano l’Occidente come una tigre di carta.
In questo caso, il messaggio è chiaro: altre strade sono possibili per fare la “guerra alla guerra”.
Se dovessimo stare agli scenari imposti dai governi del G7 le scelte nei confronti della guerra sembrerebbero sempre e solo due, esattamente come nel caso della guerra in Ucraina: o si concedono enormi privilegi ad un dittatore (russo), oppure si arma l’altro dittatore (ucraino).
Se il campo di scelte si fa sempre più ristretto, è perché di recente il Movimento ha subito un trauma e la ferita è ancora aperta.
Quando gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno invaso prima l’Afghanistan e poi l’Iraq, giustificando in nome dell’anti-terrorismo un regime di sorveglianza di massa, i Movimenti non sono riusciti a protestare in modo efficace. Le piazze si sono riempite come mai prima di allora, ma la politica estera occidentale non si è mossa nemmeno di un centimetro.
Di conseguenza, le nostre strategie e le nostre forme di boicottaggio contro la guerra sono figlie di un disfattismo agonizzante, che ci vede agire di fretta e in modo sconclusionato, piuttosto che organizzare pratiche coordinate e di lungo periodo.
La strategia degli Houthi approccia il problema in modo speculare al nostro, ed è su questo che dovremmo riflettere. Senza farsi prendere da fretta o panico, hanno fatto poche cose, mirate, funzionali nel lungo periodo, e si sono lasciati lo spazio per valutare concretamente il successo delle loro azioni.
Non c’è bisogno di enunciare a parole le “piccole” vittorie degli Houthi, perché sono già scolpite nei fatti: un porto fondamentale è in bancarotta, e l’IDF dovrà sottrarre al genocidio delle risorse per difendersi da una minaccia reale.
Less is more.
Soprattutto in un periodo come il nostro – in cui il Movimento viene visto come una forza politica immatura, non credibile e poco realistica – abbiamo disperatamente bisogno di vittorie concrete e tangibili, che ci rendano credibili agli occhi del grande pubblico.
I nostri avversari sono delle Tigri di Carta.
Se ci prendiamo del tempo per organizzarci, le fabbriche belliche si possono occupare; se troviamo gli strumenti giusti, si possono costruire pressioni economiche dal basso; se ci coordiniamo, possiamo sfruttare la nostra vicinanza con il potere – così come gli Houthi hanno sfruttato la vicinanza geografica con Israele.
La guerra è da sempre una parte integrante dell’apparato produttivo, e, se l’ascesa dell’estrema destra continua, la situazione non può che peggiorare.
Per questo dobbiamo fare tesoro dell’esperienza degli Houthi per costruire dei coordinamenti in grado di boicottare la guerra nel lungo periodo.
La Decisione dei Magistrati su Cutro
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Una manciata di giorni fa, i Magistrati hanno finito di raccogliere le prove per le indagini sulla strage avvenuta a Cutro nel febbraio del 2023.
Le accuse – che riguardano 6 agenti tra Guardia di Finanza e Guardia Costiera – riguardano la violazione all’ineludibile obbligo di salvaguardia della vita in mare, secondo il regolamento Ue 656/2014 , l’accordo operativo del 2005 e le indicazioni del tavolo tecnico del giugno del 2022.
Ancora una volta avevamo ragione, ma non siamo riuscitə a recuperare gli strumenti giusti per farci sentire. Chi doveva occuparsi dell’emergenza ha trattato i migranti in modo talmente sprezzante e crudele che il suo comportamento è risultato illegale anche secondo le debolissime leggi europee.
In poche parole, si tratta di un Omicidio di Stato.
Come se non bastasse, anche nello scenario in cui questi assassini andassero in galera, noi ci mettiamo la mano sul fuoco: nessuna forza politica istituzionale userà questa vittoria per cambiare davvero le cose.
Non ironicamente, dovremmo cominciare ad imparare dal potere.
La legge non è scritta da Dio. Piuttosto, è il risultato di un compromesso politico che mantiene in piedi una struttura di potere ben specifica. Far rispettare le regole ha un costo, ed è lo scontro politico a determinare quali leggi hanno un peso specifico maggiore di tutte le altre.
Il Movimento deve saper usare questo strumento con intelligenza.
Non possiamo essere l’unica forza costantemente raggirata nelle dinamiche legali.
La realtà è che non esiste alcuna “imparzialità” nel modo in cui si applica la legge, e non c'è un modo “puramente oggettivo” per descriverla.
Se così non fosse, i telegiornali sarebbero solo un grande elenco di crimini, commessi ogni singolo giorno da cittadini diversi.
Quali sono i crimini di cui vale la pena parlare, quelli per cui si costruisce ostilità pubblica sovversiva?
Per il potere i crimini di cui si parla sono i “furbetti” del Reddito di Cittadinanza oppure i migranti che occupano case vuote dopo l'ennesimo sfratto.
Non è un caso, visto che questi crimini sono commessi dai poveri, per pura necessità economica: è un monito del potere che ci ricorda che non possiamo scappare in nessun modo dalla sua coercizione e violenza.
I veri crimini, quelli per cui vale davvero la pena costruire l'opposizione pubblica, sono gli abusi di potere. Questi crimini sono dei progetti alimentati da un’insaziabile sete di controllo, accuratamente pianificati da individui pronti a bruciare il Mondo pur di avere qualche dollaro in più.
Nel caso di Cutro, i responsabili hanno provocato la morte e la dispersione di più di un centinaio di persone.
Se questo responsabile fosse un cittadino comune, tutti saprebbero il suo nome e cognome e tutti riconoscerebbero la crudeltà delle sue azioni.
Se però i responsabili sono 4 Agenti della Finanza e 2 della Guardia Costiera, a malapena se ne parla al Tg.
Come al solito, i media funzionano al contrario. Chi ha potere - vuoi per soldi o per cariche date dallo Stato - dovrebbe essere ritenuto doppiamente responsabile. A parità di crimini, dovremmo essere molto più propensi a stare col fiato sul collo ai potenti.
Invece, nella narrazione controllata dai Grandi Colossi dell’informazione, la ricerca dei “furbetti” del Reddito di Cittadinanza è più importante di far luce sui crimini che serpeggiano tra politica, finanza e Grande Capitale.
L’incontro in Cina tra le Fazioni Palestinesi
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Negli stessi giorni in cui gli Stati Uniti hanno accolto con un applauso il direttore del genocidio del popolo palestinese, la Cina ha tenuto un incontro con i delegati di 14 fazioni palestinesi - tra cui Hamas e Fatah - per gettare le basi di un governo di unità nazionale,
Lo ammettiamo subito: noi non sappiamo abbastanza della politica interna palestinese. Non sappiamo se questo è solo un altro tentativo di solidificare la “soluzione” a due Stati promulgata dall’Olp; non sappiamo se sia un tentativo di facciata, se quello che serve adesso al popolo palestinese è davvero una politica nazionale unitaria, oppure un progetto nuovo, di forte rottura con il passato. Probabilmente, sotto lo stato di profondo shock in cui è stato abbandonato, anche il popolo palestinese sarà diviso sul tema.
Quello che emerge dalla dinamica dei due incontri - uno negli Usa e l’altro a Pechino - è la narrazione dei Media Mainstream, che riportano la realtà a rovescio.
“La più Grande Democrazia del Mondo” sostiene “l’unica democrazia del Medio Oriente” a colpi di miliardi di sussidi militari investiti in un genocidio e nell’occupazione illegali di territori, raggirando il Diritto Internazionale e violando diritti umani quotidianamente.
Invece, in quel postaccio che è l’Oriente, una “dittatura ferocissima” sostiene “un covo di terroristi” firmando un accordo di collaborazione che promette di rispettare i diritti umani e di creare un governo di unità nazionale – alla faccia di chi parlava di dittatura assoluta di Hamas. Addirittura, riconoscono ad Israele il “diritto” esistere.
Indipendentemente dalla nostra opinione rispetto ad una potenziale soluzione al conflitto (ovviamente, noi siamo favorevoli alla soluzione a due Stati, Palestina 1 e Palestina 2), una cosa è certa: se c'è una fazione terroristica ed estremista che non rispetta i diritti umani e si rifiuta di dialogare, è quella israeliana supportata da quasi tutto l’Occidente.
Chi l’avrebbe mai detto.
Perché stiamo ancora parlando di questo?
L’ennesima Pagliacciata Europea
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Le votazioni all’europarlamento sono state incredibilmente delundenti, e non solo perché hanno riconfermato Ursula Von Der Leyen come presidente.
Sembrava tutto apparecchiato per una chiara sconfitta della destra. Il Ppe avrebbe votato per la Von Der Leyen, i Conservatori si sarebbero divisi e sarebbe bastato solo l’appoggio di socialisti e centristi per far funzionare una coalizione.
Finalmente si sarebbero potute intravedere delle crepe nelle “solide alleanze” a destra, visto che i principali gruppi europarlamentari di destra avrebbero votato tutti in modo diverso.
Invece, la storia è finita un’altra volta con un suicidio a sinistra.
I Conservatori e i “Patrioti d’Europa” hanno votato in modo compatto contro la Von Der Leyen, mentre da sinistra spunta un appoggio vergognoso dei Verdi, che ancora una volta si fanno abbindolare dalle prime parole ambientaliste di centristi a cui del clima non frega un cazzo.
Il morbo centrista ha contagiato l’ennesimo partito. Sono tutti convinti che allearsi col vecchio centro neoliberale (Popolari, Socialisti e Liberali) possa in qualche modo costruire quel famoso “argine” alle destre.
In momenti difficili, ci dicono, bisogna saper gestire le Istituzioni anche con chi è più moderato per “salvare la democrazia” dalla minaccia sempre più pericolosa a destra (chissà come mai, e chissà per colpa di chi).
Nella loro testa, il supporto alla Von Der Leyen è quasi un obbligo. Se lasciamo solo il centro, poi il centro inizia a guardare a destra e lì inizia il vero pericolo. È compito della sinistra, dicono, di evitare che il centro si faccia più distante.
Solo così si spiega la folle scelta dei Verdi, che d’improvviso si sono schierati dalla parte di chi ha trasformato il Green New Deal in un ulteriore problema per le classi popolari.
L’ultima versione del Green New Deal (quella che è passata grazie alle manovre del gruppo europeo di Von Der Leyen) è molto annacquata rispetto all’originale.
I costi della Transizione Ecologica sono stati scaricati sui piccoli agricoltori, mentre le Multinazionali – i veri responsabili della Sesta Estinzione di Massa – sono state lasciate in pace.
Questi sono atti di macelleria sociale che non dovrebbero avere niente a che vedere con dei partiti che si presentano come una forza di sinistra, ecologista, e magari anche critica del capitalismo.
Nel tentativo disperato di “evitare che le cose vadano peggio”, la strategia dei Verdi fallisce, e fallisce proprio perché rinforza i meccanismi che a destra alimentano le fiamme nere.
Insomma, se la sinistra istituzionale continua a mettersi al servizio di chi rappresenta lo Status Quo, finirà per dare corda alla strategia dell’estrema destra. La “sinistra” verrà accomunata allo Status Quo.
A quel punto, ai neofascisti basterà fare qualche sterile critica allo Status Quo – che però non sembra mai dar loro problemi quando sono al governo – e avranno recuperato vagonate di sostenitori dalle classi popolari.
La destra vive in un mondo magico, che oramai conosciamo bene (se non altro grazie ai social).
Questo è un mondo dove la sinistra governa da 40 quadrilioni di anni, e la destra – la vera voce del popolo – è costantemente perseguitata. In qualche modo, non hanno mai abbastanza potere per cambiare le cose.
L’apparato mediatico che l’estrema destra ha eretto in questi anni lavora giorno e notte per trascinare sempre più persone in questa dimensione alternativa.
Il successo dell’esperimento è tale che oramai la versione dei fatti dei fascisti è per tanti diventata realtà.
Carlo Fidanza, leader del gruppo di Fratelli d’Italia in Europa, conosce e apprezza il lavoro dei giornalai, dei fascisti in borghese che hanno sapientemente intessuto questa bolla iper-reale. Il suo partito, infatti, ha votato contro la ri-elezione di Von Der Leyen.
Ecco dunque, ai loro occhi, un'ulteriore “prova” che in realtà la destra è la “vera alternativa allo Status Quo”, mentre la sinistra farebbe di tutto per difenderlo.
L’unico modo per resistere ad una sempre più probabile ondata nera è costruire un’alternativa reale da sinistra, in grado di superare la storia recente, e seppellire ogni sedicente partito progressista disposto ad attuare le peggiori mattanze sociali in nome dell’Austerità.
Quello che hanno fatto i verdi europei non solo è un oltraggio a ciò per cui la sinistra, anche quella istituzionale, dovrebbe combattere.
Sopra ogni altra cosa, è un errore strategico da principianti.
Biden si Ritira ma il Danno è Fatto
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Tempo di convincere il vecchio a levarsi di torno e inventarsi una fuoriuscita mediatica funzionale, e in batter d’occhio Biden è uscito di scena.
È questo l’ultimo disperato tentativo dei dem di evitare l’inevitabile, e scongiurare la vittoria di Trump alle elezioni di Novembre.
Negli episodi precedenti, abbiamo parlato della pessima situazione del Partito Democratico Americano. Il ritiro di Biden e il vuoto di potere non colmato sono l’ulteriore conferma di un generale fallimento strategico di una parte della sinistra americana, l'ala socialdemocratica o socialista-democratica.
Riuniti sotto la leadership di Bernie Sanders, i socialisti democratici hanno comunque provato a fare qualcosa di ambizioso. L’idea era stravolgere il Partito Democratico fin alle sue fondamenta, e usarlo come piattaforma di lancio per delle politiche socialdemocratiche, maggiormente in linea con gli interessi del 99%. In poche parole, si trattava di spostare a sinistra il baricentro del più grosso partito americano.
Un progetto simile non è semplice, specie se lo si porta avanti “giocando” alle regole elettorali e istituzionali che, da design, favoriscono l’1%, la categoria di persone che il potere lo ha già.
Con questo non intendiamo escludere a prescindere la possibilità di arrivare al potere “giocando” alle regole del capitalismo. Non deve essere per forza un fallimento garantito.
Innanzitutto, non siamo convintə dall’idea di non poter ferire un sistema con le sue stesse armi, e per un fatto molto semplice: tutte le armi a nostra disposizione sono parte dell’arsenale del capitalismo.
In un modo o nell’altro, giochiamo in ogni caso alle regole del capitalismo, poiché queste sono onnipresenti.
Probabilmente, occupare uno squat ti mette in dinamiche ancora più capitalistiche e brutali rispetto ad organizzare una campagna elettorale come quella di Bernie Sanders, finanziata da piccoli donatori.
Insomma è inutile fare una gara a chi operi più o meno al di fuori del capitalismo: queste sono seghe mentali deleterie e cieche davanti alla realtà oggettiva.
Se il piano dei socialisti democratici fosse riuscito – e ad un certo punto ci sono andati vicini – oggi la politica interna americana avrebbe tutt’altra forma. Spostare a sinistra il baricentro dell’Impero non è male, anzi.
Ogni strumento politico ha una funzione e uno specifico contesto in cui può funzionare. L’efficacia o meno del suo utilizzo, però, dipende dalla strategia adottata. E su questo i socialisti democratici hanno toppato clamorosamente.
Per quanto moderato, il movimento creatosi attorno alla figura di Bernie Sanders è stato spesso genuino, e per diversi anni è stato una spina nel fianco per l’establishment dei Dem.
Nel momento decisivo, però, quello in cui davvero si era aperta la strada per far crollare l’establishment dei dem e lo zombie genocida, i socialisti democratici si sono ritrovati ad essere loro quelli schierati dalla parte dell’establishment. Fino all’ultimo, sono stati contrari alle dimissioni di Biden.
Qualcosa è andato storto, pesantemente storto.
In uno splendido articolo di Novara Media, Joe Todd descrivere la totale incapacità della sinistra inglese di approcciarsi alla politica istituzionale, per poi comparare questo atteggiamento a quello dell’estrema destra, sempre inglese.
La critica – applicabile, a nostro parere, a tutta la sinistra occidentale – è la seguente: l’estrema destra è in grado portare via voti dalla destra più “moderata” anche e soprattutto in momenti propizi, causando al centro un grosso danno. Il centrodestra si trova costretto ad adattarsi, e spostarsi un po’ più in là.
Quando poi le cose vanno male, l’estrema destra è più che disposta a soccorrere il centrodestra, ed eventualmente fare fronte comune. Ormai il piano politico si è inclinato verso di loro, e anche l’operazione di salvataggio si trasforma in un ulteriore leverage politico.
Nel corso degli anni, questo doppio shock ha alimentato una situazione pericolosissima, dove l’estrema destra raccoglie i risultati di queste sue mosse strategiche e diventa sempre più forte.
La sinistra radicale e i Movimenti affrontano male il problema dell’elettoralismo. Non è una questione di moralità politica o di compromessi – è una mossa strategica.
In Europa l’unica forza di sinistra più o meno radicale che è riuscita a usare la strategia del doppio shock è stata la sinistra francese. E infatti guardate quanto ha ripagato il lavoro.
Riuscire a maneggiare un ampio ventaglio di strumenti politici è utile, e ci aiuta a costruire una risposta sempre pronta contro il potere.
Se lasciamo punti scoperti, l’1% trascinerà il conflitto proprio in quelle crepe, dove avrebbe il vantaggio in uno scontro diretto.
Il risultato di questo processo è un establishment dem ancora in piedi per miracolo, supportato da un’oligarchia americana che è determinata a fermare ogni possibile “minaccia” da sinistra, anche a costo di far vincere un miliardario indebitato e corrotto, nonché pedofilo conclamato come Trump.
Paradossalmente, la destra – che ci tiene al pugno duro contro il crimine – voterà per un criminale, mentre la sinistra liberale – che solo a parole denuncia il sistema carcerario e la brutalità della polizia – voterà per una sbirra.
Se avete bisogno di schiarirvi la memoria, vi ricordiamo che Kamala Harris è direttamente responsabile per lo sfruttamento di persone tenute in prigione oltre la loro ufficiale sentenza, esclusivamente per garantire lavoro schiavile allo Stato della California.
Forse, il treno è passato e i Dem sono davvero irrecuperabili, ma ormai siamo comunque bloccati alla stazione. Se non spingiamo adesso per un esodo di massa e per rivolgersi verso un Third Party – come il Party for Socialism and Liberation o i Verdi – l’occasione ci sfuggirà di nuovo.
Il duopolio dei partiti avrà vinto di nuovo.
Non ci aspettavamo nulla, però porco d-
Tra Criminali contro l’Umanità ci si comprende: l’Incredibile Visita di Netanyahu negli Stati Uniti
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Mercoledì scorso, Netanyahu ha tenuto un’arringa di fronte al Congresso Statunitense. Il tono è solenne.
Si parla di “uno scontro tra chi glorifica la morte e chi santifica la vita”, di un mondo “in subbuglio”, e di una vittoria giusto dietro l’angolo.
L’alleanza tra Israele e gli Usa è funzionale per materializzare un futuro migliore, “civilizzato”. Netanyahu giura fedeltà agli Stati Uniti, ribadendo che l’obiettivo comune è lo stesso: “trasformare una regione tormentata [...] in una fiorente oasi di dignità, prosperità e pace”.
Questa “trasformazione” di fatto consiste in una pulizia etnica. Un genocidio. E gli Stati Uniti questo lo sanno bene, perché come ogni moglie fedele hanno caricato la pistola al soldato prima che uscisse di casa.
Dopo 10 mesi e quarantamila morti, Netanyahu è ovviamente accolto dal Congresso con un fragoroso applauso.
Appena fuori dal Senato, proteste pro-Palestina infuriano per le strade. Quattro persone vengono arrestate e la polizia disperde la folla con i gas lacrimogeni. I giornali riportano la notizia con distaccata indifferenza, complici in tutto e per tutto con lo status quo.
Non c’è da stupirsi, d’altronde. Tra criminali contro l’umanità ci si intende.
Violenza Poliziesca e Sistema Carcerario: due Mali da Estirpare
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Martedì scorso la polizia statunitense ha rilasciato un video in cui una donna nera – Sonya Massey – viene brutalmente uccisa da un poliziotto. La scena è raccapricciante. Sonya Massey è in casa sua, in compagnia di due poliziotti che ha chiamato lei stessa in un momento di difficoltà. Ad un certo punto, uno dei due uomini si preoccupa perché Sonya ha una pentola d’acqua che bolle sul fuoco. Alla donna basta fare una battuta di troppo, e il suo destino è segnato. Il tempo di urlare “I’m sorry!” e partono tre colpi di cui uno la colpisce fatalmente in testa.
Nel frattempo, in Italia, Antigone Onlus ha rilasciato un dossier sulla condizione delle nostre carceri. In media, le carceri sono sovraffolate per il 130,4% (il valore arriva fino al 150% per almeno un quarto dei casi). Per la prima volta il sovraffolamento riguarda anche gli istituti minorili, che a seguito del dl Caivano hanno registrato molti più detenuti. Dall’inizio del 2024, nei carceri italiani ci sono stati 58 suicidi, di cui 22 solo negli ultimi due mesi.
In entrambi gli esempi, stiamo parlando di di un Omicidio di Stato, perpetrato contro le vittime preferite di un sistema violento e svergognato.
La polizia e le carceri esemplificano il potere dello Stato forse meglio di ogni altra istituzione. Per mantenere la popolazione obbediente, è necessario controllarla, in modo crudo e brutale, anche a costo di privare persone innocenti della propria libertà, di uccidere e lasciar morire.
Questi due strumenti non sono particolarmente utili a trattare il problema della criminalità. Quando il loro potere aumenta, è proprio perché lo Stato non è in grado di gestire l’esclusione sociale.
I soldi dati alle “Forze dell’Ordine” sono soldi sprecati, che anzi mettono direttamente a repentaglio la vita delle categorie più marginalizzate. La polizia in generale può fare quel che le pare e piace, e se la condizione delle carceri peggiora nessuno se ne lamenta. D’altronde, i criminali sono colpevoli, poco importanti, invisibili.
Un’alternativa efficace per garantire la sicurezza sociale esiste, e permetterebbe alle persone di vivere in armonia le une con le altre senza temere di subire violenze di alcun tipo.
Noi non abbiamo un pacchetto di riforme pronto, ma non è difficile farsi venire delle idee. Politiche redistributive, welfare di base universale e pianificato democraticamente, salari alti, politiche attive sul lavoro, ricostruzione dal basso dei quartieri popolari e ghettizzati, educazione popolare nel riconoscere e prevenire tutte le forme di violenza – tutte queste policy risolverebbero davvero, alla radice, il problema della sicurezza sociale e i dati lo dimostrano nettamente.
Sembrano delle policy non correlate col crimine, ma è esattamente lo stesso meccanismo per cui lavarsi spesso ha contribuito enormemente ad aumentare gli standard di vita.
È il classico “prevenire è meglio che curare”: se sai le cause di un fenomeno, puoi agire su di loro per minimizzarlo.
Le forze dell’ordine e le carceri invece intervengono solo quando il problema si è già manifestato e lo fanno quasi sempre a cazzo di cane.
Per “design” queste istituzioni repressive funzionano per mantenere la criminalità, dare un boost alla guerra tra poveri ed intrappolare generazioni di persone povere e spesso razzializzate in spirali di marginalità estrema.
È lo Stato ad aver bisogno della polizia e delle carceri per reprimerci: a noi non torna indietro niente.
La Russa vs La Russa
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La Russa assomiglia un po’ a quel compagno di classe delle superiori che passava le lezioni di storia a fare commenti semi-fascisti. Immaturo e costantemente affamato di attenzioni, le sue “opinioni” sono costruite per provocare il resto della classe.
Quando la classe gli fa “notare” che ciò che dice deriva da preconcetti spesso fascisti, si metterà immediatamente a frignare, lamentando un regime di “censura” in cui ogni opinione politica ormai viene considerata fascista.
È lo stesso compagno di classe che, nei momenti in cui nessuno lo caga – e sono tanti – si lascia andare ad un fascismo puro e svergognato, salvo poi nascondersi dietro un dito in caso di scandalo.
Di solito, alcuni di questi compagni di classe maturano e riescono ad uscire da inutili spirali di finto ribellismo infantile.
Immaginatevi, invece, che uno di questi ragazzi continui imperterrito sulla sua strada. Immaginatevi che faccia anni di gavetta all’interno di organizzazioni neofasciste, dove tenterà di coordinare degli agguati contro i militanti di sinistra radicale (fallendo tra l’altro). Immaginate, infine, che dopo tutto questo percorso il vostro ex-compagno di classe si metta improvvisamente le giacca e la cravatta, e un bel giorno diventi il Presidente del Senato della Repubblica
Sembrerebbe uno svarione, e invece è proprio l’incredibile storia di Ignazio La Russa.
È un po’ un paradosso. La Russa dovrebbe essere orgoglioso di essere fascista: ci ha fatto carriera politica, ha i busti di Mussolini in casa; insomma, viene fuori da quella tradizione politica e su quel progetto ha costruito le sue “fortune” politiche. Ce l’ha nel sangue.
Eppure, ogni volta che gli si chiede se è fascista, sembra che se ne vergogni, che non voglia mai dire apertamente la realtà dei fatti, intrappolando i media in un ridicolo segreto di Pulcinella.
In queste settimane, dopo un periodo in cui nessuna persona se lo stava cagando, La Russa è tornato alla ribalta con due nuove stronzate che generano “controversie” solo nella testa dei giornalai.
Questa volta, La Russa si è lasciato scappare una parola di troppo rispetto al caso del giornalista aggredito da Casapound. “Ci vuole un modo più attento di fare incursioni legittime da parte dei giornalisti,” ha dichiarato. “La persona aggredita, a cui va la mia solidarietà, non si è mai dichiarata giornalista. Non sto giustificando niente. Non credo però che il giornalista passasse lì per caso, trovo più giusto se l’avesse detto.”
Poi, assetato dalla voglia di stare sotto i riflettori, gli scappa qualcos’altro. Contro un altro giornalaio si mette a dire: “lui non vuole giocare a calcio coi fascisti? Beh nemmeno io giocherei a calcio con lui”. Una battuta incredibile. Lo spirito provocatorio dell’adolescente non è mai andato via da La Russa.
Forse, il “Presidente del Senato” sta provando a comunicarci qualcosa. Forse un conflitto interiore, una personalità divisa, un’identità intrappolata.
Da una parte, c’è l’immagine con cui La Russa si presenta al grande pubblico: un uomo che prova ad essere conforme e a rispettare i canoni della Costituzione e dell’élite neoliberale.
Dall’altra, c’è il cuore nero di La Russa, il suo amore smisurato per il fascismo, la sua euforia nel vedere i poveri soffrire e uno svergognato fetish per gli eserciti e l’autoritarismo.
Ignazio, noi ti vediamo per quello che sei, non c’è bisogno di nasconderti. A differenza tua, poi, noi siamo più lineari: ti odiamo oggi, ti odiavamo ieri, ti odieremo per sempre.
Che dire, a volte certe notizie ti lasciano senza parole.
Qualcuno Pensi agli Atleti Israeliani
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Ieri sono cominciate le Olimpiadi, e la città di Parigi è diventata il nuovo giocattolo preferito del potere, che sfoga su di lei ogni sua paranoia.
Dopo aver ucciso 40 mila Palestinesi innocenti in una furia genocida supportata dalle forze più potenti al mondo, Israele sembra particolarmente preoccupata per l’incolumità dei suoi 88 atleti.
Come ha dichiarato il ministro degli interni francese, non ci sono prove di “una minaccia concreta”, ma i funzionari sono comunque in allerta rispetto ad un potenziale “terrorismo militarizzato”. A tal proposito, il governo francese ha deciso di costruire circa 44 mila barriere; 1 milione di persone sono state sottoposte ad accurati controlli: quattromila individui sono stati preventivamente interdetti dall’evento; ogni giorno verranno mobilitati 45 mila agenti di polizia, 18 mila soldati, 2mila agenti di sicurezza privata, e un numero imprecisato di agenti di polizia provenienti da 40 Paesi diversi.
Insomma, la Francia vuole stare tranquilla – decisamente tanto tranquilla. Non sia mai che l’equivalente contemporaneo di un atleta nazista venga ferito da un pericoloso terrorista che protesta contro il genocidio. Neanche a dirlo, gli atleti israeliani saranno accompagnati 24 ore su 24 dai servizi di sicurezza francese e dai funzionari dello Shin Bet.
Le priorità del potere non potrebbero essere più chiare.
Perché succedono anche cose belle
Popolo Kenyano vs Colonialismo del Fondo Monetario Internazionale
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Sì, ce ne vergogniamo parecchio, ma siamo talmente persə nelle spirali politiche europee che nelle ultime settimane non abbiamo parlato di un tema molto importante: le rivolte del popolo Kenyano.
A fine giugno sono esplose rivolte importanti, guidate dalla Generazione Z, dallə studentə e dalla classe operaia. Gli scontri hanno letteralmente infiammato le città.
Ovviamente, la repressione del governo non si è fatta attendere: si parla di più di 1000 vittime tra morti, dispersi, arresti e sequestri illegali “cautelari” da parte della Polizia.
Per chi guida le proteste, i nemici sono chiari. Si protesta contro le regole economiche imposte dal Fondo Monetario Internazionale e contro una classe politica che ha tradito le sue promesse elettorali, basate sulla giustizia sociale e sullo sviluppo autonomo del Kenya.
I Media Mainstream™ hanno riportato la notizia concentrandosi sul “povero governo locale”, che “subirebbe il primo Colpo di Stato della sua Storia”.
Ciò su cui tuttə dovremmo porre l’attenzione, invece, è l’incredibile lucidità dellə studentə e in generale della Gen Z Kenyana, che sta organizzando una mobilitazione in fila all’altra, aumentando sempre di più la pressione contro i politici locali.
Possiamo apprezzare la qualità organizzativa delle mobilitazioni già solo leggendo le loro chiamate pubbliche, che si rivolgono a tutta la popolazione e danno indicazioni chiare su come poter attivamente supportare chi sciopera e protesta.
Le ultime manifestazioni hanno costretto il governo a riaprire le trattative col Fondo Monetario Internazionale. Grazie alle rivolte, la riforma che aveva fatto traboccare il vaso (una legge sulla tassazione della popolazione povera) è stata cancellata.
Ma i ripensamenti del Governo non fermano le organizzazioni Kenyane che non si sono fatte raggirare dalle briciole che il governo gli sta concedendo per calmare le acque.
Il tono dei comunicati, delle proteste e del discorso pubblico in generale trasmette una posizione radicale che non verrà repressa facilmente.
Il popolo Kenyano critica a 360 gradi il neocolonialismo occidentale, quello che si serve di istituzioni economiche globali come il Fondo Monetario Internazionale per controllare da lontano i popoli del Sud Globale, inclinando l’intera produzione verso gli interessi degli Stati ricchi.
La Gen Z Kenyana sa bene che fare gli interessi dei ricchi non è conciliabile con la rivalsa di un popolo impoverito dal capitalismo, per giunta governato da un governo fantoccio corrotto e alleato con l’Occidente.
Per rendere realmente autonomo il Kenya e tutti i popoli colonizzati ed impoveriti del Mondo, bisogna riprogrammare interamente le istituzioni economiche globali, il Diritto Internazionale e la geopolitica.
Per la sua capacità di organizzazione, la sua lucidità nell’attaccare il neocolonialismo dell’FMI e la sua presa sull’egemonia culturale e popolare, il Movimento che sta emergendo in Kenya è tra i più importanti mai visti negli anni recenti.
7 Sindacati, 6 Milioni di Lavoratorə e le Guerre dell’Impero
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7 Sindacati statunitensi – che insieme rappresentano oltre 6 milioni di lavoratorə – hanno portato avanti una mobilitazione contro Biden, nella quale chiedono con chiarezza di interrompere le relazioni tra gli Usa e Israele.
Il timing della notizia è perfetto. I democratici hanno bisogno di un miracolo per sperare di vincere le elezioni, e cedere alle richieste di 6 milioni di persone non è una brutta prospettiva.
Questa è una buona occasione per riflettere sull’operato dei sindacati rispetto a quello della sinistra di Bernie Sanders.
I Justice Dem sono riusciti ad usare la visibilità mediatica dei democratici contro di loro, raccogliendo i consensi di chi cerca una forza politica più radicale. Lo scontro elettorale, però, l’hanno sempre perso.
Il desiderio anti-establishment, insomma, non è mai uscito dal perimetro del partito dei dem, e anzi si è trasformato in potere istituzionale per gli stessi dem moderati.
L’azione politica di questi sindacati statunitensi, invece, segue il percorso diametralmente opposto.
Fuori dalle istituzioni parlamentari, i sindacati provano a costruire una forma di potere dal basso, in grado di mettere pressione a chi è al potere. Se – come ci auguriamo – questa strategia dovesse essere applicata bene, soffrirà sempre dello stesso problema: quello della visibilità mediatica e del controllo della narrazione (che invece era l’unico vantaggio strategico dei socialisti democratici).
È fondamentale integrare queste due dinamiche – la creazione di conflitto e quella del consenso – in un’unica strategia coesa.
Bisogna trovare il modo per accedere alla visibilità mediatica che hanno a disposizione i grandi partiti, anche solo parzialmente. Al contempo, però, dobbiamo mantenere vivo il contropotere dal basso, e tenerlo sempre pronto a mettere pressione e far piegare le istituzioni alle nostre richieste.
Il progetto non è impossibile, come diverse forze politiche stanno dimostrando; al tempo stesso, l’equilibrio nella costruzione simultanea di consenso e conflitto è spesso precario e va gestito bene nei minimi dettagli.