13/06/2024

Solo La Guerra vi
Salverà (Per Poco)

La guerra non è inevitabile, ma ha dei chiari incentivi economici che la rendono profittevole per la classe al potere.

13/06/2024

Solo la Guerra vi Salverà (Per Poco)

La guerra non è inevitabile, ma ha dei chiari incentivi economici che la rendono profittevole per la classe al potere.


Tempo di lettura: 15 minuti

Ci risiamo. Anche quest’anno la guerra ha sfondato i cardini e si è insinuata nei notiziari di tutto il mondo. Non c’è modo di sfuggire alla strage — se sei sfortunatə, probabilmente morirai sotto una bomba; se sei fortunatə, la classe politica che dovrebbe rappresentarti ha svenduto la qualità della tua vita per finanziare l’ennesimo massacro.


Le guerre e le crisi geopolitiche ci vengono giustamente presentate come grandi eventi storici, capitoli bui che segnano con violenza il colore di un’epoca. Ma se la guerra è ‘grave’ (spesso, molto più grave di come ce la raccontano in televisione) purtroppo non è affatto rara.


Il capitalismo ci spinge costantemente sull’orlo del baratro, ci mantiene sempre pronti a dichiarare una nuova guerra. Progressivamente, gli standard di umanità si abbassano, e crimini atroci diventano una parte normale della nostra vita.


Ancora prima che le guerre in Iraq e Afghanistan potessero giungere ad un termine, l’Ucraina è scoppiata sotto il peso di una crisi che va avanti dal 2014. Oggi, stiamo assistendo praticamente in mondovisione al genocidio del popolo palestinese. Negli anni ’90, dinamiche simili hanno distrutto l’ex-Jugoslavia, e così via a ritroso nel tempo. Ogni decennio si è scelto una popolazione (solitamente impoverita dal colonialismo e dall’imperialismo) a cui dichiarare guerra.


Il Sud Globale è dunque la vittima preferita dell’Isteria Imperialista che anima l’Occidente. L’unico modo che conosciamo per “risolvere” una crisi geopolitica è scioglierla nel sangue e scaricarne le conseguenze su popolazioni innocenti.


Abbiamo lasciato la gestione dei conflitti nelle mani dei peggiori colonialisti mai esistiti e adesso ci ritroviamo a vivere in un pianeta lacerato da almeno 60 conflitti armati.


Che senso ha accumulare così tanta ricchezza e risorse da poter vivere in un mondo abbondante ed accessibile a tuttə, se poi ogni volta che accendiamo la televisione sentiamo parlare di guerra? Sembra quasi che il capitalismo imbracci le armi di riflesso, d’istinto, lasciandoci l’impressione che ogni alternativa sia impraticabile.


Oggi vogliamo smascherare questa compulsione bellica del capitalismo, se non altro per comprenderla. L’1% della popolazione sceglie deliberatamente di spendere la ricchezza collettiva nella guerra, e lo fa perché glielo lasciamo fare. La guerra non è inevitabile, ma ha dei chiari incentivi economici che la rendono profittevole per la classe al potere.

Scusate ma ci Servono dei Dati
Partiamo da un grafico di Our World in Data – Global deaths in conflict since the year 1400 – giusto per darci delle coordinate “imparziali” e partire dall’analisi di un’organizzazione cosiddetta “neutrale”.


Grafico

L’asse verticale indica la percentuale delle vittime generate dalla guerra (relativamente alla popolazione dell’epoca considerata). L’asse orizzontale ci porta avanti e indietro nel tempo. Le singole guerre sono rappresentate dai punti, grandi o piccoli in base alla quantità di persone morte durante quello specifico conflitto.


Una lunga linea rossa attraversa il grafico, in un percorso a zig-zag che segue l’influenza delle singole grandi guerre, come la guerra dei Trent’anni o la guerra di Successione Spagnola. Questa linea raffigura il trend di quante persone (civili e militari) sono morte in quel periodo relativamente al totale della popolazione globale.

La linea prosegue imperterrita dal 1400 al 1946, finché sul grafico non compare una seconda linea. Questo nuovo dato, disegnato in blu, rappresenta il tasso di mortalità tra i militari.


Parte del grafico

La linea blu è sempre più bassa di quella rossa, ma dopo la fine della Guerra Fredda qualcosa cambia: il gap tra le morti tra i civili e le morti tra i militari è improvvisamente più consistente. Questa discrepanza rappresenta il risultato delle nuove forme di warfare asimmetrico e di terrorismo di Stato onnipresente nelle relazioni internazionali.


Nel frattempo, la media della linea rossa è rimasta stabile. Non è surreale che, con tutta la masturbazione intellettuale sull’incredibile progresso dell’umanità, una persona comune ha più o meno la stessa probabilità di morire in guerra oggi che nel 1400?


La differenza cruciale è che dopo la Seconda Guerra Mondiale l’industria bellica si è spostata su nuove sedi. L’Occidente ha esportato i siti del conflitto, abbassando drasticamente le probabilità per una persona occidentale di perdere la vita in uno scontro armato.


Se in Occidente la probabilità di morire in guerra è crollata ai minimi storici, vuol dire che dall’altra parte del Mondo è successo l’opposto. In pratica, la violenza bellica sulle popolazioni più impoverite del Mondo non è mai stata così alta.


Ad oggi, l’opinione pubblica globale difficilmente supporta delle politiche difese in nome del colonialismo. In passato non era affatto così. Persino Giorgia Meloni sente il bisogno di regolare il suo linguaggio quando si riferisce a popolazioni povere e indigene.


Eppure, è proprio oggi che il colonialismo opera al massimo della sua potenza. La cultura si è spostata un po’ più avanti, e chi ci governa ha adattato le sue bugie e ha imparato a raccontarci quel che vogliamo sentirci dire.

Come al solito, più una classe politica si pavoneggia della sua umanità e del suo progressismo, più c’è qualcosa che puzza nelle politiche attuali che portano avanti.


Ma perché la guerra è così utile al sistema in cui viviamo?


Tanto per cominciare, il capitalismo sta invecchiando.

Più invecchia, più le sue performance di profittabilità crollano. La necessità compulsiva di cercare nel resto del Mondo nuove terre da sfruttare e nuove popolazioni da sterminare si fa ancora più forte, pena la sopravvivenza dell’intero sistema.


Ritorniamo per un attimo al nostro grafico, Non è un caso che proprio nel 1600 l’andamento della linea rossa diventi più irregolare e esploda in nuovi picchi. È proprio in questo periodo, infatti, che si sviluppano a pieno il capitalismo mercantilista e le spedizioni coloniali.


Parte del grafico

La violenza bellica e il capitalismo coesistono in una sorta di simbiosi, auto-alimentandosi a vicenda. Per radicarsi nella storia, questo sistema ha dovuto legittimare e normalizzare la brutalità della guerra.


La domanda allora sorge spontanea: perché? Perché proprio un evento tragico e straziante come la guerra risulta così maledettamente profittevole?

La guerra è solo business

Il capitalismo è un sistema economico. In quanto tale, segue delle tendenze che prescindono dalla volontà dei singoli individui e che ricorrono costantemente.


Queste tendenze portano ciclicamente il sistema ad andare in crisi. La guerra, allora, diventa uno strumento di stabilizzazione, una necessità compulsiva che rafforza il circolo vizioso in cui siamo intrappolati.


Non è questa la sede per tenere un’intera lezione di economia, ma è importante darci delle coordinate chiare per procedere con la nostra analisi.


La guerra è un ottimo stabilizzatore economico perché trae profitto sia dalla distruzione che dalla ricostruzione di interi territori.

La parte distruttiva fa fuori il capitale improduttivo, e terrorizza, traumatizza e impoverisce i popoli che separano l’1% più ricco dalle risorse che stanno cercando di rubare.

Una volta fatta questa sanguinosa tabula rasa, la parte costruttiva permette al capitale di riconfigurare intere città, nazioni e continenti sulla base dei suoi interessi, inondando di debiti chi osa opporsi alle compulsioni del sistema.


Per questo, non dobbiamo farci ingannare da chi ci dice che la spesa militare in realtà è molto bassa o tendenzialmente in diminuzione.

É vero che in passato la spesa militare è stata più alta: ci stiamo ancora riprendendo dalla sbornia del riarmo dopo la guerra fredda. Ed è vero anche che la spesa militare non è altissima, perché di per sé è “improduttiva” e non genera profitto automaticamente. É semplicemente un costo, e in quanto tale è bene limitarne i picchi.


La reale fonte di profitto per il sistema sta nel volume di affari dell’industria delle armi (che infatti è in aumento) e nelle conseguenze della guerra stessa (ossia l'impoverimento delle popolazioni indigene, la distruzione del capitale in eccesso e il furto di risorse naturali).

A riprova della nostra analisi, il numero totale dei conflitti è in aumento. La domanda effettiva di materiale bellico sta gonfiando i profitti di quest’industria criminale.


Le spese militari calano perché è più conveniente che della guerra se ne occupino i privati. Così si spiega anche la ragione per cui i conflitti odierni non sono più quelli “classici”, tra uno Stato e un’altro, ma vengono sempre più spesso combattuti ad armi impari.

Tecno-Guerra vs Disarmo Globale

In questo momento, l’industria bellica è tra i settori che ha assorbito più “progresso” tecnologico.


Gli eserciti sanno usare l’AI meglio dei social network, droni all’avanguardia uccidono migliaia di civili e sistemi di difesa impenetrabili proteggono intere operazioni dall’intelligence esterna. Un’enorme quantità di denaro, tempo, lavoro ed energie viene spesa ogni giorno dall’industria bellica per tenere il passo con il processo tecnologico.


Immaginatevi di tornare indietro nel tempo e di avere a che fare con l’ultimo dei servi della gleba. Una persona poco istruita, incapace di orientarsi nella storia e ignorante rispetto ai meccanismi dell’economia. Una persona probabilmente povera ma relativamente autosufficiente.

Se riuscissimo a spiegargli che un giorno nel futuro la nostra società sarà 100 volte più ricca della sua, che futuro si immaginerebbe?


È improbabile che penserebbe ad un mondo costantemente in crisi, martoriato da guerre, praticamente sull’orlo dell’autodistruzione e del collasso ecologico. Probabilmente, penserebbe ad un mondo senza lavoro, fatto di quiete e di coordinazione sociale spontanea, un mondo ricco e agevole.


La realtà è che oggi lavoriamo molto di più di quanto facesse un qualsiasi servo della gleba. Ma soprattutto lavoriamo proprio per reprimere quel mondo di lusso e agio collettivo che il servo ci avrebbe augurato.


La ricchezza, la tecnologia e la crescita economica di per sé non significano niente e non liberano da sole l’umanità dalla fatica e dalla sofferenza. La ricchezza prodotta da logiche distruttive (come la logica del profitto), non potrà mai creare una società prospera e costruttiva.


Insomma, non esiste tecnica che esuli da scelte politiche.

Duecento miliardi di euro sono sei carri armati, oppure sono migliaia di ospedali. Il modo in cui vengono spesi quei soldi lo decide lo scontro tra noi (la stragrande maggioranza della popolazione globale) e l’1%, che detiene il grosso del capitale.

Più pressione esercitiamo, più forziamo la mano e cerchiamo di mettere in moto il governo della maggioranza, più il potere perderà terreno.


Ad oggi,le spese militari toccano quasi 2.500 miliardi di dollari (solo l’anno scorso c’è stato l’aumento annuo maggiore degli ultimi due decenni) e il giro d’affari privato arriva fino a 600 miliardi. Se vogliamo davvero parlare di spese insostenibili, è inutile guardare la pensione della nonna o i buoni pasto di chi non possiede nulla. La prima spesa da estirpare è quella bellica.


È necessario e urgente pretendere il disarmo globale e l’esproprio di ogni centesimo attualmente nelle mani dell’industria bellica.


Di fronte a noi abbiamo due alternative: un futuro breve e doloroso, fatto di povertà, guerra, e distruzione; oppure, la possibilità di invertire il processo di annientamento a cui abbiamo dato inizio, e di vivere in un mondo abbondante, vivibile, che superi definitivamente la scarsità e la fatica.