La copertina del libro 'Regarding the Pain of Others'.

REGARDING THE
PAIN OF OTHERS

Susan Sontag


ANNO DI USCITA: 2003

NUMERO DI PAGINE: 131

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PUNTEGGIO

ACCESSIBILITÀ

Il target audience di questo libro è quasi universale. Chiunque abbia mai visto la foto di un corpo morto in un paese lontano può immedesimarsi nelle parole dell’autrice. L’analisi è persuasiva, facile da seguire, e continuamente esplicitata tramite esempi pratici.


FRESCHEZZA

Le argomentazioni di Sontag non sono particolarmente rivoluzionarie, ma l’innovazione non è di per sé uno dei punti forti del libro.


ANALISI

Le opinioni di Susan Sontag non sono sempre allineate con le nostre, ma la posizione analitica di questo libro ne rende l’analisi particolarmente lucida.


STILE

Lo stile dell’autrice è brillante e conciso. I passaggi più importanti sono spiccatamente memorabili.

A partire dal 7 Ottobre dell’anno scorso, le immagini del genocidio palestinese hanno fatto giro del web. Spesso, sono accompagnate da un monito: “Don’t look away.” Non distogliere lo sguardo.


In Regarding the Pain of Others (in italiano, “Davanti al dolore degli altri”), Susan Sontag ripercorre la storia della fotografia di guerra. Cosa vuol dire fotografare la morte, la fame o la tortura? In che modo accogliamo queste strazianti testimonianze, da fuori e da lontano?


Nel corso del tempo, le fotografie sono state utilizzate sapientemente come mezzo di propaganda politica. La stessa strage può essere diffusa da schieramenti opposti di un unico conflitto, e non è raro postdatare immagini suggestive per adattarle ad un contesto nuovo.


Sontag descrive la fotografia come uno strumento soggettivo, parziale, definito dalle parole che lo accompagnano. Di fronte ad un’ingiustizia — non a caso sempre lontana — le testimonianze visive ci rendono spettatori di un soggetto che non può ricambiare il nostro sguardo.


La fotografia di guerra viene scattata per chi non c’è, per chi non l’ha vissuta sulla sua pelle. Viene scattata per noi su di loro.


In questo senso, davvero la compassione è una risposta sufficiente? Chi siamo noi e chi sono loro?


Susan Sontag non offre delle soluzioni pratiche, ma fa le domande giuste. La realtà è che tante delle persone che non distolgono lo sguardo si perdono in una sensazione di impotenza, che le rende al contempo immobili e innocenti.


“Le storie,” scrive Sontag, “ci aiutano a comprendere. Le fotografie fanno qualcosa di diverso. Ci tormentano.”


Quando un fantasma infesta una casa in un film horror, non è colpa di nessuno. Ma la guerra ha un responsabile. Lo spunto più interessante del libro, allora, è il seguente: a chi crediamo di avere il diritto di dare la colpa? Come traduciamo la comprensione e l’empatia in azioni tangibili?