07/06/2024

Otto Mesi d'Inferno

Una retrospetttiva sul genocidio in Palestina

07/06/2024

Otto Mesi d'Inferno

Una retrospetttiva sul genocidio in Palestina


Tempo di lettura: 25 minuti

Otto mesi fa, i militanti di Hamas hanno condotto un’operazione militare contro lo Stato di Israele. L’attacco è una risposta a due anni di escalation militare israeliana e mezzo secolo di occupazione, ma comunque riesce a cogliere quasi tutti di sorpresa.


Il tempismo della dinamica è stato quantomeno azzeccatto - dopo l'invasione dell'Ucraina, dopo due anni in cui l’Occidente si è finto difensore dei popoli sotto occupazione, la Palestina è ritornata in prima pagina.

L’Occidente si è ritrovato tra le mani una guerra sanguinosa e scomoda, e d’improvviso, stare dalla parte dei popoli oppressi ha smesso di essere una scelta conveniente.


Non è la prima né l’ultima volta che le contraddizioni del sistema in cui viviamo si palesano con tanta violenza, ma proprio in momenti come questo è il caso di fermarsi e allargare lo sguardo.

D’altronde 8 mesi di genocidio, proteste, scontri, tensioni e pianti isterici dell’Occidente ci hanno detto tanto.


Non sono stati 8 mesi qualsiasi: nel 2023 Israele ha ucciso più palestinesi che in qualsiasi altro anno dall’inizio della sua occupazione nel 1948, e il 98% di queste uccisioni è avenuta nei tre mesi che hanno seguito il 7 ottobre.


La domanda è: come ci siamo arrivati a questo punto? Come reagisce un Occidente stanco e indebolito di fronte al genocidio più documentato della Storia? Qual è il nostro ruolo in tutto questo?


Con questo Schizzo dalla Distopia, ci faremo spazio nel caos mediatico, affronteremo la situazione a mente fredda, e ci daremo delle coordinate chiare ed accessibili per orientarci da qui in avanti.

Inoltre, cercheremo di comprendere le luci e le ombre che costellano le mobilitazioni che ha portato avanti il Movimento, con grande dignità e sin dal momento in cui l’escalation è iniziata.

Israele: Un Progetto Coloniale
    “Se fossi un leader arabo non firmerei mai spontaneamente un accordo con Israele. È normale, abbiamo rubato la loro terra.” Citazione attribuita al primo primo ministro israeliano, David Ben Gurion, datata durante la nascita dello Stato di Israele.


Il movimento sionista sapeva bene cosa stava facendo fin dall’inizio. Lo Stato di Israele non è mai stato dirottato e non si è mai corrotto, anzi ha goduto da sempre di ottima salute.


L’Occidente ha finito per supportare il progetto sionista proprio quando è diventato un buon modo per beneficiare della colonizzazione senza doverne pagare il prezzo. In un momento di crisi, quando nessun ebreo poteva dirsi al sicuro, la frangia destra della comunità ebraica ha accettato di stringere la mano del diavolo per avere una sedia all’inferno.


Il sionismo ha accolto in pieno l’apparato coloniale europeo e l’ha usato come rampa di lancio per garantire una finta emancipazione al popolo ebraico. Si tratta del tentativo più lecchino di assimilare un popolo oppresso all’interno delle logiche coloniali del proprio oppressore.

Non a caso, Mussolini e il fascismo sono state una fonte d’ispirazione per la destra sionista.


Questa complicità ha permesso ai sionisti di ereditare dall’Inghilterra un pezzo di terra da colonizzare.


D’altronde, lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” parla da sé: i palestinesi che abitavano in quella “terra senza popolo” sono stati deumanizzati fin dal primo giorno.


Non c’è spazio in questo articolo per ripercorrere nel dettaglio la storia del conflitto, ma basti sapere come Israele ha mosso i primi passi e perché. Una lente del genere è fondamentale per contestualizzare gli insediamenti illegali, l’occupazione, la Nakba e le intifada, quel che sta succedendo oggi e quello che succederà domani.

Tutto procede secondo i piani.

Un (Tecno)Genocidio Sotto Ogni Punto di Vista

Quello che sta succedendo in Palestina è un genocidio perpetrato da Israele e dall’Occidente ai danni dei civili palestinesi. Indipendentemente dalle opinioni personali di Liliana Segre, un’affermazione del genere non è una bestemmia, ma la pura verità. E, per una volta, è la pura verità sotto ogni punto di vista.


Supponiamo per un attimo di essere disposti a partecipare alla ridicola scenetta dell’imparzialità, ed esaminiamo tutte le argomentazioni implicite ed esplicite che definiscono un genocidio, analizzandole in modo “neutrale”.


Ci abbassiamo a questi livelli non soltanto per risultare inattaccabili, ma anche perché al momento poche persone sono in grado di definire la parola 'genocidio' in modo esaustivo. Forse la nostra lista può chiarivi le idee.

È genocidio quando lo dice la legge

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Se il Capitalismo è la partita più violenta di uno sport millenario, la legge sono le regole del gioco, la costante che garantisce a priori l’incolumità dei partecipanti e la vittoria del migliore.


L’arbitro che ci siamo “liberamente” scelti è il Diritto Internazionale. Secondo le regole, scritte nero su bianco più di sessant’anni fa, il genocidio è un crimine internazionale. Stando a questa argomentazione, avrebbe senso controllare se le azioni di Israele coincidono con quanto dichiarato dal Diritto Internazionale.

Due mesi fa, Francesca Albanese (Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati) ha compilato un Report sull’argomento.


Si dice che un gruppo sta subendo un genocidio quando un ente si propone di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. La “distruzione” di un gruppo viene definita secondo questi parametri:


  • • i membri del gruppo vengono sistematicamente uccisi;
  • • i membri del gruppo subiscono gravi lesioni all’integrità fisica e/o mentale;
  • • il gruppo viene deliberatamente sottoposto a condizioni di vita intense che ne provocano la distruzione fisica, totale o parziale;
  • • vengono impiegate delle misure mirate ad impedire nuove nascite all’interno del gruppo;
  • • i bambini vengono forzatamente trasportati da un gruppo ad un altro;

Il crimine, secondo la Convenzione sulla Prevenzione e Punizione dei Crimini di Genocidio, sussiste anche se mosso da intenti di autodifesa dello Stato.


La conclusione del Report è chiara e inequivocabile. Israele risponde a tutti i criteri. Le nostre prove arrivano da organizzazioni indipendenti, da rappresentanti Onu e da documenti interni dello stesso Stato di Israele.

Il genocidio parte dalla disumanizzazione del popolo che lo subisce

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Affrontare questa argomentazione è incredibilmente facile. La classe politica Israeliana ha in più occasioni definito i Palestinesi un popolo di animali.


Fornire aiuti umanitari in Palestina al momento è quasi impossibile. Israele prende ogni giorno la scelta deliberata di bloccare le provviste sul confine, di distruggerle quando le trova, oppure di aspettare con una bomba in mano che arrivino a destinazione.

Il genocidio è spropositamente violento contro civili innocenti

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Questa argomentazione è spesso implicita. Sembra che per molte persone la violenza coloniale sia accettabile, ma solo fino ad un certo punto. Insomma, c’è bisogno di decoro per massacrare un popolo.


Se però questa violenza non la subiamo sulla nostra pelle, allora l'uso della parola genocidio diventa esagerato, e al massimo si parla di sterminio o di "cose brutte".

Questo atteggiamento è tipico della borghesia colta, di quella che condanna l’Occidente per le sue “figuracce” e non per i suoi crimini contro l’umanità.


Ma anche se accettassimo di stare al loro gioco, dal 7 Ottobre l’escalation di violenza israeliana ha raggiunto dei livelli mai visti prima.
Soltanto negli ultimi 6 mesi, sono morti più bambini palestinesi che in tutte le altre guerre degli ultimi 5 anni, sommate. Questi bambini sono morti in un luogo che già da anni viene pubblicamente riconosciuto come la “prigione a cielo aperto” di un milione e mezzo di persone, e sono morti in esilio, sono morti orfani, sono morti affamati e malati.


In tutto questo, la storia si ripete con incredibile precisione.

Giustificare un genocidio come diritto di autodifesa non è una novità. La stessa linea retorica è stata utilizzata dai nazisti dopo i pogrom della “Notte dei Cristalli” (gli ebrei “se l’erano cercata” perchè notte prima un ragazzino ebreo aveva ucciso un nazista).


Ovviamente il nostro punto di vista rispetto al genocidio non proveniene né da delle leggi scritte dall'Occidente, né solamente dalla brutalità e della disumanizzazione del popolo che lo subisce. Un genocidio è un progetto politico che mira a eliminare un popolo per avere accesso alle sue risorse. Agli occhi dei coloni, questo popolo è puramente di intralcio, e va sterminato nel modo più efficiente e meno costoso possibile.


Questo giro, però, gli alleati dello stato genocida sono ancora più forti, ed il supporto incondizionato degli Stati Uniti nei confronti di Israele viene accettato passivamente e in silenzio. Così come al mondo non interessava degli ebrei durante l’Olocausto, oggi i Palestinesi vengono trattati come un impaccio, un ostacolo che sta tra gli stati colonizzatori e le risorse naturali del Medio Oriente. Israele sferra personalmente il colpo di grazia, ma lo fa con le spalle coperte.


Israele dispone di droni che avvisano le vittime che stanno per essere bombardate, ha dei sistemi per distrarre i bambini prima di farli saltare in aria, addirittura impiega su larga scala un sistema di riconoscimento facciale per rafforzare la presa dell'apartheid sui palestinesi. Pensate quante persone hanno lavorato per costruire degli strumenti del genere. Pensate quanta energia e quante risorse sono state rubate ad altri usi per edificare queste atrocità.


Siamo di fronte ad un tecno-genocidio. L’umanità sta utilizzando la tecnologia d’avanguardia per cancellare un popolo dalla faccia della terra, e lo sta facendo nel modo più profittevole possibile. L’arte della distruzione genera profitti in modo automatico.

Il Diritto Internazionale servirà pure a qualcosa

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Il Diritto Internazionale sta facendo pochissimo, e lo sta facendo molto male. Ma non sta facendo ‘niente’.


Il primo ministro israeliano e il Ministro della Difesa si sono recentemente aggiunti ad una lunga lista di persone sotto mandato d’arresto (tra cui, per fare un esempio, figura anche Putin). Di più, però, il nostro arbitro non può fare. Le sue parole sono un po’ come i buoni propositi per l'anno nuovo: sarebbe bello se diventassero realtà, ma nessuno ha voglia di metterli davvero in pratica.


Certo, la reputazione del Diritto Internazionale è culturalmente ancora potente, e in pochi ne mettono in dubbio la legittimità. Il lavoro di Albanese e il mandato di cattura di certo non basteranno a risolvere il conflitto, ma lo spettacolo fa comunque impressione.


La realtà, però, è che non avevamo bisogno della conferma della Corte Internazionale per sapere che in Palestina vengono commessi crimini di guerra e atrocità disumane: il genocidio non è iniziato il 7 ottobre. Il genocidio è iniziato proprio quando le organizzazioni internazionali hanno consapevolmente creato uno Stato coloniale, espropriando il popolo palestinese della sua terra, risorse, case e mezzi di sussistenza.


L’arbitro è sempre in combutta con la squadra che sta vincendo. Quando l’Occidente si sbuccia un ginocchio il suo potere diventa opprimente, e quando viene sterminata una popolazione indigena ha magicamente le mani legate.


È difficile muoversi in un contesto tanto opprimente. In questo caso, è indubbio che l’azione geopolitica più forte sia stata l’operazione di boicottaggio del commercio nel Mar Rosso, portata avanti dagli Houthi.


Nel silenzio assordante di tutto l'Occidente (addirittura anche di Stati storicamente alleati con la Palestina), gli Houthi hanno preso delle scelte concrete per provare a fermare il genocidio.


In Occidente, abbiamo l’opportunità di sfruttare la nostra “vicinanza” col potere per fermare alla radice gli incentivi che stanno guidando le azioni di Israele.


Abbiamo l'urgente necessità di scovare ogni possibile punto di leverage, per costringere tutti gli Stati complici a fermare gli accordi commerciali e bellici con Israele e iniziare a coordinare delle sanzioni economiche efficaci. Dobbiamo riuscire a costringere gli Stati a prendere delle decisioni contro i loro interessi geopolitici, a favore di uno Stato palestinese indipendente e multietnico, cacciando tutti i coloni presenti in quella regione. E solo a quel punto il Diritto Internazionale si risveglierà dal suo sonno, e ritornerà a fingersi il white savior dei diritti umani.

Complicità ed Empatia Selettiva

Abbiamo appurato che in Palestina è in corso un genocidio. In che modo e fino a che punto l’Occidente è coinvolto?


Senza fare troppe premesse, possiamo dirci con franchezza che l’Occidente c’è dentro fino al collo e c’è stato fin dall’inizio. Le nostre banche e le multinazionali lavorano duramente per assorbire la maggior quantità di ricchezza possibile dall’industria genocida.


Di fronte a questa vergognosa complicità, i media, burattini del capitale, sanno benissimo cosa fare. É il momento di tirare fuori la loro arma migliore: l’empatia selettiva.

Questo concetto non implica la totale disumanizzazione di un popolo. Il punto sta nella totale discrepanza tra l’empatia mostrata nei confronti Israele e l'indifferenza 'neutra' e 'professionale' con cui parliamo del popolo palestinese.


Il dolore palestinese è distante, è vago, è assolutamente inevitabile. Il dolore israeliano è urgente, ingiusto, imperdonabile. A Gaza una bambina di quattro anni è una giovane donna, e quando qualcuno ti assassina a sangue freddo si dice che sei “deceduto”.


Una lotta ad armi impari diventa una partita di scacchi, in cui Israele e i servizi segreti più importanti del mondo si pongono l’obiettivo di distruggere “Hamas”, e arrivano alla logica conclusione che il modo migliore per farlo sia bombardare non-stop, per mesi, un milione di civili innocenti.

Se facciamo un piccolo passo indietro e indaghiamo la Storia recente, ci rendiamo conto che Hamas è semplicemente quello che rimane dopo la distruzione da parte dell'Occidente del Fronte della Liberazione Palestinese, che aveva guidato le intifade recenti.


La ciliegina sulla torta è il tentativo di giustificare un genocidio in nome della difesa della cultura ebrea. Su questo aggiungeremmo solo un commento: non è credibile gridare all’antisemitismo quando il tuo partito è pieno di neonazisti.

“E allora come pensi di risolvere questo problema? La questione è più complicata.”

Non è vero. Il discorso è molto più semplice di come viene presentato dai Media. Israele è – ed è sempre stato – un regime di Apartheid analogo a quello che si è sviluppato in Sudrafrica e negli Stati colonizzati durante il ‘900.


Di per sé, pensare di fare la lezioncina ai territori colonizzati del Sud Globale rispetto a quali metodi siano quelli “giusti” per liberarsi dall’oppressione dello stesso Occidente è ridicolo. Al tempo stesso il popolo palestinese si è svegliato ben prima di noi, e le ha provate veramente tutte pur di sfuggire all’oppressione Israeliana.

Ondate di manifestazioni pacifiche, lancio di sassi contro i carri armati, lotta armata, tentativi di collaborazione con le istituzioni del diritto internazionale- la lotta del popolo palestinese non ha niente a che vedere con un semplice “terrorismo” presentato dai media.


Per ogni tentativo di emancipazione - dal più violento a quello più pacifico - la contro-risposta israeliana e occidentale è stata una e una soltanto: il genocidio.


I popoli oppressi sanno bene che liberarsi dall’oppressione coloniale non è affatto un’impresa semplice. La violenza è solo la conseguenza delle condizioni in cui i coloni costringono il popolo oppresso, e l'oppressore scappa soltanto quando l'operazione diventa troppo costosa.


Da una parte, è importante che sempre più persone si rendano conto di essere solo un altro ingranaggio in una macchina genocida, e si rifiutino di partecipare. Dall’altro, dobbiamo costruirci degli strumenti per forzare gli Stati complici a prendere delle decisioni che vanno contro i loro interessi geopolitici, in nome di un Stato palestinese indipendente e multietnico, liberato dai coloni.


Gli Stati Uniti sono ormai i principali fornitori e difensori di Israele, mentre in Europa sembra esserci un minimo margine per mettere un freno alla complicità, e far partire un meccanismo positivo che ci allontani dagli Stati Uniti.


Niente di tutto questo, però, potrà mai diventare realtà senza un'enorme pressione politica.

Luci e Ombre nel Movimento

Se questo è il genocidio più documentato di sempre, lo dobbiamo anche al Movimento, che per questi 7 mesi ha lottato duramente per mantenere l’attenzione sulla Palestina.


In questo processo, è stata determinante la possibilità di postare sui social — più o meno liberamente — video girati in Palestina. D'altra parte, il Movimento ha colto la palla al balzo, e le manifestazioni in piazza si sono costantemente rifatte al genocidio in Palestina, a volte anche a costo di risultare meno comprensibili agli occhi dell’opinione pubblica.

Abbiamo letto i comunicati politici di chi in Palestina si batte ogni giorno contro l’occupazione sionista, siamo tornatə ad occupare le Università in nome di questa lotta, ed ogni iniziattiva politica è stata adattata per dare la priorità a questo tema.


Se tutto fosse dipeso dai burattini del capitale, oggi parleremmo solo dei poveri ostaggi israeliani (diversi dei quali sono morti sotto le bombe dell’IDF), e dei prigionieri palestinesi confinati nelle carceri israeliane non si saprebbe niente.

Siccome però gli esponenti politici vogliono risultare appetibili agli occhi della sinistra, sono stati fatti dei piccoli passi indietro rispetto alla loro complicità in questo genocidio, pena importanti cali di voto. All’opinione pubblica i nostri metodi non piacciono molto, ma, come al solito, sono tutti d'accordo sulle conseguenze delle nostre azioni politiche.


Nel frattempo, sono state messe in campo diverse forme di boicottaggio, che hanno parzialmente funzionato. In primis il boicottaggio delle Multinazionali direttamente coinvolte con Israele (come, ad esempio, la Puma - sponsor della nazionale israeliana -, Starbucks e McDonald’s). Il risultato è stato un decivisivo successo.


Le Università hanno agito con molta cautela, ma la pressione esercitata dallə studentə nell’interrompere gli accordi con Israele e le Multinazionali belliche è stata sottovalutata.

Le azioni dirette contro le filiere della guerra ci sono state e hanno rallentato diverse operazioni, ma avremmo potuto e dovuto ritagliare più energie da dedicare a questo tipo di boicottaggio.


Purtroppo, sembra sempre di essere intrappolati sempre nel solito loop, senza alcuna via d’uscita. Quando siamo in grado di cogliere la palla al balzo riempiamo le piazze di così tante persone che quasi non sappiamo cosa farcene. Poi passiamo mesi interi a cercare di costruire un percorso politico, ma nel frattempo finiamo col perdere una grossa fetta di numeri.


È almeno dalla guerra in Afghanistan che questo circolo vizioso masochista continua ad aleggiare sul Movimento. Sembra che da allora le proteste abbiano perso la loro efficacia nel forzare la mano di chi sta al potere.

Il problema, però, non sta nell'efficacia delle proteste, quanto nelle strategiche del Movimento.


L'occupazione delle Università è sicuramente un caso emblematiico. Siamo statə bravə a catturare il momento positivo per cavalcare l’onda delle proteste studentesche partite dagli Stati Uniti, ma i Movimenti si sono infranti di nuovo nella difficoltà di allargare la protesta.
Molte occupazioni - a cui auguriamo il meglio - non sono riuscite a modificare le politiche criminali intraprese dalle Università, dagli accordi con atenei in zone occupate illegalmente all’intrusione di Multinazionali belliche nei luoghi del sapere.


Purtroppo e ancora una volta, non ci siamo dati il giusto tempo per pianificare una strategia quantomeno a medio termine. Anche quando è stato capace di cavalcare l’onda (comunque una qualità non scontata e che va sottolineata), il Movimento si è scontrato con alcune contraddizioni che si porta dietro da ormai troppi anni.

Alcune occupazioni sono finite proprio durante l’avanzata israeliana a Rafah, il crimine di guerra che racchiude l’apice della brutalità all’interno dell’apice della violenza genocida. Una sconfitta del genere, purtroppo, è molto amara.


Questa non è assolutamente una critica dell’impegno o della lettura politica che è stata proposta. Anzi, al contrario la nostra strategia deve diventare efficace proprio per rendere produttivi questi sforzi. Il rifiuto testardo di mettere al centro un programma politico flessibile che accompagni le mobilitazioni politiche specifiche priva il Movimento di uno strumento fondamentale per fare pressione alle Istituzioni e guadagnare terreno politico. In un contesto in cui veniamo additatə come la parte politica irrealistica e infantile, un programma chiaro e realizzabile è una fonte di legittimità importante. Si sottovaluta troppo quanto piccole vittorie, anche nel breve periodo, possano autoalimentare vittorie successive più grandi.


Al tempo stesso, manca il leverage concreto per poter realmente indebolire il potere e permetterci di strappare vittorie anche nel breve periodo.


Il progressivo allontanamento del Movimento tra le persone che lavorano pesa molto sul nostro raggio d'azione rispetto agli scioperi e al boicottaggio sul posto di lavoro. Allo stesso tempo, non abbiamo le infrastrutture sociali adeguate per organizzare le persone marginalizzate a cui vogliamo rivolgerci.


Lə migranti e le persone razzializzate sono facilmente ricattabili se vengono beccate in piazza a manifestare e il Movimento ha metodi troppo rudimentali per difenderli. Lə precariə e le vittime di violenza sistemica, invece, si trovano ad interagire con delle pratiche politiche che richiedono troppo tempo ed energia, specialmente per persone che il capitalismo ha privato di entrambe queste risorse.


Questo problema si riflette nella fatica nel passare dalle lotte dellə studentə alle lotte del 99%, ovvero nell’ultimo ma decisivo passo da compiere.


Questi 8 mesi d'inferno ci hanno detto tanto. La brutalità e l’intensità che Israele ha utilizzato nel portare avanti il genocidio si sono viste poche altre volte nella storia del conflitto. Seppur con tanta fatica, però, le Università stanno capitolando ai colpi delle organizzazioni studentesche a ritmi che richiamano legittimamente al ‘68.


La legacy del ‘68 è importante, purtroppo però è anche costellata di sconfitte strategiche nei confronti del potere.

Oggi sta a noi invertire questa maledizione che continua ad aleggiare sul Movimento, e iniziare un nuovo ciclo di vittorie per trasformare radicalmente questo sistema.