11/11/24

La Prima Metà di Novembre

La Situazione

Non è
Eccellente
Le notizie della prima metà di novembre.
#freepalestine

#trump
Le notizie della prima metà di novembre.

Nel 2024 si sono tenute più di 100 elezioni. Le stelle e i processi elettorali si sono allineati, e nello stesso periodo hanno votato Francia ed Inghilterra, Messico e Brasile, Unione Europea e Polonia, Ghana e Belgio, e, dulcis in fundo, gli Stati Uniti.


Nel frattempo, il neoliberismo sta esalando i suoi ultimi respiri. Indebolito dalla crisi economica del 2008 e ferito mortalmente dagli sconvolgimenti politici tra il 2011 e il 2016 (quindi Occupy, i movimenti socialisti democratici di Sanders e Corbyn, la Brexit e la prima vittoria di Trump), questo paradigma politico-economico sta morendo sotto i nostri occhi.

I partiti di centrodestra e di centrosinistra – due gusti diversi dello stesso neoliberismo – registrano performance elettorali disastrose, come dimostra la penosa sconfitta di Harris negli Usa. All’orizzonte, intravediamo un sistema finanziario globale nuovo, costruito intorno ai paesi Brics.


Questo momento storico sembrerebbe un’occasione perfetta per i Movimenti. Abbiamo tra le mani una crisi politica mentre il sistema è incastrato in una crisi economica strutturale – cosa vogliamo di più dalla vita?

Secondo Lenin, un periodo è realmente rivoluzionario quando “le classi al potere non sono più in grado di governare in futuro come fanno oggi”.

E, ora come ora, il neoliberismo non solo è incapace di approcciare il futuro, ma a malapena è in grado di resistere al peso del presente.


Eppure, nonostante tutto, qui della rivoluzione non ci sono neanche le tracce. Queste elezioni, al massimo, hanno confermato che gli equilibri politici mondiali si stanno definitivamente sbilanciando a destra.

Quasi quasi ci conveniva rimanere aggrappati al neoliberismo.


Insomma, la confusione sotto al cielo è grande: ma la situazione non è eccellente.


La destra non ha vinto per fortuna o perchè ci ha creduto più di noi.

La destra ha vinto perché si è organizzata bene ed ha colto ogni occasione al volo.

Che quest’anno sarebbe stato decisivo lo sapevamo già da tempo: mentre i Movimenti, però, hanno continuato a ripetere ciecamente i fallimenti che ci portiamo dietro dagli anni ‘80, la destra ha saputo rinnovarsi.


Se i moderni fascisti sono riusciti a colmare il vuoto di potere, è perché hanno partecipato ad una rete di finanziamento e coordinamento internazionale, è perché hanno sfruttato ogni incrinatura del potere costituito, hanno costruito leverage politico nelle istituzioni ed hanno egemonizzato giganti infrastrutture mediatiche come twitter.

A volte a strattoni, a volte con calma, sono riusciti con successo a spostare a destra l'opinione pubblica.


Per carità, l’estrema destra parte sempre avvantaggiata. Quando non metti mai in discussione il primato della classe al potere, sono pochi gli ostacoli sistemici che ti sbarrano la strada. I grandi miliardari sono disposti a investire sul primo fascista che passa, e lo Stato - come dimostra l’esempio francese – preferisce sempre l’ascesa della destra ad una potenziale rivoluzione da sinistra.


Ormai è chiaro: le nostre strutture di Movimento si stanno rivelando fallimentari. Non possiamo lasciarci sfuggire quest’occasione.

Dobbiamo costruire del leverage all’interno delle istituzioni esistenti e, simultaneamente, creare delle contro-istituzioni fluide, coordinate, dinamiche e potenti.

Il movimento francese in Europa, quello populista in Sud America, e, soprattutto, la Primavera Africana in corso, ci stanno dimostrando che si può fare.


I mezzi non mancano. Dimostriamo che l’azionariato popolare è un metodo di finanziamento concreto all’avanguardia, che le organizzazioni operaie possono essere riprogrammate sulla base delle esigenze del precariato e che possiamo creare infrastrutture mediatiche in grado di stimolare un entusiasmo collettivo anticapitalista.


Di fronte a noi abbiamo due strade: continuare così e farci travolgere da un’ondata nera, oppure ricostruire un nuovo Movimento Internazionale, in grado di recuperare terreno e affrontare concretamente l’estrema destra nello scontro politico.



Notizie effettivamente importanti

( Che i media mainstream se le siano cagate o meno )

Spagna Sott’Acqua
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In queste ultime due settimane e mezzo la Spagna è stata travolta da alluvioni e inondazioni che hanno devastato la popolazione. Si parla di più di 200 vittime in pochi giorni e la città più colpita, Valencia, è ridotta ad uno stato di emergenza nero. In confronto il dramma dell’esondazione in Emilia, successo proprio la settimana prima, sembra quasi nulla.

La Sesta Estinzione di Massa aumenta sempre più il suo raggio d’azione: ogni anno una parte sempre più massiccia del pianeta viene devastata dalle anomalie climatiche, che nel frattempo stanno diventando la normalità.


Le anomalie climatiche non sbucano dal nulla: al contrario sono la vera essenza della crisi ecologica che sta segnando la nostra contemporaneità.

Questa crisi infatti è causata dal disequilibrio del ricambio organico tra umanità e natura: in poche parole il modo in cui organizziamo la produzione prende dal sistema naturale ben più di quello che ridà indietro.

L’Amazzonia e l’Australia in fiamme, le coste degli Stati Uniti e del Sud-Asia colpite sempre più frequentemente da inondazioni e uragani, l’Europa che soccombe alle alluvioni, la siccità e la neve nel deserto a distanza di qualche mese: questo è il modo in cui il cambiamento climatico si manifesta.


Non solo la politica mainstream è inerme davanti alla crisi climatica; ma spesso questa tematica viene usata come leverage per tenere in ostaggio forze politiche avversarie, come successo proprio a Valencia.

L’accozzaglia di reazionari del Partito Popolare e di Vox che governa la regione ha sciolto un'unità di emergenza che era stata creata dalla precedente amministrazione socialista proprio per situazioni analoghe a quelle viste in queste due settimane.

Non solo: il servizio meteorologico spagnolo aveva emesso avvisi sulle tempeste in arrivo in largo anticipo, ma l’amministrazione locale ha aspettato evacuare lə cittadinə quando era già troppo tardi.


Questa situazione dimostra quanto sia difficile cambiare gli equilibri di potere. Podemos, con tutte le sue contraddizioni, è una delle poche forze politiche che ha dimostrato la capacità di governance di sinistra, una qualità che in questo momento ci manca come il pane.

Una forza politica che governa però, soprattutto se di sinistra, si ritrova spesso intrappolata in questi giochetti politici sporchi a cui deve dedicare spesso troppe energie per difendersi.

Il risultato è che, nonostante questa emergenza poteva essere evitata se si fossero seguite le indicazioni del governo, la rabbia popolare non ha risparmiato nessuna fazione politica.


La solidarietà dal basso e il conflitto aspro messo in campo dalle classi popolari spagnole è esattamente ciò che serve per evitare che i governi di sinistra finiscano per tradire i propri programmi una volta entrati nelle stanze del potere.

Per questo è giusto che anche Pedro Sanchez – presidente di Podemos e del Governo Nazionale – riceva qualche schiaffo di realtà dallə cittadinə colpitə dall’emergenza.

Anche quando è la sinistra populista a governare c’è bisogno delle lotte dal basso per tirare la giacchetta ai nostri politici e metterli in riga.

In ogni caso, la maggior parte delle proteste si sono scagliate comunque contro i veri responsabili di questa tragedia, ovvero l’accozzaglia di destra.



La crisi climatica avanza imperterrita, com’è logico che sia: il sistema non è in grado di mantenere un ricambio organico equilibrato col resto della Natura. L’unico modo per farlo sarebbe attraverso una transizione ecologica talmente profonda che finirebbe per smantellare le logiche di profitto e di mercato, un crimine che il capitalismo non perdona.

Parliamo davvero di transizione (eco)nomica o morte. L’unica cosa che si frappone tra noi ed un pianeta abitabile è la sete di denaro della classe miliardaria.


Intanto, in questo limbo in cui il sistema può permettersi di tirare avanti prima di arrivare al punto di non ritorno, la crisi si articola nei modi più classisti. Nonostante le prime 100 Multinazionali siano responsabili del 70% dell’inquinamento globale, nonostante in 90 minuti l’1% più ricco del Mondo emette più Co2 di quanto fa una persona normale in tutta la sua vita, i danni economici e sociali subiti dalle catastrofi climatiche ricadono sempre sulle comunità marginalizzate, povere e operaie.

Elon Musk e Jeff Bezos inquinano e le persone dimenticate dalla società ne pagano le conseguenze.


Il tema dell’ecologia presenta le più grandi contraddizioni non solo del sistema, ma anche del nostro Movimento. Siamo statə lə primə a cogliere questo problema negli anni ‘70, l’abbiamo diffuso fino a quando è diventato mainstream e da quel momento il sistema l’ha assorbito e ce l’ha soffiato sotto il naso.

Oggi qualsiasi istituzione si dichiara ambientalista, ogni persona (più o meno) sa che la crisi climatica esiste, eppure in 40 anni il problema è solo peggiorato. Non manca la consapevolezza: mancano i rapporti di forza per espropriare le multinazionali e pianificare l’economia in modo ecologicamente sostenibile.


La transizione ecologica ha tutti i presupposti per dare il via ad un progetto di smantellamento del capitalismo e di riprogettazione dell’apparato produttivo: a noi il compito di impossessarci delle istituzioni che hanno la capacità potenziale di risolvere il problema.

Umiliazione per Holocaust Harris
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Esattamente come in Francia, i risultati delle elezioni statunitensi hanno confermato l’odio popolare e diffuso nei confronti dei politici rappresentanti dell’ordine neoliberista come Harris e Macron, al di là delle effettive policy di Trump.


Le persone ormai non ne possono più dell’ipocrisia del centro neoliberale, che negli ultimi 30 anni si è sciacquata la bocca di autonomia, prosperità e integrazione, soltanto per regalarci precarietà, disuguaglianza e criminalizzazione.

In mancanza di alternative a sinistra, per ora il 99% – o almeno la parte di noi che ancora vota – preferisce un autocrate che odia il popolo esplicitamente ad un robot pre-programmato che mente sempre nello stesso modo.


D’altronde, il Partito Democratico ha fatto di tutto per perdere queste elezioni: Biden è rimasto in gara per fin troppo tempo nella gara, il 70% del genocidio commesso da Israele è stato finanziato dai cittadini americani, Kamala Harris è stata selezionata come candidato senza neanche passare delle primarie, e nel frattempo i peggiori criminali di guerra repubblicani hanno apertamente appoggiato i dem piuttosto che Trump.

Una performance penosa, simbolo di un Partito a cui spesso conviene perdere pur di ottenere il suo vero obiettivo: evitare che si sviluppino forze politiche anche solo critiche del sistema, da quelle moderate à la Bernie Sanders fino ad arrivare al vero e proprio anticapitalismo.

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Tra l’incapacità dei Movimenti di spostare gli equilibri e il fallimento preannunciato dei dem, a vincere è il biglietto Trump-Musk, la combo dei due miliardari indebitati fino all’osso, pronti a mettere a profitto l’intero apparato istituzionale statunitense.

L’Impero Americano si è definitivamente tolto la maschera: l’alleanza tra Stato-Grandi Multinazionali e Industria Bellica non è mai stata così salda. L’oligarchia ormai ha talmente tanto campo che non ha bisogno più di nascondersi dietro un dito. E, purtroppo, gli Usa non sono il primo stato a intraprendere questo percorso.


Se le oligarchie di tutto il mondo escono allo scoperto è perché la sinistra radicale è in una fase di depressione generale. Negli ultimi decenni, i Movimenti anticapitalisti hanno sofferto della sindrome da montagne russe: momenti di vertiginoso ed effimero conflitto si sono alternati a lunghi periodi di bassa intensità di mobilitazione.

Oggi, non siamo neanche più capaci di far scattare la scintilla di rivolta - figuriamoci farla durare nel tempo.


Il paradigma politico sta cambiando e, se non agiamo in modo coordinato, ripensando da capo ai modi di fare politica, non solo perderemo il treno, ma finiremo travoltə dall’avanzata nera che arriva all’orizzonte.

L’abbiamo già visto con Bernie Sanders: anche il più moderato dei moderati può smuovere sensibilmente l’opinione pubblica a sinistra e mandare in sbatti la classe al potere. Pensate cosa può fare il nostro coraggio politico se supportato da un coordinamento globale solido e concreto e da piattaforme mediatiche in grado di propagare alle masse i nostri messaggi politici.


A riprova della nostra tesi, figure come Rashida Tlaib and Ilhan Omar, apertamente pro-Palestina già in tempi non sospetti, sono state rielette con ampio margine.

Non solo: in sei diversi stati (Arizona, Colorado, Mariland, Missouri, Nevada, New York) sono passate delle leggi sull’aborto, molte delle quali inseriscono il diritto all’aborto nella Costituzione.

In Nevada, addirittura, il popolo ha votato per abolire la moderna schiavitù (ossia per cancellare dalla costituzione locale una famosa clausula del tredicesimo emendamento, secondo cui il lavoro non pagato è legittimo se i lavoratori sono dei prigionieri).


I Green, il PSL e il People’s Party dovrebbero cominciare a formare un’unica alleanza alla sinistra del duopolio democratico-repubblicano, anche solo per poter superare la fatidica soglia del 5% che permette ai terzi partiti di ricevere finanziamenti importanti.


Non possiamo continuare a rinviare il momento in cui la frustrazione sociale viri a sinistra invece che a destra. Anche perché, purtroppo non tutte gli Stati sono il Nevada. A volte – come, ad esempio, è successo in California – la rimozione della clausola che legalizza la schiavitù semplicemente non passa, nonostante non abbia avuto un’opposizione organizzata e nessuno abbia speso un dollaro per contrastarla, tanto che secondo la guida ufficiale per gli elettori spedita dall'ufficio del Segretario di Stato non sono stati presentati argomenti contro la misura.


La rabbia popolare non è un blocco unico e granitico di persone che la pensano allo stesso modo; è un flusso non elaborato di frustrazioni accumulate nel tempo. Sta alle forze politiche captare, assorbire e direzionare questo sentimento collettivo in un leverage sociale: e su questo fronte l’estrema destra “is kicking our asses”.

Serve una nuova coscienza di classe 4.0 per allontanare il risentimento sociale dalla guerra tra poveri e indirizzarlo verso la lotta di classe.

Aggiornamenti dal Genocidio in Mondovisione
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La campagna di sterminio israeliana raggiunge ogni giorno nuove vette, e le notizie che ci arrivano dal nord di Gaza sono forse le più devastanti.


Le persone che nel corso di quest’anno non potevano o si sono rifiutate di evacuare le loro case sono oramai soggette a bombardamenti costanti, interrogatori, arresti ed esecuzioni sul campo; intere famiglie vengono giustiziate a vista, a Sheikh Zayed e al-Joura le testimonianze riportano “famiglie separate con la forza l'una dall'altra”, “uomini arrestati e portati in luoghi sconosciuti per le indagini, e le madri separate dai loro figli.”


L’IDF ha annunciato la “completa evacuazione” del nord di Gaza, dichiarando esplicitamente che ai residenti non sarà permesso di tornare a casa. Gli aiuti umanitari potranno entrare “regolarmente” nel sud di Gaza (qualunque cosa regolarmente voglia dire) ma non nel nord, dove ormai “non ci sono più civili”.

Quando la dichiarazione ha suscitato un po’ di scalpore, giusto giusto il minimo sindacale, l’IDF ha prontamente corretto l’affermazione “presa fuori contesto”, affermando contro ogni prova che sì, gli aiuti umanitari arriveranno anche nel nord di Gaza.


A questo stadio del genocidio, le parole smettono di avere senso. Lasciamoci, piuttosto, con dei dati: il numero di vittime libanesi è arrivato almeno a 3200 persone; secondo un report dell’ONU, l'età più rappresentata tra i morti palestinesi è quella dei bambini dai cinque ai nove anni; gli Stati Uniti di Joe Biden hanno finanziato il 70% del genocidio.


Nel frattempo, Netanyahu ha licenziato il suo ministro della difesa. Un attacco militare di questa portata costa, sia economicamente che politicamente, anche quando si agisce sotto la guida costante degli Stati Uniti d’America.

In mancanza di alternative, il nostro augurio è che il governo genocida crolli sotto il suo stesso peso e che il Movimento riesca ad affondare il coltello nella piaga. Una guerra civile israeliana in questo momento è la migliore speranza per un possibile accordo di pace.

Un Nuovo Sistema Finanziario all’Orizzonte
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Nell’ultima settimana di ottobre, c’è stato il summit dei paesi Brics.

Quest’alleanza economica, a trazione Cina-Russia, per ora comprende nove paesi: India, Sud Africa, Brasile, Iran, Etiopia, Egitto, Arabia Saudita, e, per l’appunto, Cina e Russia.


I Brics non sono da sottovalutare, anzi. Il loro Pil supera quello dei paesi del G7, e costituiscono un insieme eterogeneo di nazioni che vogliono staccarsi, almeno parzialmente, dalle logiche predatorie del Fondo Monetario Internazionale. Tanti sono le nazioni e le forze politiche interessate a far parte del gruppo; citiamo, ad esempio, Cuba, il Venezuela e le fazioni movimentiste della Primavera Africana in corso.


Alcuni Stati hanno aderito all'alleanza per semplice convenienza, mentre alcuni Movimenti – specie in Africa – vedono nei Brics un'ancora di salvataggio, in grado di liberarli dal colonialismo economico occidentale.

Si tratta, sostanzialmente, della nascita di un nuovo polo geopolitico.


L’ultimo summit ha marcato un momento importante: sotto la spinta di Lula, presidente socialista del Brasile, i Paesi Brics hanno iniziato a delineare gli schizzi di un nuovo sistema finanziario sovranazionale.

Non è un caso che la proposta arrivi da un rappresentante della sinistra sudamericana, già da tempo aperta alla possibilità di istituire una moneta unica per contrastare l’egemonia del dollaro.


L’unica vera speranza per una de-dollarizzazione reale, però, è la Cina. Sono state proprio le banche nazionali cinesi ad assorbire il debito pubblico americano in questi decenni, e dovrebbero essere quelle stesse banche cinesi a fare prestiti all’alleanza. Per ulteriori approfondimenti, vi consigliamo questo video di Yanis Varoufakis.


Un nuovo sistema finanziario emerge dalle ceneri di quello vecchio: dopo aver comprato il debito americano, la Cina apre il cammino della de-dollarizzazione.

Questa è un’ulteriore riprova del crollo delle istituzioni neoliberali, basate sul dominio assoluto dell’Impero occidentale e sull’unipolarismo yankee.


Addirittura, pure Mattarella si è accorto che qualcosa si sta muovendo. In questi giorni, infatti, si è fatto un viaggio in Cina per sondare un possibile terreno di cooperazione economica.


Sicuramente, questo sconvolgimento non è neanche lontanamente paragonabile a portato avanti dall’Unione Sovietica, e non ricoprirà il ruolo di finanziatore globale dei Movimenti anticapitalisti. Non è la Nuova Internazionale Comunista, purtroppo.

Anzi, il fatto che la de-dollarizzazione stia avvenendo in questi termini è un segno della sconfitta dei Movimenti No-Global, che non sono mai neanche arrivati vicini a smantellare il predominio americano in più di 15 anni di mobilitazione.

Invece di distruggere il dollaro per costruire momentum verso una rivoluzione, il capitalismo decade da una superpotenza all’altra nel silenzio generale dei Movimenti.


Indipendentemente dagli errori passati, però, non possiamo sprecare questa ghiotta occasione. Se già il Mondo si sta spostando fuori dall’egemonia occidentale, perché non costringere l’Europa a rompere definitivamente col Patto Atlantico?

Un’Europa indipendente dall’egemonia statunitense potrebbe essere il primo passo verso lo smantellamento dei suoi progetti coloniali 4.0.

Sempre meglio provare, no?

La Germania è Presente! all’Appello
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Nel 2021, all’indomani delle elezioni tedesche, i Media Mainstream hanno passato settimane a tessere le lodi della Germania e degli elettori tedeschi, capaci di prendere scelte sobrie senza mai spingersi troppo a destra o troppo a sinistra.


Al tramonto dell’interminabile era Merkel, infatti, in un periodo in cui l’estrema destra avanzava rapidamente in tutta Europa, il popolo tedesco sceglieva una coalizione di centro-sinistra tra Socialdemocratici, Verdi e Liberali, con i rapporti di forza sbilanciati – teoricamente – a sinistra.

I neonazisti di AfD erano rimasti ad un “misero” 11%.


Oggi, a malapena tre anni dopo, questo governo è crollato su sé stesso, per la grande umiliazione dell’area politica coinvolta.


Non importa quante volte sia già successo, i media non hanno ancora capito che le accozzaglie di centrosinistra sono i migliori alleati dell’estrema destra.


Parliamoci chiaro: Il Partito Socialdemocratico Tedesco (Spd) ha vinto con un programma elettorale che prometteva un presunto “ritorno a sinistra” dopo una lunga sbornia neoliberista.

L’Spd, a quanto pare, aveva capito i suoi errori, ed era disposto a tornare alle sue origini di Partito riformista di sinistra.

È con questo programma che l’Spd ha vinto – anche perchè Scholz, il segretario di partito, non brilla sicuramente per il suo carisma….


Il problema, come al solito, è che alla prova dei fatti la “sinistra” non mantiene le sue promesse, e le classi popolari – già stufe di loro dell’ipocrisia neoliberista – si alleano con l’unica opzione rimasta: l’estrema destra.


È inutile che i Media ci girino attorno: il governo Scholz è stato un fallimento preannunciato. La coalizione si è frantumata davanti alle continue negoziazioni interne, dimostrando la sua incapacità di costruire legittimità popolare e usarla come leverage per mettere con le spalle al muro le fazioni più moderate.

Il programma, insomma, è stato tradito. Le spese militari sono aumentate vertiginosamente ed il sistema è stato riformato solo in minima parte. Di conseguenza, questo governo è diventato il più impopolare della storia tedesca, nonostante avesse vinto le elezioni con un buon risultato.


L’attuale crisi di governo preannuncia le elezioni del 2025, dove, con tutta certezza, nessuna figura della coalizione verrà rieletta.



A volte, ci viene il sospetto che i partiti di centrosinistra preferiscano perdere.

L’abbiamo visto nelle ultime elezioni in Francia, dove era palese che Macron volesse lasciare “temporaneamente” il potere alla destra per “bruciare” le loro chance di vittoria alle presidenziali, e lo si è visto anche con i dem statunitensi e italiani. Il centrosinistra, che ha costruito la sua immagine come forza politica pragmatica, disposta a compromessi pur di vincere e di mantenere il potere, non fa altro che perdere, e in modo anche umiliante.


La maschera ormai non regge più.

Il centrosinistra, lungi dall’essere una forza pragmatica, ha un altro ruolo ben più importante per il sistema: bloccare il limite del discorso pubblico da sinistra e a fare in modo che qualsiasi policy storica dei Movimenti Operai – come l’aumento dei redditi da lavoro e della spesa sociale, la costruzione di istituzioni operaie e la redistribuzione delle ricchezze – venga vista come un relitto del passato, una cosa che la “sinistra moderna” non farebbe mai.


Ecco qui i grandi risultati del centrosinistra.

Pur di non supportare delle riforme strutturali, pur di non gettare oggi i semi della società del domani, i socialdemocratici hanno accompagnato la destra tedesca al potere per l’ennesima volta.

Per “fortuna”, in Germania il nazifascismo non va di moda tanto quanto succede in Italia, e nell’alleanza di destra che sta emergendo il centro-destra è in maggioranza rispetto ad AfD. Gira che ti rigira, però, l’estrema destra è arrivata quasi al 20%, raddoppiando i suoi consensi in meno di 4 anni.


In mancanza di alternative politiche serie alla sinistra dei neoliberisti, il 99% si rifugia nell’estrema destra. È successo in Italia, sta succedendo anche in Germania.

L’apparato istituzionale vira verso l’autoritarismo, lo Stato di polizia e la repressione, e il nostro operato – già fallimentare di suo - diventa sempre più impraticabile.


Serve necessariamente un cambio di strategia. Se non si coglie la palla al balzo, si rischia seriamente l’implosione di ogni residuo politico anticapitalista.

Why is it trending?

Perché stiamo ancora parlando di questo?

Provaci Ancora Landini!
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C’era una volta, nei lontani decenni del Dopoguerra, la Cgil: uno strumento nazionale di coordinamento delle lotte, un’istituzione operaia di organizzazione di scioperi generali e scontri serrati contro i padroni delle fabbriche.

Se unə compagnə entrato in coma negli anni ‘70 si fosse appena svegliato, e avesse sentito le ultime parole del leader della Cgil – Landini – forse penserebbe che da allora niente è cambiato.

“Serve una rivolta sociale”, ci dice Landini, ed è una frase che non stupisce se hai in mente l’ambiente sindacale degli anni ‘60 e ‘70.


Eppure, sappiamo bene che oggi la Cgil odierna è l’ombra di sé stessa.

Lungi dall’essere uno strumento operaio, il sindacato confederale “più a sinistra” è poco più che una stampella a supporto del sistema, un’istituzione che istruisce la classe operaia 4.0 a sopportare e accettare le peggiori condizioni di lavoro possibili.

La Cgil è complice di ogni misura che ha smantellato lo Statuto dei Lavoratori e di ogni forma di tutela sociale conquistata con le unghie e con i denti durante il Secondo Dopoguerra. Che il suo leader Landini parli di rivolta sociale è ridicolo.


Il terreno politico in questi decenni di smantellamento sindacale è scivolato inesorabilmente verso destra, tant’è che anche solo questo bluff lanciato da Landini – che millanta scioperi e rivolte dopo aver firmato i peggiori accordi con Confindustria – è stato sufficiente a far uscire il governo allo scoperto. Addirittura, sono subito arrivate le minacce di querela(!).

Assurdo che l’estrema destra passi il suo tempo ad inventarsi manovre “bolsceviche” dettate dall’alto delle istituzioni, parlando costantemente di toghe rosse salvo poi denunciare ogni avversario politico.

Se la legge è contro di loro, evidentemente c’è un complotto in corso; quando però quelle stesse istituzioni li accompagnano comodamente al potere, allora tutti stanno facendo il proprio lavoro.

Come al solito, la destra è “antisistemica” ad intermittenza, solo quando conviene ai loro culi.



Al tempo stesso, siamo stufə del modo in cui i Movimenti parlano della Cgil, un’istituzione ai loro occhi irrimediabilmente persa, irrecuperabile e corrotta. Il messaggio sottinteso è spesso una totale sfiducia nei confronti dei sindacati, che rappresentano uno strumento di lotta solo fino a quando restano nel locale.

Come dice Fisher, questa retorica è semplicemente un’altra faccia del realismo capitalista. In questo momento, i Movimenti sono intrappolati in una forma di pensiero magico; è più facile immaginare il crollo del capitalismo che la costruzione di un sindacato conflittuale, di sinistra e su scala nazionale.

È vero, la Cgil si è asservita al sistema: ma chi aveva il compito di mantenerla ligia al conflitto? Chi avrebbe dovuto innovare le sue strutture per adattarle al Post-Fordismo? In Francia la storia è andata diversamente, e vorremmo capire perché in Italia la stessa opera ci risulti infattibile.

Davvero pensiamo di poter fare una rivoluzione senza un sindacato di larga scala?


Per carità, in questo momento anche noi odiamo profondamente la Cgil. Ma cos’ha più senso: continuare a fare gli spettatori e criticare da lontano, oppure mettere le mani nella merda e riconquistare dal basso un’istituzione operaia fondamentale?

Parlando concretamente, è più efficace continuare a fare i blocchi stradali in 4, i cortei in solidarietà ai singoli centri sociali sgomberati e le assemblee di 10 ore ogni mercoledì pomeriggio, oppure provare a costruire dei semi di controegemonia nella Cgil?


Negli anni in cui abbiamo fatto politica nei Movimenti, abbiamo assistito ad almeno una decina di sgomberi di spazi occupati, ad una lunga serie di scissioni sindacali in atomi sempre più piccoli, e a insanabili, insensate rotture tra organizzazioni di per sé già indebolite. Nel frattempo, sono sempre pochissimi gli spazi sociali innovativi, pochissime le vittorie ottenute, nonostante gli infiniti chilometri percorsi in corteo.

Se negli ultimi vent’anni ogni militante avesse investito il suo tempo infiltrandosi nella Cgil – una delle possibili strategie di riconquista, neanche necessariamente la migliore – oggi saremmo sicuramente in una situazione politica più fertile.


Invece no, continuiamo a guardare la partita e a gridare insulti dagli spalti. I risultati, purtroppo, si vedono.


Landini, intanto, preso da un raptus di comunismo 4.0, ha addirittura chiamato una campagna di sciopero nazionale, e sembra determinato ad insistere col suo bluff.

Quale momento migliore per attaccare? Il leader del più grande sindacato italiano chiede una rivolta: è nostro il compito di forzare la sua mano e costringerlo a mantenere le sue false promesse.

D’altronde, se non siamo in grado di attivarci e costruire egemonia in uno sciopero nazionale come cazzo pensiamo di poter espropriare anche solo una singola Multinazionale?

Ogni Occasione è Buona per Essere Razzisti: i Miracoli del Femminismo Bianco
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Sabato 3 novembre, una ragazza iraniana è stata fermata dalla polizia di fronte alla sua università, con l’accusa di non essersi vestita adeguatamente. La studentessa si è spogliata in segno di protesta, ed è rimasta seduta su un muretto in mutande e reggiseno. Le guardie l’hanno trascinata con la forza su un’auto, e giorni dopo tutto quel che sappiamo della ragazza è che attualmente è in coma.


Non sono molte le reazioni che possiamo avere di fronte ad un evento come questo. Il gesto ribelle di un singolo individuo può diventare simbolo di un movimento così come scivolare immediatamente nel dimenticatoio. Umanamente, possiamo solo immaginare di essere al posto di una giovane ragazza che rischia la vita per opporsi all’ennesima ingiustizia. Politicamente, per noi è difficile ricondurre l’evento ad un quadro generale e riportare la notizia oltre la cronaca nera, se non forse passando da organizzazioni iraniane che già lavorano sul territorio.


La reazione del femminismo bianco su twitter, però, ci stupisce. Nelle bocche degli occidentali “progressisti”, la critica della violenza patriarcale nei confronti delle donne razionalizzate diventa veicolo per un razzismo da quattro soldi.


Per l’ennesima volta, il sistema in cui viviamo trova il modo per vanificare ogni nostro sforzo. Anche quando riusciamo a riconoscere un’ingiustizia come tale, manchiamo il bersaglio e le nostre critiche finiscono per mettere il coltello nella piaga del problema. Questa notizia, infatti, si è diffusa su internet attraverso delle immagini ambigue, in cui il gesto della ragazza viene raffigurato in contrapposizione non alla violenza della polizia, ma all’aspetto delle altre donne. Insomma, la protesta simbolica viene elevata non ad un gesto coraggioso contro lo Stato e le sue discriminazioni, ma contro altre donne oppresse che, per mille ragioni diverse, indossano un velo.


Ogni occasione è buona per parlare di tutto e non cambiare mai niente. Difendiamo il femminismo solo quando possiamo trattarlo come una parola vuota, che ci sentiamo liberi di riempire - consciamente o meno - con il primo pregiudizio che ci passa sotto mano.


Solidarietà alla ragazza in coma, vittima di un sistema patriarcale e razzista, che finalmente morirà solo se attaccato alla radice.

La Distopia Colpisce Ancora

Non ci aspettavamo nulla, però porco d-

I Frutti del Patriarcato Sono Sempre di Stagione
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Come abbiamo scritto in un articolo precedente della Distopia in Tempo Reale, non è facile parlare di cronaca nera.

Solo nella prima settimana di novembre, in Italia ci sono stati 6 femminicidi, e la vittima più giovane aveva solo 13 anni.

Le conseguenze dei femminicidi si riflettono nella vita personale di persone che non conosceremo mai, se non attraverso il titolo di un giornale. Al contempo, ogni violenza fa eco alla precedente e scorre a partire da un’unica fonte.


Non sentiamo il bisogno di aggiungere granché all’articolo che abbiamo già citato. L’unica soluzione è affrontare la questione alla radice.


L’abbiamo già detto e di nuovo lo ripetiamo. Non possiamo salvare chi già ha sofferto. Ma in tantə chiedono il nostro aiuto adesso. Fuori dalle emergenze, indipendentemente dalle notizie in televisione – noi cosa stiamo facendo per rispondere?

Good Ending

Perché succedono anche cose belle

Un Altro Porto in Rivolta
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La notte del primo novembre, una nave israeliana ha attraccato al porto di Istanbul, ed i portuali turchi hanno provato ad intercettarla.

La scena è da vera e propria guerriglia urbana. I portuali turchi sfondano diversi cordoni della polizia, e le tensioni aumentano sempre di più, fino a quando un agente spara in aria un colpo di “avvertimento” per disperdere la folla, di fatto minacciando di sparare nel mucchio.


Non è una novità; in Turchia è diffuso un forte sentimento a favore del popolo palestinese. In effetti, lo Stato turco più volte ha condannato le azioni di Israele e ha dichiarato di aver interrotto i rapporti con lo stato genocida. Eppure, le scene del primo novembre ci dimostrano che la situazione è più ambigua di quel che sembra.


Il problema di fondo è che l’autocrate Erdogan si diverte a stare con due piedi in una scarpa. Sia con i Brics, che col G7; sia con la Nato che col Blocco Orientale; sia con Putin che con l’Unione Europea, sia con l’Occidente che col Sud Globale. Insomma, sia coi coloni che con i popoli colonizzati.


La stessa tattica si riflette nella sua strumentalizzazione dell’identità araba. Quando può manipolarla per far passare politiche reazionarie, allora improvvisamente si erge come suo rappresentante; quando però si tratta di armare la Palestina – o boicottare le armi del suo nemico – magicamente questa solidarietà su base etnica si dissolve nel nulla.


L’episodio al porto non è stata l’unica protesta del primo novembre.

Di giorno, le persone sono scese in piazza contro le manovre autoritarie e dittatoriali di Erdogan.

È fondamentale, in un momento come questo, che la classe operaia turca sia in grado di assorbire il malcontento ed usarlo come leverage per rovesciare il governo.


Il regime di guerra si sta solidificando e sarà una componente strutturale del nuovo corso politico che sostituirà il neoliberismo in putrefazione.

È fondamentale costruire un’opposizione all’industria bellica a trazione operaia.


Come abbiamo visto nella scorsa puntata, diverse città portuali hanno usato l’arma del boicottaggio marittimo per bloccare le navi belliche dirette verso Israele. Nonostante episodi come questo rimangano quasi sempre spontaneisti, si intravedono comunque dei risultati.

Perché non partire da questa tattica già collaudata, e costruire da qui un nuovo coordinamento operaio internazionale?

Tifosi Israeliani Pestati come Dio Comanda
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Escluse una manciata di eccezioni, ogni giornalista mainstream dovrebbe essere processato per crimini contro l’umanità sulla base del modo in cui sta trattando il tema del genocidio palestinese.

La manipolazione della realtà compiuta da questi burattini dell’1% è surreale: le vittime diventano carnefici e i peggiori criminali della Storia diventano dei poveri agnellini indifesi.


Come diciamo sempre, per fare propaganda non serve necessariamente mentire. A volte, basta scomporre e ricomporre gli eventi e raccontare delle mezze verità, ed ecco pronta una versione dei fatti funzionale a chi detiene il potere, vomitata a tavolino su tutti i programmi di informazione.

In questa vicenda, però, il lavoro dei Media è stato così blando che hanno finito per raccontare tutto al contrario.


I protagonisti della vicenda sarebbero i poveri tifosi del Maccabi Haifa, una squadra israeliana che per qualche strana ragione gioca in un campionato europeo (anche se alla fine gli israeliani sono dei coloni europei, quindi forse ha senso).

Questi innocenti tifosi sarebbero stati aggrediti dalla pericolosissima curva dell’Ajax, antisemita fino al midollo.

La serata infernale è stata più volte descritta con un pogrom, un atto d’odio contro un gruppo di ebrei totalmente casuale.


Questa narrazione è talmente assurda è stata smentita dagli stessi giornalisti presenti durante la vicenda.


In realtà, le cose sono andate più o meno così: un gruppo di “tifosi” israeliani ha preso un aereo per Amsterdam soltanto per vedere la propria squadra umiliata dall’Ajax (hanno perso 5 a 0), e poi, non contenta, ha deciso di provocare dal niente degli scontri col resto della città – e pensare che tra di loro c’era pure il Mossad...

Questi tifosi sapevano bene che la tifoseria dell’Ajax è composta anche da segmenti pro-Palestina, e li hanno puntati di proposito; hanno attaccato diverse quartieri migranti e arabi della città ed hanno cominciato ad intonare cori esplicitamente pro-genocidio.


Il pestaggio che hanno subito è la conseguenza minima sindacale.

Le immagini e i video di queste immondizie umane prese a calci e pugni sono estremamente catartiche per chi, come noi, ha i feed dei social pieni di distopiche scene di guerra progettate ed eseguite dallo Stato israeliano.


I Media, pur di difendere Israele, hanno mentito spudoratamente, invocando un presunto “antisemitismo dilagante” e addirittura tirando fuori traumi reali della memoria collettiva ebrea come la Notte dei Cristalli, infamando così le vittime della prima grande atrocità nazista nei confronti del popolo ebraico.

Per mantenere in piedi la loro retorica anti-araba e pro-Israele, l’Occidente ha fatto il paragone più antisemitico di sempre, mettendo sullo stesso piano dei tifosi suprematisti a delle vittime del nazismo.

Insomma, due piccioni con una fava: un perfetto mix di antisemitismo ed islamofobia.


Noi per ora continuiamo a goderci le testimonianze di sofferenza atroce dei tifosi israeliani malmenati. Questa è esattamente l’accoglienza che si meritano.