28/10/2024
La Seconda Metà di Ottobre
Reality
Management™
Reality
Management™
Le notizie della seconda metà di ottobre.
#freepalestine
#abolishthepolice
Intro
Qual è la definizione di realtà? La domanda sembra banale, ma la risposta non è affatto semplice semplice.
Consiste semplicemente in ciò che vediamo con i nostri occhi? Abbraccia ogni singolo evento mai accaduto sulla faccia di questa terra? Possiamo selezionare delle informazioni “importanti”, che compongono le fondamenta delle realtà? Viene prima la realtà o la sua narrazione?
Qualunque sia la vostra risposta, se non altro siamo certə che quel che percepiamo direttamente con i nostri sensi è solo una piccolissima porzione di ciò che compone l’intera realtà. Ogni altra informazione la assorbiamo attraverso i nostri schermi, secondo le linee guida di Giganti Multinazionali e Piattaforme Mediatiche.
La possibilità di selezionare gli eventi registrati in tutto il mondo e scegliere quali scartare, insieme alla facoltà di impostare implicitamente i limiti entro i quali ogni tema è discusso, è una fonte di potere enorme: si tratta fondamentalmente della capacità di manovrare e manipolare la realtà.
Ogni classe sociale che vuole esercitare un controllo politico, economico e culturale sul resto della società deve essere in grado di mantenere l’egemonia su queste piattaforme.
Per rubare un termine a Mark Fisher, l’industria che lavora ogni giorno per manipolare la nostra percezione della realtà prende il nome di Reality Management.
Il Reality Management va oltre il concetto di egemonia culturale: è la vera e propria capacità di costruire la realtà per plasmare l’opinione pubblica in modo funzionale agli interessi della classe al potere - il famoso 1%.
A meno di due settimane dalle elezioni negli Stati Uniti, ogni forza politica cerca di sfruttare il suo apparato mediatico per affinare la sua versione specifica di Reality Management, nel tentativo di manipolare meglio l’opinione pubblica.
I “democratici” (e il centro-“sinistra”) si arrampicano sugli specchi per tenere in piedi una narrazione surreale, secondo cui una stessa identica policy è orribile e nazista se la fa Trump, ma sobria e razionale se la fa Harris.
L’estrema destra, invece – mentre accusa “l’establishment” di corruzione e di mala gestione dei flussi migratori – fa finta di non vedere che l’uomo più ricco del mondo sta comprando milioni di voti per Trump, e si gira dall’altra parte al fallimento delle proprie politiche migratorie.
I due apparati mediatici (quello neoliberale centrista, e quello neofascista) con una mano si “azzuffano” ma con le altre tre costruiscono insieme una narrazione comune, in difesa dei crimini contro l’umanità commessi dall’Occidente e in particolare da Israele.
È esattamente grazie a questa cooperazione tra i due poli di potere dominanti che il Reality Management riesce a manipolare così bene la realtà.
Le vittime diventano carnefici, i civili sono inviolabili ad intermittenza e il terrorismo esiste solo se la bomba è nelle mani di un arabo.
In tutto questo, noi dove siamo? Se la percezione della realtà è un tassello così importante dell’egemonia politica, dove sono le nostre contro-piattaforme di informazione in grado di riprogrammare l’opinione pubblica negli interessi del 99%?
Per carità, queste due ultime settimane d’ottobre ci hanno lasciato anche con delle piccole ma importanti vittorie: lə operaiə in Grecia hanno disarmato fisicamente un carico di armi diretto ad Israele; l’Università Statale di Milano ha congelato gli accordi con la Reichmann israeliana; abbiamo avuto modo di apprezzare Greta Thunberg in piena versione Rosa Luxemburg; e l’attivista iraniana Maysoon Majidi è stata finalmente rilasciata dalle nostre prigioni.
Al tempo stesso, però, la narrazione dominante della realtà è completamente fuori dal nostro controllo. Le notizie positive che abbiamo citato sono degne di nota, ma non passano certo per i telegiornali.
Se vogliamo davvero trasformare la società e smantellare il sistema economico odierno, non possiamo più permetterci il lusso di essere lontani dai luoghi di produzione della realtà.
( Che i media mainstream se le siano cagate o meno )
Un Pericolosissimo Terrorista di Nome Sinwar
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C’era una volta un uomo nato in Palestina, nel lontano 1962. Da bambino, trascorre l’infanzia in un campo profughi, dove la famiglia aveva trovato rifugio dopo esser stata cacciata dalla sua regione d’origine. Il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un uomo, e decide di dedicare la sua vita alla liberazione del popolo palestinese.
A soli 27 anni, dopo essersi laureato, viene condannato a 4 ergastoli dai coloni israeliani e rimane in prigione per 22 anni. Nel corso della prigionia, si rifiuta di rinnegare il suo impegno per la resistenza armata palestinese, e viene scagionato solo dopo due lunghi decenni, grazie a pressioni politiche applicate dall’esterno.
Un profilo del genere sembra quasi descrivere un Nelson Mandela palestinese; in fondo, entrambi sono stati accusati di terrorismo per gran parte della loro vita.
Invece no, stiamo parlando di Yahya Sinwar, leader di Hamas, ucciso la scorsa settimana dall’ennesimo raid israeliano nella Striscia di Gaza.
Per approfondire rapidamente la notizia, vi consigliamo di leggere questo articolo di Info Submarine.
Se abbiamo sottolineato le somiglianze tra Sinwar e Mandela, non è perché pensiamo che le due figure politiche siano totalmente sovrapponibili; la resistenza armata di un popolo colonizzato è naturalmente eterogenea e contraddittoria, e Sinwar e Mandela non sono due Super-Uomini immuni a questa dinamica.
Piuttosto, con questo paragone vogliamo cercare di dimostrare il concetto di “Reality Management” descritto nell’Introduzione.
L’Occidente è interessato a difendere la sua posizione coloniale, e a questo scopo manipola la realtà, delegittimando ogni forma di lotta politica armata da parte dei popoli colonizzati.
Il leader di un’eterogenea resistenza decoloniale è automaticamente un “alieno” e un “terrorista”: le uniche notizie che emergono su queste figure riguardano i loro presunti attentati (terrorista) e le ragioni che li spingono ad agire risultano fondamentalmente incomprensibili all’uomo civile occidentale (si tratta per forza di un alieno, tantopiù che è un po’ nero).
Il profilo del terrorista alieno proveniente dai Paesi Arabi ha dominato per decenni l’immaginario comune degli occidentali.
Agli occhi del grande pubblico, l’attentato randomico in una piazza casuale in nome di valori poco chiari è indistinguibile dalle azioni di organizzazioni politiche armate che lottano per l’indipendenza di un popolo colonizzato.
Attraverso i media mainstream, l’Occidente ha gestito, inventato e manipolato la realtà. In questo modo, le cause strutturali latenti che costringono i popoli oppressi a ricorrere alla violenza armata sfuggono alla comprensione delle persone comuni, e una storica lotta contro il colonialismo si confonde tra una sparatoria al concerto di Ariana Grande e la violenza gratuita di un serial killer.
L’immagine politica di Sinwar è costruita sulla falsa riga del terrorista alieno, ma è evidente che la storia sarebbe potuta andare anche in un modo diverso. È una questione di convenienza.
Mandela, per esempio, viene ricordato diversamente soltanto perché il suo Movimento in parte ha vinto, e quindi l’Occidente ha dovuto riadattare la sua narrazione. La sua figura è stata romanticizzata, e, d’improvviso, Mandela è diventato “uno di quelli buoni”.
Noi, lo ammettiamo, non siamo chissà quali espertə di politica interna palestinese. Quello che sappiamo ci arriva dalla controinformazione di attivistə, militanti e intellettuatə schieratə col popolo Palestinese, che, nonostante l’impegno, non sono ancora riuscitə a raggiungere livelli controegemonici.
Per questa ragione, ci limiteremo a lasciarvi il link del testamento di Sinwar. Ascoltate le sue parole, e diteci voi se le ragioni per cui è stato 22 anni in prigione sono davvero così surreali e incomprensibili.
Tanto Vale Fare la Bella Vita
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Vi ricordate quando al governo c’era il PD, e la destra non faceva altro che fare i conti in tasca allo Stato per capire quanto si spendeva per i migranti? Soprattutto, vi ricordate qual era la storiella che raccontavano al grande pubblico? I migranti si fanno la bella vita sulle spalle delle casse pubbliche.
Questa retorica ha tuonato su ogni giornale di destra fino a quando non si è ficcata di prepotenza nell’anticamera del cervello delle persone, imponendosi come una realtà parzialmente accettata da una buona fetta dell’opinione pubblica.
Ora, non soltanto la spesa per i migranti rappresenta un peso minimo per uno Stato che può permettersi centinaia di miliardi di euro di spesa pubblica.
Un’altra cosa di cui ci dimentichiamo, però, è che gran parte del “costo dei migranti” – un termine terribile che solo degli economisti fascisti potevano partorire – è dedicata a reggere in piedi l’apparato che criminalizza la migrazione.
I cpr, gli infiniti processi burocratici, i lager in Libia ed in Turchia, e il mantenimento di confini sempre più rigidi non piovono certo dal cielo; bisogna sborsare decine e centinaia di milioni di euro ogni mese per mantenere e alimentare regolarmente questo apparato di sorveglianza, tortura e criminalizzazione.
Per parafrasare Guzzanti “C’è gente che si spacca la schiena anche 20 ore al giorno per distruggere la vita di chi scappa dalle guerre”
Il magico mondo in cui pensa di vivere la destra, in cui le persone migranti vivono a spese dello stato in hotel di lusso, non solo non esiste, non solo sarebbe comunque migliore dello schifo di adesso, ma ci costerebbe anche di meno.
La nave di 16 migranti che è stata recentemente sballottata per tutto il Mediterraneo dal Governo Meloni ne è un chiaro esempio.
Stiamo parlando di 300 mila euro sborsati per trasportare ben 16 migranti, e di 138 mila euro al giorno impiegati per mettere in piedi il fallimentare centro di detenzione italiano in Albania.
Con la stessa identica cifra (300 mila euro per 16 migranti), ognuno di questi migranti avrebbe potuto vivere in Italia per un anno e mezzo, con un reddito garantito di 1000 euro al mese (un diritto di base non ancora riconosciuto da questa classe politica reazionaria).
Non solo è oggettivamente migliore per tuttə non avere una sottoclasse sociale criminalizzata dallo Stato, ma la costruzione del welfare di base per chi migra è decisamente meno costoso della merda che c’è adesso.
Il complesso apparato che criminalizza le persone migranti l’hanno costruito sia il centro-destra che il centro-sinistra, ed è inutile girarci attorno.
Siccome, però, al governo oggi c’è l’estrema destra, le mosse a cui assistiamo sono talmente brutali che si trovano in disaccordo anche con le leggi draconiane scritte dalla Fortezza Europa – le stesse che, di fatto, ci permettono di finanziare lager, milizie ai confini dell’Europa e dittature estere.
Tra Governo e Magistratura adesso è scontro aperto: il Governo vuole arrogarsi il diritto di stabilire quale Paese è sicuro o meno, mentre “l’opposizione” si schiera in difesa della magistratura e delle Istituzioni.
Davvero le uniche opzioni sono seguire ciecamente le istituzioni più criminali della Storia recente (l’Unione Europea con le sue politiche migratorie fallimentari) oppure una forza politica che queste leggi le infrange da destra?
Se lo spazio del dibattito si è spostato così tanto a destra, significa che a sinistra c’è un vuoto di potere che aspetta di essere colmato.
I Movimenti hanno abbandonato da tempo la progettualità e le vertenza politiche coordinate su larga scala, e, purtroppo, ne stiamo subendo le conseguenze.
Dobbiamo ricostruire una moderna politica migratoria onnicomprensiva, che spinga per la creazione di cordoni umanitari effettivi ed efficienti, per l’espansione e l’integrazione dello Stato sociale esistente, per lo smantellamento del complesso apparato di criminalizzazione migratoria.
Non solo costa meno, non solo è possibile – è necessario.
“La Polizia ha Sempre Ragione”
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Qual è il ruolo delle forze dell’ordine in Italia?
Il Governo Meloni ha fatto della cosiddetta “sicurezza” un vanto. Lo sappiamo tutti: l’attuale classe politica è fiera di essere dalla parte della polizia. Questa posizione è parte integrante della loro immagine pubblica, ed è indubbiamente una delle ragioni per cui sono stati eletti.
Ma cosa significa, nella pratica, identificarsi politicamente con il braccio armato dello Stato? Dobbiamo interpretarla come una dichiarazione d’amore nei confronti della giustizia, delle leggi e delle autorità? Oppure come una semplice prova di forza?
In quest’ultima settimana, i media ed i politici hanno avuto un paio di occasioni per ribadire e difendere l’importanza delle forze dell’ordine. Ripercorrere questi eventi può aiutarci a far chiarezza in un panorama politico apparentemente contradditorio.
Per prima cosa, c’è il caso di Moussa Diarra, un giovane di 26 anni ucciso da un poliziotto domenica 20 ottobre.
A quanto pare, Diarra aveva passato diverse ore della notte per strada, attirando su di sé le attenzioni della polizia. Secondo la ricostruzione della questura,
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“[...] le telecamere cittadine lo hanno ripreso poche ore prima della tragedia mentre, [...] armato di coltello, aggredisce degli operatori della polizia locale che sono costretti ad allontanarsi e chiedere supporto per sfuggire alla sua furia.”
Diarra si sarebbe poi “scagliato” (sempre con un coltello in mano) “contro un operatore della polizia ferroviaria che, aggredito da posizione ravvicinata, ha esploso tre colpi in rapida successione, uno dei quali ha attinto al petto lo straniero”, uccidendolo.
Cosa possiamo dedurre da queste brevi citazioni? Uno straniero armato ha tormentato con la sua furia le strade di Verona. Prima ha costretto alcuni poliziotti ad allontanarsi, e poi ne ha aggredito un altro, che per difendersi gli ha sparato tre volte al petto.
Moussa Diarra è descritto come una sorta di mostro, la cui collera ha messo in pericolo i protettori delle nostre città. Per forza di cose, uno dei poliziotti si è difeso con la violenza. Il ragazzo se l’è cercata, e le conseguenze sono state fatali.
Le forze armate partecipano alla tragedia soltanto passivamente. Il loro ruolo viene sbeffeggiato da un estraneo, minacciato ingiustamente. La polizia si difende, in un caso allontanandosi dalla scena e in un altro sparando dei colpi di pistola.
La domanda, almeno a noi, sorge spontanea: possiamo dire che la polizia sia stata competente nel gestire il presunto “pericolo”?
In fondo, è bastato un uomo fuori controllo e un banale coltello a metterla in difficoltà. Cosa vuol dire che Diarra li ha costretti ad allontanarsi? Come è possibile che in quelle ore nessuno abbia cercato di fermarlo?
I gesti estremi di legittima difesa di solito hanno senso quando la “vittima” è colta di sorpresa, in una posizione di svantaggio rispetto al suo aggressore.
Alla questura, però, questo tema della competenza non interessa particolarmente. L’incontro con il primo gruppo di poliziotti viene riportato più che volentieri dal comunicato. Ecco qui un’ulteriore giustificazione, ci suggeriscono, una prova schiacciante della furia dello straniero.
Moussa Diarra, in tutto questo, viene descritto dai giornali come un uomo senza storia. Gli unici dettagli rilevanti sono che è arrivato dal Mali a 15 anni, e che il 10 ottobre non si è recato alla questura per il rinnovo del permesso di soggiorno. La sua morte risulta di conseguenza una “drammatica coincidenza”, un peso emotivo che per caso è caduto sulle spalle dei poliziotti.
La segreteria veronese del sindacato di polizia Sap, ad esempio, si dice “vicina ai colleghi coinvolti”. La prima considerazione dell’assessore Zivelonghi sottolinea “il forte e costante presidio presente nell'area della stazione e il grande impegno delle forze dell'ordine”. L'efficienza della polizia non viene messa in dubbio neanche per un secondo, anzi.
Quando Matteo Salvini commenta la vicenda su Facebook, non si perde in giri di parole. “Con tutto il rispetto, non ci mancherà.” Scrive. “Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere.”
Non solo, dunque, la polizia non ha dato alcun segno di debolezza, ma ha fatto il suo dovere. La Lega ha addirittura organizzato un sit-in di protesta “per sensibilizzare l’amministrazione comunale sull’allarme sicurezza nel quartiere”. Insomma, se un poliziotto è stato costretto a sparare, è perché il quartiere non è sicuro: la responsabilità della polizia è esclusa a priori.
La delinquenza straniera è una “bomba sociale”, “impossibile da gestire senza adeguate celeri espulsioni”.
Per queste persone, un singolo uomo con un coltello in mano rappresenta una bomba impossibile da gestire. La vicenda è così grave che spinge degli “attivisti” a mobilitarsi, a protestare in difesa della polizia.
Facciamo, per un attimo, un passo indietro. Qual è la storia completa di Moussa Diarra? Come ha fatto quest’uomo a diventare un mostro tanto pericoloso?
Partiamo dall’inizio. Diarra ha abbandonato il Mali insieme a suo fratello, circa nove anni fa. I due sono arrivati insieme in Libia, nei campi di “accoglienza” finanziati dallo stato Italiano. Qui sono stati torturati, e hanno lavorato per otto mesi prima di salire su un barcone e intraprendere un difficile viaggio nel Mediterraneo.
Sono riusciti ad arrivare vivi in Italia, e in breve sono finiti in un “centro di accoglienza straordinaria”, Costagrande. Il centro è distrutto da un “documentato sovraffollamento”. Il rapporto operatori-migranti è di circa 1 a 80, e le condizioni igieniche e di vita sono pessime.
In tutto questo, Diarra cerca disperatamente di avere accesso ad un lavoro e ad un permesso di soggiorno. La burocrazia ed il precariato ostacolano ogni suo sforzo, e i decreti sicurezza continuano a cambiare in corsa le regole del gioco. Il ragazzo cade in una profonda depressione, e senza residenza né risorse non ha alcun modo di prendersi cura della sua salute mentale. Per aggiungere la ciliegina sulla torta, tre mesi fa muore suo padre.
Cosa ha sbagliato esattamente Moussa Diarra? D’altronde, è passato attraverso campi di “accoglienza” finanziati e ideati dallo stato Italiano, ha intrapreso i dovuti percorsi burocratici, ha sofferto in silenzio quando è caduto in depressione. Ha assunto un comportamento violento nei confronti della polizia, sì, ma né politici né media sembrano interessati a condannare la violenza in quanto tale.
Il succo della storia, dunque, deve per forza essere il seguente: uno straniero non può tenere in mano un coltello ed aspettarsi di sopravvivere; la polizia ha fatto il suo dovere, nella fuga tanto quanto nell’omicidio, ed è necessario supportarla in un momento tragico che la vede sfortunatamente coinvolta.
Prima di trarre le nostre conclusioni, spostiamoci momentaneamente a Roma.
Questo secondo evento non ha avuto la risonanza del primo, e si è diffuso principalmente online, su Tiktok e Instagram. M., un ragazzo in Italia da dieci anni, si è rivolto ad un commissariato per denunciare il suo datore di lavoro, che l’aveva pagato con un assegno scoperto. In un batter d’occhio, si è ritrovato nel CPR di Milano.
Il motivo? La polizia ha riscontrato dei problemi nei suoi documenti. Il trascorso burocratico di M. è complesso, ma dovrebbe avere tutte le carte in regola per risultare come un “richiedente asilo”, e non è chiaro per quale cavillo burocratico non sia andato tutto liscio.
A questo punto, l’organizzazione milanese Naga assegna al ragazzo un’avvocata per aiutarlo a reclamare i suoi diritti.
La direzione milanese impiega tre giorni a formalizzare la nomina, e quando finalmente l’avvocata riesce ad incontrare M., il loro colloquio viene interrotto bruscamente. La sala serve a qualcun altro, dicono, e l’avvocata viene fatta uscire.
“Tempo 5 minuti da quando l'avvocata è uscita, M. è stato fatto vestire in fretta e furia ed è stato portato di corsa a Malpensa (di qui la fretta di interrompere il colloquio con un pretesto! Avrebbe perso l'aereo).” Nel corso di una decina di giorni, insomma, M. è stato rimpatriato nel suo paese.
M. non ha minacciato nessuno. Non si è portato dietro un coltello, non ha aggredito le forze dell’ordine, e anzi si è recato dalla polizia per richiedere il loro aiuto e fare in modo che venisse rispettata la legge.
Dov’è che M. ha sbagliato? Che tipo di errore è stato punito? Perché la polizia l’ha trattato come un criminale?
Se anche non fossimo in grado di rispondere a queste domande, il Consiglio d’Europa ci ha pensato per noi. Questo storico organismo, nato dopo la Seconda guerra mondiale per “promuovere democrazia e diritti”, ha appena stilato un rapporto sullo stato della polizia Italiana.
Secondo la commissione contro il razzismo e l'intolleranza (l'Ecri), la polizia italiana compie "profilazione razziale" nel corso delle sue attività, mentre la politica diventa sempre più "xenofoba", con un dibattito pubblico dai toni "divisivi" su stranieri e persone LGBT. E se te lo dice un organismo europeo….
Insomma, sembrerebbe che la polizia abbia dei pregiudizi nei confronti degli stranieri e che la politica si dimostri generalmente intollerante nei confronti delle diversità. La critica è abbastanza diretta, ma non ci dice niente di nuovo.
Quando la Lega identifica l’immigrazione come una “bomba sociale” e protesta per rimpatriare il maggior numero di persone possibile, non sta forse profilando l’immagine di un criminale straniero? Quando la questura di Roma deporta un ragazzo che vuole semplicemente denunciare un atto illegale, su quale base lo sta facendo se non sul colore della sua pelle?
Quando Salvini scrive su Instagram “con tutto il rispetto, non ci mancherà”, non sa di aver detto un concetto divisivo?
Eppure, la nostra classe politica ha accolto il rapporto europeo con estremo scetticismo. Mattarella conferma la sua "stima e vicinanza" alle forze dell'ordine. Secondo Meloni, "le nostre forze sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni, meritando rispetto, non simili ingiurie".
Matteo Salvini dichiara addirittura che “donne e uomini in divisa sono stati attaccati vergognosamente da un ente inutile pagato anche con le tasse dei cittadini italiani". "Se a questi signori piacciono tanto rom e clandestini,” continua,” se li portino tutti a casa loro a Strasburgo".
E ancora, Antonio Tajani: "Non condivido una parola di ciò che è stato scritto, escludo che ci siano agenti, carabinieri, poliziotti o finanzieri razzisti".
In poche parole, la polizia italiana è infallibile.
Ha ragione quando scappa e quando uccide, ha ragione quando deporta gli immigrati e siccome ha ragione non può essere razzista.
Dunque, ritornando alle domande che ci siamo fattə all'inizio dell'articolo. Qual è il ruolo delle forze dell’Ordine in Italia? Cosa significa identificarsi politicamente con il braccio armato dello Stato?
La ‘sicurezza’ di cui parla Meloni è ideata per difendere un certo tipo di Italiani ed una specifica idea politica. In nome del suo progetto, la violenza è necessaria e giustificabile. Lo straniero sbaglia a prescindere, perché la sua esistenza in Italia minaccia un modello bianco, eterosessuale e ricco che la classe al potere ha bisogno di proteggere e reinventare.
Nel meccanismo di costruzione della realtà, la polizia è un ingranaggio passivo, capace di farsi soggetto di manipolazioni atroci senza subire alcuna conseguenza. Fin quando le forze dell’ordine godranno di un indiscusso monopolio della violenza, fermarle sarà incredibilmente difficile.
Non Chiamatela Democrazia
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Il Sistema Politico Americano è sempre stato caratterizzato da una dilagante e legalizzata corruzione.
Siccome non c’è un tetto massimo di denaro che regoli i finanziamenti privati a campagne elettorali pubbliche, l’1% esercita un totale controllo sulla sua classe politica attraverso delle semplicissime “donazioni”.
Questo meccanismo si riflette su tutte le policy americane, le cui probabilità di passare risultano direttamente proporzionali al supporto che ricevono dall’1% e totalmente sconnesse dalla volontà democratica del 99%
Non diciamo nulla di nuovo quando affermiamo che gli Stati Uniti sono, a tutti gli effetti, un’oligarchia pseudo-democratica, dove i ricchi e i due partiti dominanti colludono insieme con un unico obiettivo in testa: bloccare ogni riforma anche solo vagamente “di sinistra” o apertamente “pro working-class”.
Nonostante la legge dia ampio spazio alla corruzione legalizzata, la combo Elon Musk-Donald Trump non è comunque in grado di vincere seguendo le regole.
In un modo o nell’altro, nonostante facciano parte della classe al potere che, di fatto, scrive le leggi, i due miliardari devono ricorrere a metodi extra-legali per ottenere i propri risultati. L’emblema del fallimento.
Elon Musk non sta solo apertamente finanziando la campagna elettorale di Trump a colpi di milioni e milioni di dollari, ma sta letteralmente pagando delle persone comuni per registrarsi al Partito Repubblicano e votare Trump.
Una cosa del genere è talmente dittatoriale e anti-democratica che è vietata pure dalla legislatura americana.
Musk e Trump stanno facendo alla luce del sole ciò di cui accusavano i dem: Musk controlla dall’alto un’intera piattaforma social (la più importante politicamente parlando), e paga direttamente le persone per votare i repubblicani. La situazione ricalca perfettamente la storiella secondo cui i dem, attraverso il “welfare”, si comprano i voti della comunità nera e delle persone povere.
Come già abbiamo detto in questo nostro post, le accuse della destra populista e fascista rispetto alla censura e ad un presunto sistema politico oligarchico sono parte di una deliberata strategia, atta a normalizzare la loro versione di censura, oligarchia ed elitarismo.
Questa è la vera differenza tra l’estrema destra e la sinistra radicale: la prima vuole costruirsi un tipo particolare di oligarchia; la seconda vuole costruire una democrazia economica che funzioni per tuttə.
Ecco spiegato perché la prima si ritrova nelle istituzioni di potere, mentre la seconda è ancora nelle piazze a beccarsi le manganellate.
In ogni caso, i capitalisti stanno mostrando che, all’occorrenza, sono perfettamente in grado di finanziare le campagne elettorali che rappresentano puramente i loro interessi, anche al di fuori delle loro stesse leggi.
Se vogliamo rispondere colpo su colpo non possiamo rimanere a guardare: dobbiamo costruire larghe infrastrutture di azionariato popolare, capaci di controbilanciare l’enorme squilibrio di potere economico e finanziario tra l’1% e il 99%.
Perché stiamo ancora parlando di questo?
Qualcuno Pensi ai Fan di Liam Payne
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Liam Payne, uno dei membri degli One Direction, è morto il 16 ottobre dopo essersi buttato dal terrazzo di un hotel.
Se Liam Payne fosse una persona qualunque, non ci sarebbe molto da raccontare. Un uomo è morto. Nella sua vita, ha avuto consistenti comportamenti abusivi nei confronti delle donne con cui è stato.
Lutti simili sono indubbiamente difficili da digerire, proprio per via dei danni che un uomo del genere ha deliberatamente causato alle persone intorno a sé. Fine della storia.
Quando però l’uomo appena morto è un personaggio famoso, la situazione è infinitamente più complicata.
L’ex ragazza di Payne, Maya Henry, si è in qualche modo ritrovata nel mirino dei fan di Payne, che la accusano in massa di aver provocato il suicidio del cantante. La sua colpa sarebbe quella di aver rotto con Payne, e di avergli addirittura inviato una lettera di diffida quando il cantante ha cominciato a contattarla giorno e notte senza il suo consenso, minacciando di uccidersi in caso di mancata risposta.
Non contenti, i fan hanno lanciato una petizione che chiede di proteggere la salute mentale degli artisti. Fino a ieri, Chappell Roan era un’artista “ingrata” e “arrogante” per aver osato reclamare per se stessa un minimo di privacy e rispetto. Oggi muore un uomo abusivo, e per qualche strana ragione la colpa è in primis della sua ex ragazza, e poi dell’industria musicale che l’ha fatto cadere in depressione.
I fan di Liam Payne, tra l’altro, non sono certo degli uomini mascolini e muscolosi determinati a proteggere il patriarcato a qualunque costo. Spesso, le accuse arrivano proprio da giovani ragazze, che nel corso degli anni hanno stabilito un legame emotivo importante e parasociale con un uomo tossico, e poi non sono state in grado di empatizzare con una donna vittima di abusi.
La colpa non è certo di migliaia di fan impazzite, spiccatamente crudeli o cresciute fuori dal mondo. Anzi, è proprio la profonda assimilazione della cultura patriarcale a generare questo tipo di risposte.
Fino a che non saremo in grado di fare un po’ di egemonia culturale, il mondo continuerà imperterrito a muoversi al contrario.
Il Male Minore
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Nel corso della Distopia in Tempo Reale, abbiamo parlato più volte dell’occasionale, finto progressismo di Kamala Harris.
Ogni volta che Trump se ne esce con un’ennesima citazione transfobica, ogni volta che promette di criminalizzare le operazioni di affermazione di genere o eliminare le donne trans dalla faccia di questa terra, twitter si riempie di americani – LGBT e non – che ricordano ai propri concittadini il dovere morale di votare per una donna che sì, supporta un genocidio, ma almeno non se la prende con le persone trans.
La politica, che ci piaccia o meno, non è la somma di una serie immutabile di conseguenze, misurabili con una bilancia e facilmente comparabili tra di loro. Se Kamala Harris supporta sia un genocidio ma è gentile nei confronti della comunità trans, evidentemente è perché questa gentilezza le fa comodo.
Ormai, però, è evidente: più i giorni passano, più Kamala Harris perde fiducia nell’idea di mantenere anche solo gli accenni di una facciata progressista. In una recentissima intervista, alla domanda “le persone transgender americane dovrebbero avere accesso alle cure di affermazione di genere?” Harris risponde “io credo che si debba seguire la legge.” Non contenta, un paio di giorni dopo definisce il famosissimo muro che Trump ha cercato di costruire tra Messico e USA come “una buona idea”. Il problema, semmai, è che Trump non è stato capace di portarlo a termine.
C’è una ragione se Harris non si fa più problemi a rilasciare dichiarazioni del genere. Harris sa che, di fronte a Trump, tanti wannabe-progressisti si lasceranno abbindolare e voteranno questo famosissimo “male minore”.
La responsabilità della Sinistra e dei Movimenti è quella di spostare l’ago della bilancia, di costruire pressione politica perché atteggiamenti del genere non vengano tollerati, anche in mancanza di ovvie alternative.
Per concludere, vi lasciamo qui il video di un incontro Dem in Michigan, dove lə attivistə pro-Palestina hanno causato abbastanza disagio da interrompere il discorso di Harris, e abbandonarla in un silenzio impacciato con niente da aggiungere.
This is how every genocider should be treated. pic.twitter.com/rpU10FTuQw
— Peter Daou (@peterdaou) October 27, 2024
More of this energy, please. Tutto il resto è fiato sprecato.
Non ci aspettavamo nulla, però porco d-
Un Crimine di Facciata
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In uno dei precedenti episodi della Distopia in Tempo Reale, abbiamo parlato delle “vittorie simboliche” che il capitalismo concede ai Movimenti. Per citare Malcom X, "L'uomo bianco al potere proverà sempre a darci vittorie simboliche invece di concedere vittorie in campo economico e di giustizia sociale".
A volte, però, è la destra a spendere tempo, soldi ed energia in una vittoria di facciata, che cambia solo in minima parte l’attuale stato di cose.
Prendiamo, ad esempio, la recente questione dell’“utero in affitto”.
La scorsa settimana è stata approvata definitivamente una proposta di legge Fratelli d’Italia, secondo cui la gestazione per altri costituisce un “reato universale”, perseguibile in Italia anche se praticato all’estero.
Per comprendere davvero cosa è successo, dobbiamo farci tre domande: cos’è la gestazione per altri? Era già un reato prima del 16 ottobre? Cosa vuol dire ‘reato universale’?
Andiamo per ordine.
La gestazione per altri (GPA) è un tipo di procreazione assistita; la gravidanza, in questo caso, è portata avanti da una persona per conto di altre che non possono avere dei figli (per ragioni mediche oppure biologiche, nel caso di una coppia di uomini cis).
In Italia, la GPA è illegale dal 2004.
“Reato universale” non è un termine giuridico di senso compiuto. Al massimo, esistono reati punibili sotto il principio della giurisdizione universale, come genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
La GPA è ovviamente una pratica imparagonabile ad un genocidio; anche se lo fosse, tra l’altro, abbiamo sperimentato di recente la scarsissima efficacia degli organi di legge internazionali.
La legge di Fratelli d’Italia, piuttosto, fa riferimento a uno specifico articolo del codice penale, che prevede la possibilità di punire in Italia alcuni atti compiuti all’estero. In particolare, la norma si applicherebbe a reati “contro la personalità dello Stato”, alla “contraffazioni di sigilli”, alla “falsificazioni di monete” e a “delitti commessi da pubblico ufficiale”. “Gestazione per Altri” è solo la strana new entry di una lista molto singolare.
Nel resto dei casi sopraelencati, però, solo un atto considerato reato nel paese in cui è stato compiuto risulta punibile anche in Italia. Si tratta del principio di "doppia incriminazione” – una regola giuridica implicita, che è stata in più occasioni supportata dalla Corte di Cassazione.
Insomma, non è detto che la legge possa essere applicata così come è stata scritta, ma alla Destra questo non sembra importare. La minaccia di una reclusione da tre mesi a due anni e di una multa da 600mila a un milione di euro è significativa in quanto tale.
Anche solo la potenzialità di doversi difendere in un processo simile ha degli effetti pratici sulla vita di queste famiglie.
La situazione, quindi, è indubbiamente peggiorata, ma non è cambiata radicalmente.
Nonostante enormi differenze, l’utero in affitto ha diversi punti di contatto paragonabili al sex work.
Sono due modi semplici di guadagnarsi un reddito, facilmente accessibili a persone che posseggono poco più del proprio corpo.
Ci sono sicuramente persone che sceglierebbero questa professione anche in una società senza coercizione economica, ma la stragrande maggioranza lo fa per sopravvivere. In più, entrambi i lavori presentano le tipiche problematiche di un’industria capitalistica immersa nel patriarcato.
(Da questo punto di vista, tra l’altro, il comportamento della comunità LGBT talvolta risulta ingenuo. La gestazione per altri – così come l’adozione – non è un fenomeno riducibile ad un esperienza gay, e criticarne le dinamiche non è necessariamente il risultato di uno stigma omofobo che detesta la presenza delle cosidette famiglie arcobaleno. L’adozione è di per sé un trauma, e la gestazione per altri può essere traumatica.)
La criminalizzazione non elimina un fenomeno già ampiamente diffuso, ma lo rende solo molto più pericoloso. In questo caso, secondo gli esperti, saranno in particolare lə bambinə a soffrire le conseguenze di una legge così aspra. Dei nuclei familiari potrebbero essere separati all’improvviso, e dellə bambinə potrebbero ritrovarsi senza genitori.
Insomma, perché la Destra ha tirato su un polverone del genere? Soltanto per peggiorare un fenomeno che riguarda sì e no 250 famiglie all’anno?
Se le vittorie simboliche della sinistra sono un contentino per tenerci a bada, quelle della destra sono inventate a tavolino per fingere che ci sia stata una battaglia.
La Teoria Gender è al 100% una Forza Reale che Esiste in Italia, Soprattutto Nelle Scuole. Il Femminismo ci sta Censurando. Ma noi rispondiamo colpo su colpo! Da oggi in poi, l’Utero in Affitto è un Reato Universale.
Nella realtà scolpita dalla classe al potere, le sconfitte della destra si declinano tutte al passato.
Alluvione a Bologna: un Normale Giorno di Lavoro per Rider
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Se esiste un evento intersezionale per eccellenza, è sicuramente la “tragedia”. Nei momenti di emergenza, quando la quotidianità viene bruscamente interrotta e il corso degli eventi esce fuori dall’ordinaria amministrazione politica, emergono prepotentemente tutte le contraddizioni del sistema.
Uno dei più recenti esempi pratici è quello dell’Emilia. Le alluvioni stanno colpendo la regione con una forza spaventosa, e la politica sembra totalmente incapace di mettere una pezza non solo alle cause remote del problema (la crisi climatica), ma neanche a quelle più evidenti (come la gestione di città e paesini vicino a fiumi che rischiano giornalmente di esondare).
Ad intersecarsi a questa emergenza ci hanno pensato le Grandi Multinazionali di Delivery che si sono potute permettere di lasciare aperto il registro degli ordini, con la complicità della politica che, ad oggi, non ha ancora uno straccio di legislazione sui diritti lavorativi.
Nel bel mezzo della tempesta, lə rider hanno attraversato la città per consegnare ai clienti la cena del sabato sera.
Tanto per cominciare, dovrebbe già essere un crimine disporre di una manodopera talmente disperata da essere disposta a lavorare anche di sabato sera. Ma come può essere legale far uscire i tuoi dipendenti in bicicletta durante una catastrofe climatica?
Ovviamente, i giornalai hanno commentato la vicenda puntando il dito contro i consumatori che quella sera hanno ordinato sulle piattaforme di delivery. Forse non ci rendiamo conto che la maggior parte di loro l’ha fatto perché, in un contesto del genere, era difficile reperire cibo in qualunque altro modo.
Gli unici responsabili di questo disastro sono i padroni delle Multinazionali di delivery, che hanno il braccino troppo corto e si rifiutano di sborsare i soldi necessari a mettere in sicurezza chi lavora per loro.
Ci sono mille modi per consegnare una pizza tiepida da un posto ad un altro e l’unico motivo per cui lo si fa con delle biciclette scassate in mezzo ad un'alluvione è che questa soluzione regala più profitti ai miliardari di JustEat e Deliveroo.
Vicende come questa ci ricordano che, oggi più che mai, è necessario organizzare un programma politico radicale che prenda sul serio la questione dei Diritti sul Lavoro Precario. Servono garanzie, tutele e paghe dignitose per la classe operaia 4.0 che, col proprio sudore, mantiene in vita i settori più moderni della nostra economia.
Israele Goes Full Nazi, ma Qualcuno Pensi ai Suoi Poveri Soldati
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Abbiamo davanti queste tre notizie: Israele sta usando i prigionieri palestinesi come scudi umani; gli Stati Uniti stanno collaborando con Israele per efficientare ulteriormente lo sterminio del popolo palestinese; i soldati israeliani tornati dalla guerra stanno subendo backlash psicologico dopo gli orrori che hanno commesso.
L’ordine delle priorità secondo cui diffondere queste notizie sembra ovvio: dovremmo parlare non-stop dei crimini israeliani, e poi prenderci un trafiletto a lato per dire “in tutto questo, anche i soldati israeliani non se la passano bene.”
E invece no. Le Multinazionali di Professionisti dell’Informazione™, la pensano in modo diverso.
Le grandi testate “giornalistiche” internazionali hanno preferito ignorare le prime due notizie e dedicarsi ad articoli strappalacrime sui “poveri soldati israeliani”, che oddio sono troppo dei cuccioli per poter sopportare i loro crimini di guerra.
Per carità, non abbiamo nulla contro persone che, per mille motivi, diventano soldati e usano la loro esperienza traumatica e la testimonianza come forme di critica, di protesta e di mobilitazione anti-bellica. Anzi, strategicamente parlando, una mossa del genere in realtà funziona parecchio.
Ma se, invece, l’unica notizia riportata dai Media è scritta con l’intento di farci empatizzare con dei criminali, noi non possiamo che stappare il vino per ogni soldato israeliano morto suicida.
Forse all'inizio dell’articolo non siamo statə chiarə. Dopo aver passato un anno a demonizzare Hamas senza uno straccio di prova, Israele non si fa problemi a usare i prigionieri palestinesi rinchiusi nelle sue carceri come scudi umani. L’ennesima accusa da parte dei coloni si è rivelata una confessione dei loro crimini contro l’umanità.
Giusto per farvi capire, facciamo una (breve, incompleta) lista degli atti terroristici, criminali e brutali che Israele ha compiuto solo queste due settimane: il governo ha pubblicato una hit list con le foto di alcuni giornalisti palestinesi; la situazione nel Nord di Gaza sta peggiorando drammaticamente, e l’esercito spara su una popolazione che da più di venti giorni sta morendo di fame; su internet circola un’immagine che grida “genocidio etnico” in tutte le lingue del mondo; duclis in fundo, in tutto questo continuano a tappezzare il Libano di bombe e ad attaccare l’Iran.
Di tutto questo, però, all’Occidente frega poco e niente. I Media continueranno a piangere per uomini che, dopo aver commesso crimini inenarrabili, si suicidano per non pagare le conseguenze delle proprie azioni.
E se anche proprio proprio ci tenete, c’è un modo molto semplice per porre fine all'”epidemia di suicidi” nelle fila dell’IDF: imporre al Governo israeliano un Cessate il Fuoco permanente e costringerlo a ritirarsi dalle zone occupate illegalmente. Senza genocidio, in fondo, dovrebbero attenuarsi anche i sensi dei carnefici.
Se è proprio questa la vostra priorità, la soluzione rimane sempre la stessa.
Che dire, a volte certe notizie ti lasciano senza parole.
L’hanno Mancato per la Terza Volta
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3 su 3. Il miliardario, indebitato fino all’osso, è sopravvissuto per la terza volta ad un tentativo popolare di destituzione.
Che Trump avesse più culo che anima era evidente già dal 2016, quando i pianeti si sono allineati e gli hanno fatto vincere le elezioni, con ben un milione di voti in meno in termine di cifre assolute. Ce l’ha confermato il Covid, che in qualche modo l’ha lasciato indenne. Sopravvivere a 3 tentativi di omicidi, però, è tutto un altro livello.
Quel che fa “sorridere” è che secondo la sua campagna politica (finanziata a colpi di milioni di dollari dall’uomo più ricco del mondo), questi tentati omicidi sono la prova provata che Trump è un vero pericolo per l’establishment.
Come se la sua situazione fosse anche solo lontanamente paragonabile a quella di MLK, Malcolm X, JKF o altri ancora.
MLK e Malcom X, in particolare, erano due figure politiche che davvero si scagliavano contro l’élite e infatti ne hanno “pagato le conseguenze”.
Trump, invece, si tira addosso l’ira della gente comune, stanca di vedere l’ennesimo miliardario che dirotta un Paese al collasso sociale. Se MLK e Malcolm X sono stati vittime di omicidi di Stato, Trump è vittima della più alta espressione della democrazia popolare: la sorveglianza e la minaccia popolare nei confronti del potere politico.
Noi, nel frattempo, rimaniamo a guardare con i pop corn in mano. Della vita di Trump non ce ne frega niente, se non forse per il fatto che (nel caso riuscissero finalmente a farlo fuori) la sua morte potrebbe essere la miccia di un’escalation civile, che costringerà le comunità marginalizzate a tirare fuori le unghie e i denti per difendersi.
Al tempo stesso, però, non possiamo negarlo: ci piace assistere ai tentativi disperati di persone particolarmente avventurose, disposte ad immolarsi per sparare ad un miliardario fallito.
Però raga la mira. La cazzo di mira, per carità.
Perché succedono anche cose belle
“Block the Boat”
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Finché c’è lotta c’è speranza. La Confederazione Sindacale PAME, attiva in Grecia e nel mondo come coordinamento di centinaia di sindacati singoli, ha recentemente annunciato una vittoria. I collettivi portuali ad Atene sono riusciti a disarmare – letteralmente – una nave carica di armi pronte a raggiungere Israele.
Sulla scia della mobilitazione lanciata dal BDS Movement e inaugurata quest’anno dal Calp Genova, i boicottaggi operai delle navi cariche di armi si diffondono per tutto il mondo: Spagna, Svezia, Stati Uniti e, per l’appunto, Grecia.
Quando la guerra è globale, dovrebbe esserlo anche la risposta. È necessario e urgente strutturare un Movimento Operaio Internazionale, capace di far rinascere una nuova ondata di coscienza di classe 4.0 e coordinare il 99% in ogni angolo del mondo.
Queste iniziative ci mostrano con chiarezza le due facce della medaglia.
In primo luogo, abbiamo l’urgente bisogno di accedere ad una nuova struttura di finanziamento globale: che ci piaccia o meno, la sinistra operaia ha vissuto di rendita dei finanziamenti dell’Unione Sovietica almeno fino agli anni ‘80 e, ad oggi, non abbiamo ancora trovato un sistema in grado di sopperire a questa mancanza.
Al tempo stesso, la classe operaia ha una forza sociale, politica ed economica impareggiabile: è l’unica con un leverage adeguato per colpire il cuore del capitale, il centro nevralgico in cui si insidiano le contraddizioni più profonde del sistema.
No Working Class, No Party. Perché rinasca la solidarietà operaia internazionale, dobbiamo costruire un’analisi profonda delle relazioni di classe contemporanee e armarci di tanta creatività strategico-sovversiva.
Lə lavoratorə di tutto il Mondo stanno dimostrando il loro potenziale: tocca a noi direzionare la loro forza politica straripante verso i nervi scoperti della classe al potere.
Greta alla GKN
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Avete notato che Greta Thunberg sembra essere sparita dalla circolazione?
È almeno da un paio d’anni che non viene più invitata nei circoli delle élite, al World Economic Forum, le conferenze sul clima europee o al G7.
Vi siete resə conto che in questo stesso periodo l’attivista svedese ha maturato delle serie posizioni politiche antisistema?
Fino a quando era la Thunberg de “la politica deve agire”, tutti i grandi Capi di Stato le facevano la corte (non per niente sono stati tutti nell’isola di Epstein); da quando ha sbloccato la sua versione premium – “il problema è l’estrattivismo coloniale” – improvvisamente tutti zitti.
Questa è l’ennesima riprova di una classe politica che supporta le mobilitazioni delle giovani generazioni fino a quando rimangono innocue, incapaci di alzare il tiro del conflitto o di andare alla radice delle crisi.
In questo video, Greta difende eloquentemente e con coscienza di classe le lotte della GKN – un’avanguardia nella lotta sul posto di lavoro in Italia.
La riconversione ecologica della produzione, pianificata a misura delle esigenze sociali, è un tema importantissimo su cui la sinistra radicale gira attorno da almeno quarant’anni.
Apprezziamo che una persona con così tanto seguito si esponga a riguardo, sostenendo una lotta che in Italia è la più avanzata su questi temi.
Thunberg, dunque, ha alzato ulteriormente la posta in palio ed ha espanso il suo progetto politico, aggiungendo gli ultimi due tasselli mancanti (nonché i più importanti): le lotte nei luoghi della produzione economica e la riconversione ecologico-sociale dell’apparato produttivo odierno.
Il suo percorso da attivista climatica a militante di sinistra radicale è sbocciato in una lucida maturità politica, e questo alle élite non piace per niente.
Il video che esplicita il supporto mediatico di Thunberg alla GKN, però, ci fa anche capire la distanza abissale che intercorre tra le strutture di Movimento in Italia e le disponibilità economiche dell’equipe della militante svedese.
Non per cercare il pelo nell’uovo, ma il Movimento italiano ha un serio problema nel plasmare un’immagine pubblica accattivante e moderna.
Problemi tecnici e di immagine a parte, è necessario coltivare alleanze del genere per due motivi principali che si autoalimentano: da una parte, è necessario dare visibilità di larga scala alle lotte della classe operaia; dall’altra, è importante tirare per la giacchetta le personalità emergenti tra attivistə e militanti, e trascinarlə in un’opposizione realmente intersezionale e operaia, schierata contro tutte le strutture oppressive di questo sistema.
L’alleanza GKN-Thunberg è un’occasione importante: la sinistra ha un disperato bisogno di accedere a grandi piattaforme di visibilità e di un restyling della sua apparenza pubblica.
La Statale Interrompe Rapporti con Reichmann
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È vero, lo ammettiamo: per noi, ogni occasione è buona per criticare i Movimenti. In ogni articolo, analisi o episodi di una rubrica, ci infiliamo almeno una critica (costruttiva) all’operato dei Movimenti odierni.
Ma la nostra è una critica mossa da amore, un tentativo di indirizzare energie, tempo e risorse verso opere politiche in grado di cambiare davvero il corso degli eventi, senza più rimanere incastrati in strutture di Movimento inefficaci.
L’atteggiamento dei Movimenti sul tema della Palestina è stato spesso oggetto della nostra autocritica costruttiva.
A riprova che questa è critica mossa d’amore, accogliamo ben volentieri le conquiste dei Movimenti odierni, cercando di distinguere quelle effimere da quelle concrete.
Per questo quando è arrivata la notizia che la Statale ha interrotto i rapporti con Reichmann, l’Università simbolo del colonialismo israeliano, ne siamo statə genuinamente contentə.
Nonostante l’occupazione non sia statə particolarmente popolare tra lə studentə non politicizzatə e abbia sofferto di una comunicazione mediatica che ha rifiutato ogni rapporto con le piattaforme mediatiche di larga scala, il Movimento studentesco milanese porta comunque a casa una vittoria molto importante.
Le conquiste servono a costruire momentum, a mostrare al grande pubblico che la lotta paga e che solo le proteste che creano danni (economici, politici o anche solo d’immagine) sono le uniche in grado di ottenere risultati.
Il potere si è disabituato ad interagire con delle mobilitazioni durature: se ha ceduto davanti a così poco immaginiamoci cosa possiamo conquistare quando saremo in grado di creare strutture di Movimento realmente solide e di larga scala.
Non sprechiamo questa vittoria! Facciamo girare la voce tra lə studentə e puntiamo a costruire momentum per far capitolare anche le altre Università milanesi, in primis il Politecnico e i suoi rapporti con l’industria bellica e fossile.
Maysoon Majidi Libera
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Ancora una volta, la motivazione dietro l’arresto non ha un briciolo senso. Durante il viaggio, Maysoon ha distribuito dell’acqua agli altri migranti presenti a bordo. La storia è stata mal tradotta, ed improvvisamente la ragazza è diventata una scafista.
Purtroppo, questo non è il primo arresto di Maysoon. Già in Iran era stata messa in prigione per via del suo attivismo. Il processo italiano, però, ci fa quasi più rabbia; Maysoon viene processata anche in questo caso per colpa della sua manifesta solidarietà, ma l’accusa si appiglia ad una legge che (almeno agli occhi del grande pubblico) dovrebbe proteggere i migranti.
La realtà odierna è così malleabile che il salto da attivista a scafista senza cuore è una cosuccia da poco, credibile se organizzata al momento giusto.
Dopo dieci mesi passati con la paura di dover rimanere in carcere per altri 16 anni oppure essere rimpatriata forzatamente in Iran, Maysoon è finalmente tornata libera.
Siamo molto felici per Mayson Majidi. In un momento come questo, però, è importante ricordare che il suo caso è in realtà molto comune. Anche quando il migrante è effettivamente uno “scafista” (nel senso che guida la barca), molto spesso è una persona qualunque, a cui magari è stato affidato totalmente a caso un compito per cui non ha una singola competenza, o che si è offerto volontario in cambio di una retribuzione giusto per avere i soldi per mangiare.
Occasioni come queste andrebbero sfruttate per smascherare gli altarini del governo, che imprigiona arbitrariamente l'ennesima persona in difficoltà e poi fa finta che sia stata fatta giustizia.