24 Settembre 2024
Sistema
Scolastico:

Un’Arma
a Doppio
Taglio
Riflessioni politiche per un nuovo anno di lotta nei luoghi del sapere.
#scuola
Riflessioni politiche per un nuovo anno di lotta nei luoghi del sapere.

Settembre è il mese della riapertura delle scuole, il mese che inaugura la ripresa a pieno ritmo delle operazioni della fabbrica sociale.

A settembre la società esce dal (brevissimo, sempre più corto) letargo estivo per ritornare alla normale amministrazione, all’alienante routine di tutti i giorni.

Il restart della fabbrica sociale implica la ripresa delle lotte quotidiane che vogliono ri-programmare questa routine, sulla base di logiche diverse, non-predatorie.

Cosa fare dunque del sistema scolastico? Che ruolo gli diamo nella nostra lotta collettiva per il superamento del sistema economico-sociale odierno?

Come rapportarci alle Istituzioni del Sapere?

Herbert Marcuse (1898-1979)

In Eros e Civiltà, Marcuse elabora una teoria molto utile nel descrivere le macro-dinamiche di potere nelle istituzioni che compongono una certa società repressiva. Queste sono società caratterizzate dalle divisioni in classi sociali e dalla lotta per la sussistenza, e costituiscono la stragrande maggioranza delle civiltà umane di cui ad oggi abbiamo tracce.

Secondo Marcuse, il potere ha bisogno di edificare complesse istituzioni per razionalizzare sempre di più il suo dominio. Solo così, infatti, è in grado di riprodurre le proprie condizioni di esistenza e scacciare possibili ondate rivoluzionarie.


Le ribellioni e le rivoluzioni sono state seguite da controrivoluzioni e restaurazioni [...] Ma ogni rivoluzione ha liberato anche delle forze che hanno “colpito oltre il segno” che hanno lottato per l’abolizione del dominio e dello sfruttamento.” Eros e Civiltà (1955)

Il ciclo dominio-ribellione-dominio si ripete nel corso del tempo, e ogni nuovo dominio incorpora degli elementi delle ribellioni passate, assorbendoli in modo sempre più subdolo ed impersonale.

Questo accade perché ogni ribellione riesce a colpire il potere nel segno, lasciando delle ferite che le forme di dominio successive dovranno cicatrizzare.

Le spinte antisistema vengono man mano gestite ed integrate, sia attraverso la repressione che attraverso dei nuovi compromessi.

Più le istituzioni sociali diventano complesse, più si affina l’equilibrio tra elementi emancipatori ed operazioni repressive, alimentando una dualità interna tra potenziale rivoluzionario e attività reazionaria.


Ogni istituzione esistente – nonostante agisca al servizio del potere – contiene dentro di sé dei semi rivoluzionari. In sostanza, le istituzioni esistenti possono essere usate come leverage contro il potere stesso, in quanto sono organismi sociali all’interno del quale si concentra la maggior parte del potere reale.

È per questo che sono un terreno così fertile per il conflitto sociale.

“Il sistema scolastico oggi si avvicina come mai prima alla conquista del sapere critico disinteressato.”

Il sistema scolastico rappresenta appieno questa dualità istituzionale.

Nella scuola, gli schizzi di un’avanguardia sociale rivoluzionaria coesistono con le operazioni repressive e disciplinari del potere.

Tutte le civiltà umane “complesse” hanno creato dei luoghi specifici per organizzare i mezzi del sapere. La necessità di tramandare di generazione in generazione le nozione apprese tramite l’esperienza è sempre stato l’impulso primario (quasi “pre-politico”) dei sistemi scolastici.

Le prime forme complesse di istruzione compaiono secoli prima di Cristo nelle culture arabe, indoeuropee e asiatiche, dove si sviluppano a volte in modo parallelo, altre volte attraverso dinamiche di colonialismo o scambi culturali quasi alla pari.


In queste prime fasi l’istruzione è tipicamente disinteressata. È semplicemente uno dei tanti modi in cui le classi aristocratiche spendono il loro tempo.

Nel corso delle generazioni, il gap cognitivo tra gli aristocratici e le classi oppresse (schiavi e lavoratori autoctoni) diventa un'ennesima giustificazione delle differenze sociali.

In questo periodo, i luoghi del sapere non presentano una struttura disciplinare rigida, anzi. Il rapporto tra allievi e maestri si basa sul mutuo rispetto e su un senso di settarismo nei confronti del resto della società.


Nel Medioevo, le scuole vengono gestite dalla Chiesa, che le istituzionalizza (almeno in parte) e le rende un po’ più accessibili.

È adesso che l’aspetto disciplinare emerge prepotentemente, alterando la funzione sociale scolastica: le scuole, più che una fonte di status sociale, sono a questo punto dei luoghi di socializzazione. Il loro ruolo è quello di propagare i precetti della Chiesa.

Le discriminazioni di classe cominciano a spostarsi verso le differenze tra i diversi gradi d’istruzione, e non più soltanto sull’accesso all’educazione in sé.

Quasi chiunque aveva potenziale accesso ai primissimi gradi d’istruzione, ma solo le famiglie più agiate potevano permettersi di far proseguire gli studi ai figli.

Il sistema scolastico come lo conosciamo oggi, invece, è il risultato di un sanguinoso braccio di ferro tra capitale e lavoro.

Il modello medievale è stato riadattato agli interessi della nuova classe al potere e secondo le spinte dal basso dei movimenti operai.


La scuola moderna è un luogo in primis disciplinare, che ha l'obiettivo di preservare le discriminazioni di classe e propagare gli interessi del capitale come se fossero interessi di tutta la società.

Eppure, il sistema scolastico oggi si avvicina come mai prima alla conquista del sapere critico disinteressato, alimentando un’epoca storica di tassi di alfabetizzazione senza precedenti.


Con questa “Teoria per il 99%”, vogliamo dunque indagare a fondo i poli reazionari e i potenziali emancipatori di questo sistema, in vista di una riflessione pratica in grado di cavare del leverage politico e sociale dalle istituzioni del sapere.


Nel primo capitolo, con l’aiuto di Althusser e Foucault, analizzeremo criticamente il polo repressivo, ideologico e disciplinare del sistema scolastico.


Nel secondo capitolo, vedremo la funzione delle lotte operaie nella conquista del sapere comune, ovvero il potenziale emancipatorio delle istituzioni del sapere.


Nel terzo capitolo, ci concentreremo sullo stato attuale delle scuole, soffermandoci sulle forze politiche che tengono in tensione la scuola e sul loro ruolo all’interno del (morente) neoliberismo.


Infine, nel quarto capitolo vogliamo proporvi un modello scolastico alternativo, e delle idee per sfruttare ogni punto di leverage ed alimentare la lotta di classe all’interno delle scuole.


I.

Capitolo I: Il Sistema Scolastico tra Disciplina, Ideologia e Classismo

Il fascismo ha sempre dichiarato che “volere è potere”, inebriato dall’ingenuità di chi si fa accompagnare al potere dalle élite e poi crede di essere ribelle.

La realtà è che – nel bene o nel male – il sapere è potere.

La conoscenza è uno dei tanti tasselli che costituiscono il puzzle dell’autodeterminazione: se non ho gli strumenti per comprendere ciò che mi circonda, non posso diventare agente attivo del mio destino.


Il potere non solo non è estraneo al sapere, ma lo produce e riproduce secondo le sue direttive.


In quanto strumento di potere, la conoscenza è un terreno di conquista politico ed è investito dalle dinamiche di lotta di classe e dal conflitto sociale.

La scuola non può sfuggire alle logiche repressive del potere, che anzi la manipolano sapientemente per organizzare il controllo sociale. La razionalizzazione delle forme di dominio (di cui parlavamo nell’Introduzione) trova un grande alleato proprio nelle istituzioni che “diffondono” il sapere.


Il potere dominante si propaga nelle istituzioni del sapere in tre modi principali:


  • (1) Scegliendo chi merita di accedere alle sue potenzialità emancipatorie, e fino a quale grado
  • (2) Disciplinando i corpi delle persone fin dall’infanzia
  • (3) Diffondendo capillarmente l’ideologia della classe al potere.

È su questi tre fondamentali punti che si sviluppa la critica della sinistra radicale nei confronti del sistema scolastico.


Da un punto di vista legale tutte le persone hanno diritto alla formazione scolastica, ma questo non significa che ne abbiano concreto accesso.

Questo discorso vale, sì, per il Sud Globale (dove la povertà dilagante trasforma l’educazione in un privilegio economico), ma anche per il ricco Occidente, anch’esso segnato dalle discriminazioni di classe.


Tra le famiglie povere italiane, 4 minori su 10 non frequentano le scuole superiori. In generale, basse condizioni economiche influenzano negativamente le performance scolastiche.

Per studentə di classe bassa o medio-bassa, è quasi impossibile conciliare i dettami scolastici alla pressione quotidiana della povertà materiale.

È difficile concentrarsi sulle opere di Leopardi quando vivi ogni giorno con il rischio di essere sfrattatə.


La classe al potere maschera questa discriminazione attraverso l’ideologia del merito.

Questa ideologia – a volte inconsciamente, a volte apertamente – descrive gli individui come atomi autosufficienti, sconnessi dalla società; il posto che occupano nella gerarchia sociale dipenderebbe allora puramente dalle loro capacità individuali e non dall’ambiente sociale che li circonda.


Insomma, non è la scuola che non è a tuo servizio, sei tu che non ti sei impegnatə abbastanza.


Non è un caso che il governo di estrema destra che ci ritroviamo al potere da due anni a questa parte abbia cambiato il nome del Ministero dell’Istruzione in “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. La destra si aggrapperebbe a qualsiasi cosa pur di mascherare le disuguaglianze sociali più evidenti.


La discriminazione classista non è una caratteristica esclusiva della scuola, ma l’inevitabile risultato di un sistema economico che esaspera le divisioni sociali, e che crea disuguaglianze vertiginose nell’accesso alle risorse collettive.

La parte disciplinare e quella ideologica, invece, sono gli aspetti reazionari specifici della scuola, poiché manipolano il sapere negli interessi della classe al potere.

La scuola abitua le persone a modificare sé stessə, ad adattarsi alle esigenze e ai capricci del sistema attorno a loro.

La disciplina scolastica (insieme a quella familiare) è una forma di potere fondamentale, che agisce direttamente sui nostri corpi fin dalla primissima infanzia.

In questa analisi, è Foucault che può darci una mano.


Sorvegliare e Punire (1975)

In “Sorvegliare e Punire” (1975), lo storico e filosofo francese analizza lo sviluppo dei sistemi penali occidentali nella storia, a partire dal Medioevo fino alla moderna istituzione carceraria.


Foucault concepisce la disciplina come il principale mezzo di controllo della corporeità. All’interno della “microfisica” del potere, la disciplina è uno strumento di propaganda diretto e capillare.

L’obiettivo è dare ai corpi le giuste istruzioni, nel tempo in cui vivono e nello spazio in cui si possono muovere. È solo così che i corpi diventano “docili”, in grado di agire passivamente secondo le direttive della società.


In “Sorvegliare e Punire” , il tema principale è la prigione, l’istituzione che esemplifica e simboleggia la disciplina corporale.

La disciplina, però, è onnipresente nelle istituzioni di potere. La ritroviamo nei luoghi di lavoro, nelle forze armate e negli ospedali, nell’industria dell’intrattenimento e ovviamente anche a scuola.


I voti, le verifiche le interrogazioni a sorpresa e i compiti a casa; il dover rimanere per forza sedutə fino alla fine dell’ora (nonostante si impari decisamente meglio stando in piedi in modo proattivo), rispettando delle scadenze fuori dal nostro controllo, secondo dei programmi dettati dall’alto verso il basso. Queste non sono funzioni necessarie all’apprendimento, ma servono a manipolare i corpi dellə studentə, a incasellarli, categorizzarli e dividerli.


Il principio organizzativo che detta le regole di questo processo non è mai esplicitato (le regole scolastiche si seguono semplicemente perché sono obbligatorie) ma basti guardare alla funzione latente della disciplina per identificare il ruolo dell’istruzione. La scuola abitua le persone a modificare sé stessə, ad adattarsi alle esigenze e ai capricci del sistema attorno a loro.

Un corpo docile e disciplinato è un corpo che ha interiorizzato sufficientemente direttive, correzioni e imposizioni esterne, ed è dunque pronto a farsi formare dalle strutture più grandi della società, che agiscono nel mondo degli adulti.


La scuola dunque prepara (socializza) le persone a questa realtà, proiettando le imposizioni del futuro – come la disciplina necessaria a produrre merci sul posto di lavoro o il rispetto dell’autorità statale – sui corpi di infanti e adolescenti.

“La classe al potere finge che l’istruzione non abbia un’ideologia, così che questa possa regnare indisturbata nelle aule scolastiche.”

Foucault, per riassumere, elabora una teoria che mette in luce l'aspetto disciplinare delle istituzioni, la micro-funzione del potere che agisce direttamente sui soggetti individuali.


Althusser, invece, pone l'accento sul contesto strutturale che circonda la scuola; ne analizza, cioè, la sua macro-funzione, il ruolo che occupa nell'intero sistema di potere. Stiamo parlando dell’ideologia – l’altra caratteristica specifica dell’istruzione, quella che sulle masse agisce indirettamente.

Ideologia e Apparati Ideologici Statali (1970)

Per poter analizzare questa macro-funzione, il filosofo politico francese passa per il concetto marxista di (Infra-)Struttura e Sovrastruttura.


La teoria marxista è l'unica in grado di vivisezionare il sistema sociale in cui viviamo, poiché segue un'impostazione teorico-pratica che divide il capitalismo in layer: alla base c’è la struttura, e sopra questa si erge la sovrastruttura.


La struttura è la composizione delle relazioni sociali (come il lavoro salariato, il mercato, la proprietà privata - diversa da quella personale -, la competizione, l’accumulazione di capitale e l’universalizzazione del denaro). Queste condizioni materiali danno una forma alla nostra vita e determinano la nostra posizione all’interno della gerarchia sociale.

La sovrastruttura, invece, è composta dalle leggi e dalle convenzioni sociali, dalla cultura dominante, dagli equilibri politico-istituzionali e dai vari processi decisionali che si ergono al di sopra della struttura stessa.


La struttura produce e ri-produce la sovrastruttura; in cambio, la sovrastruttura stabilizza la struttura, mascherando o raffreddando le sue contraddizioni.

Se volessimo dirlo con i termini della cibernetica (lo studio moderno dei sistemi dinamici), tra struttura e sovrastruttura c'è un rapporto reciproco di azione e retroazione, un feedback loop costante che finisce per autoalimentarsi.


Le teorie marxiste tendono a scomporre la sovrastruttura a seconda delle specifiche funzioni delle sue componenti.

In questa Dispensa in Movimento, ad esempio, abbiamo diviso la sovrastruttura in Apparato Istituzionale e Cultura/Ideologia Dominante.

Per esplicitare le funzioni di queste due componenti, abbiamo usato l'immagine della tripartizione freudiana dell'io, un parallelismo a nostro parere particolarmente utile.


L’ispirazione principale di questa nostra tripartizione è proprio l’analisi di Althusser, che divide la sovrastruttura in Apparato Statale Repressivo (RSA) e Apparato Statale Ideologico (ISA).

Per lo scopo dell'articolo, questa tripartizione è del tutto analoga alla nostra, e possiamo usarla come equivalente.


La RSA opera principalmente tramite la violenza e in un secondo momento attraverso l’ideologia.

In questo senso, è l’espressione perfetta dello Stato che monopolizza i mezzi della violenza su larga scala, e costituisce un apparato sostanzialmente unitario, sotto diretto controllo statale.

L’ISA, invece, opera in modo speculare rispetto alla RSA. Il suo strumento principale è l’ideologia, mentre la violenza (la disciplina e la repressività di cui parla Foucault) è un supplemento secondario.

L’ISA controlla una miriade di istituzioni disperse tra pubblico e privato, costantemente in contraddizione tra loro; e tenerle insieme, c’è l’ideologia borghese, storicamente capace di dare una contraddittoria coerenza al pluralismo ideologico.


Se la RSA è simboleggiata dalle prigioni e dalle forze armate, la ISA è simboleggiata dai Media e dalle istituzioni del sapere.


  • “È attraverso l'apprendistato di una varietà di saperi avvolti nella massiccia inculcazione dell'ideologia della classe al potere che i rapporti di produzione capitalistici vengono riprodotti.
  • [...] I meccanismi che producono questo risultato vitale per il regime capitalista sono naturalmente coperti e nascosti da un'ideologia della Scuola universalmente imperante [...] poichè rappresenta la Scuola come un’istituzione priva dell’ideologia [stessa].
  • [...] La Chiesa è stata sostituita nel suo ruolo di principale Apparato Ideologico Statale dalla Scuola”
  • Althusser, “Ideologia e Apparati Ideologici Statali”

Insomma, il modo migliore per non far vedere qualcosa è far finta che non esista: la classe al potere finge che l’istruzione non abbia un’ideologia, così che questa possa regnare indisturbata nelle aule scolastiche.

L’inquadramento ideologico, infatti, non viene mai dichiarato esplicitamente, o l’indottrinamento sarebbe troppo evidente. Piuttosto, questo agisce per via indiretta e subdola, un po’ come quando devi dare una medicina ad un cane e gliela nascondi tra i croccantini.

Questo breve video di Alessandro Barbero esplica molto bene il ruolo dell’Apparato Ideologico.

Su questo tema, Althusser riprende le intuizioni di Gramsci. La classe al potere non può mantenere il controllo con il solo esercizio della violenza (almeno non per molto), e dunque ha bisogno dell'Apparato Ideologico per sopravvivere.

L'ideologia serve a far agire e ragionare le persone delle classi oppresse come se fossero oppressori, facendo in modo che sostengano – con i fatti e con le parole – lo stesso sistema che le opprime.

Le istituzioni del sapere sono dunque al servizio della classe ricca, e le permettono di mantenere il grip sulla società attraverso il controllo sociale indiretto.


Ad oggi, altre istituzioni competono con la scuola per il predominio all’interno dell’Apparato Ideologico Statale (primi fra tutti i social), ma il sistema scolastico rimane comunque una delle sue componenti fondamentali.


L’educazione scolastica manipola il modo in cui agiamo, analizziamo la realtà ed interpretiamo il mondo, in modo tale che gli interessi e i capricci specifici della classe al potere risultino esigenze universali.

“La scuola produce la merce più importante del sistema economico: la forza-lavoro.”

L’istruzione è formata sia dalla manipolazione corporale e diretta di Foucault, che da quella ideologica ed indiretta di Althusser.

Invece che formare un sistema flessibile e adattabile alle inclinazioni spontanee delle persone, la scuola de-forma le persone per adattarle al sistema.


La funzione più profonda del sistema scolastico è quella di formare lavoratorə non solo obbedienti, ma anche desiderosə di partecipare ad un processo produttivo di sfruttamento, già abituatə ad essere manipolatə psicologicamente, e sempre dispostə a rinunciare ai frutti del proprio lavoro e al proprio tempo libero.


Il risultato è che ogni scuola è una fabbrica che produce la merce più preziosa dell’intero sistema economico: la forza-lavoro stessa.

Si tratta di una produzione disciplinare, economica ed ideologica.

Se molte altre istituzioni (come la sanità e la famiglia nucleare patriarcale) hanno l’obiettivo di riprodurre la forza-lavoro, il sistema scolastico ha invece quello di produrla da 0, in accordo con il mercato del lavoro pre-esistente.

I.

Capitolo II: Alla Conquista del Sapere Comune

In Occidente, la conquista della scuola pubblica avviene a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento. Questo periodo è attraversato dalla prima crisi globale mai verificatasi nella Storia, una crisi propriamente capitalistica, generata dai suoi processi contraddittori.

Grande depressione(1873-1895)

La crisi prende il nome di "Lunga Depressione" e si propaga dal 1870 circa alla fine dell’Ottocento.


L'Ottocento è un periodo di Rivoluzioni, in tutta Europa e non solo. Sulla scia della Rivoluzione Francese, due sono le classi protagoniste di queste rivolte: la classe borghese (che poi emergerà come vincitrice) e la classe operaia (in un primo momento "alleata" con la borghesia, e poi apertamente ostile anche nei suoi confronti).


Nella prima metà del secolo, le spinte dal basso danno vita alla Seconda Rivoluzione Industriale. A differenza della Prima, in questo caso è lo Stato che si pone come catalizzatore dell’ondata di industrializzazione.

Le rivolte sono principalmente portate avanti dai borghesi, mentre la classe operaia è ancora in fase embrionale.

Durante la seconda ondata di rivoluzioni, invece, il proletariato è in aperto conflitto con la borghesia, che intanto ha consolidato il suo controllo sull'economia.

Lo scontro sociale culmina proprio con la Lunga Depressione, quando il malcontento popolare all’interno del proletariato confluisce in rivendicazioni politiche comuni.


Qui vediamo per la prima volta delle piattaforme politiche di larga scala specificamente operaie.

Queste piattaforme politiche daranno lo slancio a quelle che, ancora oggi, sono le più grandi conquiste strappate con le unghie e con i denti al sistema capitalista: la diminuzione drastica dell'orario di lavoro (da 15 ore giornaliere a 12, e successivamente a 10); sostanziosi aumenti salariali e le prime garanzie statali sul posto di lavoro; e, soprattutto, l'abolizione del lavoro minorile, una policy che va di pari passo all'istituzione delle scuole pubbliche fin dall'infanzia.


La scuola pubblica, quindi, nasce come conquista materiale che permette al Movimento Operaio di concretizzare la fuoriuscita dei bambini dalle fabbriche.

Mandare i bambini a scuola invece che a lavoro fu una vera e propria rivoluzione per il capitalismo, in particolare per quanto riguarda i processi di (ri)produzione della forza-lavoro stessa.

La classe al potere sarà costretta a reinventare dei metodi nuovi per mantenere la sua egemonia sul resto della società.


Insomma, il Movimento Operaio ha conquistato le Istituzioni del Sapere, le ha messe al servizio delle masse, e poi dopo sette decenni ha cominciato a criticarle in quanto strumento di potere per la borghesia. Sembrerebbe una sconfitta, una sorta di backfire causato da un errore di valutazione, da un'ingenuità.

In realtà, questo decorso degli eventi è il risultato contraddittorio di una qualità importante dei Movimenti Operai del passato: la pretesa di spingere il capitalismo oltre i suoi limiti.

“È questo precisamente un caso di trasformazione della quantità in qualità: da borghese che era, la democrazia realizzata quanto più pienamente era divenuta proletaria. Lo Stato (un’istituzione ndr) si è trasformato in qualcosa che non è più propriamente uno Stato.” Lenin, Stato e Rivoluzione (1917) [Nota: Lenin qui si riferisce nello specifico alle Istituzioni Parlamentari, ma lo stesso ragionamento è vale per tutte le istituzioni borghesi (comprese quelle del sapere)].

Conquistare le istituzioni borghesi e trasformarle sulla base degli interessi operai è un’ottima mossa strategica, che costringe il capitale a mutare quantitativamente e quindi anche qualitativamente.

Con qualitativa non intendiamo un cambiamento che fa da transizione diretta ad un nuovo sistema – la scuola pubblica, infatti, non supera il capitalismo.

Rimane però una mutazione importante, in quanto forza la mano al capitalismo, e direziona le sue forze produttive verso un campo che potrebbe rivelarsi insostenibile per le sue stesse logiche di profitto. Mosse simili inclinano il piano politico verso una possibile condanna a morte del capitalismo.

“L’embrione della società futura [dev’essere] presente all’interno di quella odierna.” Karl Marx

In questo modo, c’è la possibilità di creare un embrione del nuovo sistema post-capitalista, all'interno del grembo del capitalismo stesso.

È questo il valore di trasformare la conoscenza da privilegio esclusivo di una classe ad un diritto sociale.

“Il Movimento Operaio invece accetta la sfida lanciata dall'Illuminismo, accoglie il sapere come elemento da valorizzare all'interno della società e contesta sul campo politico la concretizzazione del progetto”

Quando si parla del sistema scolastico, spesso si pensa agli intellettuali illuministi e alla loro sete di sapere. L'Illuminismo ha sempre considerato la conoscenza come uno strumento importante verso il progresso e la libertà individuale.

Se questa novità introdotta dalla classe al potere fosse stata semplicemente criticata dal Movimento Operaio, oggi ci ritroveremmo in una società ancora più diseguale, con una classe lasciata nell'ignoranza totale ed una che conosce tutto ciò che le serve.


Il Movimento Operaio, invece, ha accettato la sfida lanciata dall'Illuminismo ed ha accolto il sapere come elemento da valorizzare all'interno della società. Quel che poi ha contestato è stata la concretizzazione del progetto sul campo politico.

L'obiettivo della contestazione politica è quello di usare le armi del capitale contro sé stesso: mentre loro si sciacquano la bocca con l’aulico valore della conoscenza, noi li costringiamo ad addentrarsi in un progetto politico insostenibile per le logiche di profitto.


La conquista della scuola pubblica è un risultato contraddittorio, così come contraddittorio fu il processo per arrivarci. È vero, se oggi la classe al potere è riuscita a diffondere capillarmente la sua ideologia, è anche grazie al sistema scolastico di massa; il prezzo, però, è stato mettere in campo un pericolosissimo mostro. Non è un caso che sia proprio la classe al potere a spingere per tagliare i fondi alla scuola pubblica.


Il Movimento ha trasformato una società basata sulla monopolizzazione della conoscenza in una potenzialmente in grado di generare sapere comune attraverso specifiche istituzioni.


Democratizzare determinate Istituzioni non è solo giusto, ma anche molto utile, dal momento che prepara delle nuove basi su cui può agire lo scontro di classe.


L'alfabetizzazione di massa, ad esempio, permette anche alle classi popolari di accedere al sapere accumulato nella Storia umana. Un sistema scolastico di qualità alimenta la mobilità sociale e contrasta la fossilizzazione delle differenze di classe.

Questo non significa che l’educazione da sola sia in grado di abolire un sistema classista, ma ci consente di camminare con più efficienza verso quella direzione.


Un altro punto di leverage importante riguarda la riproduzione della forza-lavoro. Come abbiamo visto, la scuola non solo riproduce la forza-lavoro, ma la produce da 0.

Se questo processo rimane esclusivamente nelle mani del potere, c’è ovviamente un grosso problema.

Per questo fare politica da una posizione di sinistra radicale significa necessariamente trovare dei modi per egemonizzare questo processo e controllare le modalità con cui si tengono in vita le condizioni di esistenza della forza-lavoro.

Lə lavoratorə, infatti, sono il nostro gruppo sociale di riferimento.

L’egemonia all’interno delle scuole fa la differenza tra una classe lavoratrice subordinata e obbediente, che china il capo di fronte padroni, e una conflittuale e antagonista, capace di mettere i bastoni tra le ruote del sistema.

Il sapere comune, infine, pone le basi per poter costruire una valida alternativa sociale.

“In una tale economia i mezzi di produzione sono posseduti dalla collettività e da essa utilizzati in modo pianificato. Un’economia pianificata che regoli la produzione in base ai bisogni della comunità distribuirebbe il lavoro necessario tra tutti quelli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza ad ogni uomo, donna e bambino.” Einstein, “Perché il Socialismo” (1949)
“Esigiamo la rottura immediata col pregiudizio che soltanto funzionari ricchi o provenienti da famiglia ricca possano amministrare lo Stato.” Lenin

Nel capitalismo, gli aspetti che contano della nostra vita vengono affidati ai meccanismi impersonali del mercato, ai capricci della classe al potere e alle disumane logiche di profitto. Va da sé che l’alternativa a questo sistema debba affidarsi ad una pianificazione consapevole, collettiva e democratica, così che la società impari ad autogovernarsi in modo cosciente.


Senza una conoscenza collettiva, non siamo in grado di autodeterminare collettivamente le nostre vite. E questo è un lusso che non possiamo permetterci se vogliamo superare il capitalismo.

“Il capitale non lo si sconfigge ritirandosi in luoghi lontani.”

Per riassumere: il sistema scolastico che abbiamo ereditato dalle lotte passate ha in sé un seme rivoluzionario.

La continua tensione per la conquista del sapere comune, la lotta per la riproduzione della forza-lavoro e la capacità di fornire gli strumenti di autonomia e autodeterminazione collettiva rendono il sistema scolastico un'Istituzione che, sotto l'egemonia dei Movimenti, può innescare una radicale trasformazione sociale.


La strategia con cui attivare questa trasformazione ce la mostrano gli stessi Movimenti Operai: il capitale non lo si sconfigge ritirandosi in luoghi sperduti, ma portando le promesse che fa oltre i limiti imposti dalle logiche di profitto.

I.

Capitolo III: Una Fotografia del Sistema Scolastico Odierno

L’analisi dello stato attuale di un’istituzione è completa solo quando prende in esame sia la sua parte strutturale che quella dinamica.

La parte strutturale è la cristallizzazione delle dinamiche accumulate nel passato, mentre la parte dinamica dipende dalle forze che agiscono su essa nel presente.

Per comprendere la funzione specifica della scuola in questo momento, dobbiamo ricollegare le sue fondamenta storiche alla situazione economica, politica, sociale e culturale odierna.


Oggi (ancora per poco) ci troviamo all’interno del periodo neoliberale del capitalismo.

Dopo gli anni ‘80, col crollo delle istituzioni socialdemocratiche, dei movimenti operai e del socialismo reale (che, con tutte le loro contraddizioni, hanno comunque costretto il capitale a scendere a compromessi col 99%), la forma istituzionale del capitalismo è diventata neoliberista.


“Storicamente, la sinistra ha trovato la sua postura naturale in un orientamento costante verso il futuro Al contrario, le forze di destra (con poche eccezioni degne di nota) sono state storicamente definite dalla difesa della tradizione e dalla loro natura essenzialmente reazionaria. Questa situazione si è ribaltata durante l'ascesa del neoliberismo con politici come la Thatcher, che hanno – con successo – fatto leva sulla retorica della modernizzazione e del futuro.” Nick Srnicek e Alex Williams, “Inventare il Futuro” (2015)

Le logiche di mercato, profitto e competizione a questo punto tornano a governare totalmente indisturbate; addirittura, cominciano ad essere considerate un simbolo di modernizzazione economica e sociale – una retorica assolutamente impensabile negli anni ‘60 e ‘70.


Nell’era del compromesso socialdemocratico, lo Stato e il pubblico avevano il compito di prelevare ricchezza privata ed usarla socialmente come assicurazione contro possibili rivolte popolari. Lo Stato, in questo caso, è un costruttore dello stato sociale, simbolo del compromesso sociale tra lavoro e capitale.

Nel neoliberismo, invece, lo Stato torna alle impostazioni di fabbrica; improvvisamente, esso inizia a occuparsi principalmente di organizzare le forze armate, di sostenere i mercati e di accollarsi i costi dei capricci della classe al potere. Questo apparato istituzionale prende naturalmente di mira la spesa sociale.


Anche la scuola – un investimento pubblico-sociale – non ha potuto schivare la svendita del patrimonio sociale ai privati.


In Italia, le dinamiche neoliberali sono arrivate tra gli anni ‘90 ed il 2000, e da lì non si sono più fermate.

Nel 1990 la scuola assorbiva il 5,4% del PIL e nel 2000 prendeva il 10% della spesa pubblica totale. Oggi la prima percentuale è scesa al 3,9% e la seconda al 6%, tra i più bassi valori in Europa.

Come abbiamo detto e sentito dire spesso nelle piazze, “la scuola è diventata l’ultima ruota del carro”.


Il tempismo di questo crollo risulta abbastanza ironico.

Il neoliberismo, infatti, ha vissuto proprio sulle spalle dei movimenti studenteschi.

Lə studentə degli anni ‘60 e ‘70 hanno lottato al fianco degli operai per riconfigurare i luoghi del sapere e le forme di lavoro.


“Con il concetto di capitalismo cognitivo designiamo allora un sistema di accumulazione nel quale il valore produttivo del lavoro intellettuale e immateriale diviene dominante e dove l’asse centrale della valorizzazione del capitale poggia direttamente sulla trasformazione della conoscenza in merce” Toni Negri, “Il Rapporto Capitale-Lavoro nel Capitalismo Cognitivo

Il lavoro noioso e semi-specializzato è stato soppiantato dal lavoro cognitivo, mentre l’istruzione superiore è diventata parzialmente più accessibile. Oggi, la conquista della conoscenza pone le basi sia per i processi di accumulazione che per il conflitto sociale.


Non sarebbe naturale, a questo punto, che le istituzioni del sapere godino di una rinnovata centralità?

La scuola del 2024, invece, è il risultato di un infame partnership neoliberista tra pubblico e privato, un fossile vecchio di cent’anni, in cui la transizione tra Fordismo e Post-Fordismo non è mai avvenuta.

Sembrerebbe che il capitalismo cognitivo non presti particolare attenzione all’istruzione, che quindi procede lentamente, barcollando sotto i colpi della classe al potere.


Qui è chiara la tensione tra le due necessità del capitale: da una parte, quella di formare persone competenti, in grado di produrre e sviluppare conoscenza, e, dall’altra, quella di chiudere i rubinetti della spesa sociale.

Questa contraddizione è un nervo scoperto del capitale.

Nel prossimo capitolo, cercheremo di capire come sfruttarlo per rinnovare il nostro lavoro politico e dare vita ad un nuovo progetto sulla scuola dalla sinistra radicale.

“Sono le materie scolastiche in particolare che provocano noia (o, peggio, ansia) nellə studentə.”

Se facciamo un po’ di zoom sulle scuole odierne, notiamo immediatamente un irrigidimento delle pratiche disciplinari (specie in Italia e specie con il governo Meloni) e un rafforzamento crescente del rapporto tra istituzioni del sapere e istituzioni militari.

La scuola italiana, in particolare, è spogliata di qualsiasi attività sociale e ricreativa (come lo sport, la lettura, o l’utilizzo dei laboratori).

Quando unə studentə sceglie di farsi un anno all’estero in Italia, torna quasi sempre nel suo Paese d’origine con una pessima salute mentale.


L’ansia, la noia, la vergogna e l’inadeguatezza sono sentimenti dominanti nelle scuole. I professori non hanno l’intelligenza emotiva necessaria per gestire le complessità psicologiche dellə studentə, e la richiesta di strumenti psicologici di base continua ad essere ignorata da tantissimi istituti.


Culturalmente, invece, sono due le posizioni politiche che mantengono in tensione il sistema scolastico. Da una parte, la destra parla di una scuola al servizio delle imprese, di un’istruzione che ti deve servire per trovare un lavoro e pagare le tasse; dall’altra, il centrosinistra si perde nei suoi soliti elogi del sapere, come se non lo avesse svenduto per anni al miglior offerente.


In tutto questo aleggia lo stereotipo della generazione pigra e svogliata che è, per l’appunto, uno stereotipo, quanto di più lontano dalla realtà dei fatti.

Siamo la generazione decisamente più informata su ciò che succede nel mondo grazie alle nuove tecnologie digitali.

Certo ci manca la coscienza di classe, ma questo perchè professori e programmi scolastici non ci offrono questa lente con cui guardare il mondo.

Il potere ci ha portato all’esaurimento, e poi ha chiamato pigrizia la nostra rassegnazione.


Qualunque ragazzinə sa darti delle informazioni sui contenuti generati su internet dal suo particolare algoritmo, che si tratti di videogiochi, artisti musicali o partite di calcio.

Sono le materie scolastiche in particolare che provocano noia (o, peggio, ansia) nellə studentə.

Come si fa ad interagire quotidianamente con tecnologie interattive, videogiochi 3D ed intelligenze artificiali, e poi stare sedutə per 6-8 ore ad ascoltare i monologhi demotivati di un vecchio gruppo di professori demotivati? Così l’educazione diventa una forma puramente rituale di disciplina, sembra costruita appositamente per disincentivare la curiosità dellə bambinə.


L’idea che le tecnologie create dal sistema possano educare lə giovani allo sviluppo di un sapere critico fa paura.

Con un’educazione del genere, lə lavoratorə potrebbe mettere in dubbio le logiche di profitto, e sbarazzarsene una volta per tutte.

I.

Capitolo IV: La Modernizzazione Reale della Scuola

Identificare i principali problemi dell’istituzione scolastica è solo il primo step in un processo di trasformazione radicale.

La problematizzazione delle istituzioni è fondamentale, ma non sufficiente.

Purtroppo, però, la sinistra radicale contemporanea ha il vizio di fermarsi alle critiche. Le proposte alternative rimangono solo degli schizzi (spesso ingenui).


Per noi, invece, è fondamentale costruire degli immaginari frizzanti e proiettati al futuro, in grado di creare entusiasmo collettivo.


Come si potrebbero integrare le odierne tecnologie nell’apprendimento scolastico? Che aspetto avrebbe una pedagogia radicale nuova, lontana dall’opprimente disciplina novecentesca? Che funzione dare alla scuola nel contesto di un abbondanza comune, finalmente libera dalle logiche di profitto?

In poche parole, come potremmo organizzare l’educazione se non ci fosse di mezzo la sete di profitto della classe al potere?


Dagli anni ‘70 e ‘80, sono cambiate tantissime cose. Sono cambiate le città, le tecnologie, i posti di lavoro, i mezzi di trasporto, il ruolo dell’identità sessuale nella cultura e i rapporti razziali.

La scuola invece, appare ancora familiare a chi era studentə cinquant’anni fa. Questo ci dimostra che l’innovazione e la tecnologia non si propagano nei diversi settori economici su basi tecniche, ma come risultato di manovre politiche e di interessi economici.


Dunque da qui dobbiamo partire, da quello che c’è stato tolto.

Al posto di scuole all’avanguardia, in grado di sfruttare il pieno potenziale della tecnologia, il capitalismo ci ha imposto le attuali scuole-azienda-prigioni – regno indiscusso della sorveglianza, della burocrazia e del brutalismo architettonico.

La tecnologia da sola, però, non è sufficiente. Non ci interessa usare i migliori sistemi di intelligenza artificiale in maniera de-soggettivata, giusto per riprodurre in modo più efficiente i problemi strutturali del capitalismo.

Per noi, la tecnologia è una rampa di lancio che ci permette di riprodurre su larga scala un progetto politico di classe e intersezionale.

Lo stesso vale nel contesto scolastico: l’avanguardia tecnologica deve dare lo slancio ad un progetto di trasformazione radicale delle modalità dominanti con cui il sapere viene gestito e tramandato di generazione in generazione.


In primis, è il caso di rinnovare le materie scolastiche. In Italia, i programmi sono fermi da almeno 3 decenni, mentre l’impostazione strutturale è rimasta quella del ventennio fascista.

I contenuti educativi devono adattarsi alle nuove sfide contemporanee. L’educazione ambientale, psicologica, sessuale ed affettiva, ad esempio, sono tratti fondamentali della vita adulta odierna.

Siamo natə nel bel mezzo della Sesta Estinzione di Massa; la famiglia patriarcale “classica” si sta sgretolando sotto i nostri occhi; abbiamo finalmente degli strumenti per indagare le nostre difficoltà mentali e abbiamo maggiore autonomia nel determinare la nostra identità sessuale e di genere. Come è possibile che non si parli di questi temi nelle nostre classi?


Una scuola che non risponde a queste esigenze è figlia di istituzioni del sapere egemonizzate dalla classe al potere, che si preoccupa di come educarci ad essere obbedienti invece di darci gli strumenti per esplorare criticamente la realtà contemporanea.

“Abbiamo il compito di usare la scuola come luogo in cui produrre e ri-produrre gli anticorpi sociali contro l’immondizia coloniale e i discorsi che produce.”

Un altro punto fondamentale è la decolonizzazione del sapere.

Con “parte sconfitta”, ovviamente non intendiamo le forze nazifasciste sconfitte nella Seconda Guerra Mondiale. Piuttosto, ci riferiamo ai territori che negli ultimi secoli sono stati saccheggiati dall’Occidente, sia in termini di risorse umane che di risorse naturali. Si tratta tanto dell’Africa vessata dalla tratta degli schiavi, quanto, ad esempio, del Sudamerica dilaniato da dittature imposte dall’Ocidente

In questo periodo, abbiamo ampio accesso alle fonti storiche, filosofiche, antropologiche, politiche, culturali ed economiche della parte sconfitta della Storia.

Eppure, nelle scuole ci limitiamo a studiare la Storia scritta dall’Occidente – l’assoluto vincitore della partita. I professori ci raccontano una visione fittizia dello sviluppo umano, una storiella ridicola completamente fuorviata dal colonialismo.

Stando a quel che ci racconta l’istruzione pubblica, le cose sono andate più o meno così: ad un certo punto, dopo secoli di totale immobilismo, gli europei si sono svegliati ed hanno scoperto il progresso; da qui in poi, l’Occidente ha continuato ad evolversi in meglio sotto la guida dei principi illuministici; tempo un secolo, ed è diventato il padre della democrazia, della libertà e dei diritti civili. Nel 1989 è crollato un muro a Berlino, e due anni dopo la Storia si è fermata. The End. Chi c’è c’è, chi non c’è si attacca.


Ovviamente, noi sappiamo che non è così. Ma lo sappiamo solo perché ci siamo informatə nel nostro tempo libero, nonostante tutto quello che ci hanno insegnato a scuola.


La Storia è fatta di scontri sanguinosi tra gruppi di persone con desideri inconciliabili. La società odierna è il risultato della lotta per la supremazia sociale, e si ramifica in un feroce programma coloniale, in guerre e in genocidi.

Gli autori che hanno scritto le definizioni di progresso, libertà, uguaglianza ed emancipazione, sono gli stessi che si sono meravigliati di fronte a civiltà avanzate lontane, esplorate con l’esplicito obiettivo di colonizzarle nel modo più efficiente possibile.

La democrazia e i diritti civili sono dei semplici contentini, dei premi di consolazione risicati e revocabili, che l’Occidente può permettersi solo perché ha passato secoli a saccheggiare e monopolizzare le ricchezze del resto del mondo.

La libertà odierna è una pura illusione.


Le nuove ondate di sessismo, razzismo e xenofobia si basano sul sapere coloniale che si insegna a scuola. A noi il compito di tornare nelle classi, e usarle come un luogo in cui produrre e ri-produrre gli anticorpi sociali contro l’immondizia coloniale.


La decolonizzazione del sapere finora rimane per solo una dichiarazione d’intenti, una frase che trovi nei volantini dei collettivi o in qualche rete di movimento che lavora nelle scuole.

Dobbiamo dare una progettualità e struttura seria a questa rivendicazione: come integrare all’interno del sistema scolastico le fonti delle classi oppresse e dei popoli sfruttati?

Con che tipo di narrazione generale vogliamo accompagnare tutte queste nuove fonti?

Come possiamo evitare la pericolosa trappola del relativismo culturale, e dare allə studentə degli strumenti stimolanti di critica anti-imperialista, a favore dell’autodeterminazione di tutti i popoli?


A nostro parere, queste sono domande fondamentali. Senza le giuste risposte, i nostri programmi alternativi non avranno mai piena legittimità rispetto a quelli attuali.


Per concludere, non possiamo parlare di una scuola alternativa senza parlare di una nuova pedagogia, radicale e intersezionale.

Nel suo famoso libro Pedagogia degli Oppressi, Paulo Freire cerca di costruire una metodologia di assistenza allo sviluppo cognitivo al di fuori di logiche autoritarie e repressive.

Il libro presenta sicuramente dei vizi tipici della sinistra sessantottina – come l’inutile ridondanza nella spiegazione di concetti piuttosto basilari, o l’eccessiva fede nell’autogoverno e nella spontaneità delle classi oppresse – ma possiede al suo interno due punti di rottura interessanti rispetto all’approccio dominante.


Il primo riguarda il rapporto tra chi educa e chi viene educatə.

Freire contrappone il modello pedagogico depositario col modello democratico, o libertario.

In un caso, il sapere viene versato dal professore all’interno di un soggetto passivo (lə studentə) il cui ruolo è solo quello di immagazzinare quante più informazioni possibili. La conoscenza si muove dall’alto verso il basso ed è assorbita di generazione in generazione, in modo totalmente acritico.

Nell’altro, il sapere viene costruito in modo dialettico, unendo sapientemente il bagaglio conoscitivo dellə educatorə con la curiosità dellə studentə, che diventano così dei soggetti attivi.

Il modello democratico concepisce la conoscenza come un flusso, costantemente in tensione tra l’esperienza e la novità, tra la conoscenza accumulata nel passato e gli stimoli del presente. Anche chi educa, insomma, impara da chi viene educatə.


Il secondo punto proposto da Freire è relativo alla funzione della pedagogia stessa.

“Se l’educazione non è emancipatoria, l’oppresso sogna di diventare l’oppressore.” Pedagogia degli Oppressi (1970)

Secondo l’autore, oggi la pedagogia è uno strumento asfissiante, gestito interamente dal potere, utilizzato per disciplinare la società e tramandare un sapere coloniale. Nelle mani giuste, però, la pedagogia può e deve diventare uno strumento di liberazione dall’oppressione.

Solo attraverso un’educazione sensata potremo indagare davvero le strutture sociali che ci circondano oggi e la società a cui le giovani generazioni vanno incontro. Solo così alimenteremo un circolo virtuoso a lungo termine, dove tuttə hanno la possibilità di mettere il proprio tassello nel puzzle dell’emancipazione progressiva dell’umanità.


L’educazione all’autonomia (e all’autodeterminazione), lo stimolo della curiosità, l’insegnamento di una postura critica e propositiva nei confronti di ogni regola e legge – sono questi i capisaldi di una pedagogia radicale e intersezionale, fatta dal 99% per il 99%.


Questo progetto alternativo al sistema scolastico attuale è solo uno dei capitoli della riprogrammazione totale del capitalismo. La scuola esprimerà tutto il suo potenziale soltanto in una società libera dalle logiche del profitto.

A quel punto, la sua funzione diventerebbe quella di sviluppare pratiche di solidarietà attiva, riprodurre l’abbondanza economica, ed esplorare criticamente il mondo.


L’educazione deve insegnarci lo spirito critico, anche e soprattutto di fronte alle istituzioni, alle relazioni sociali e alla politica, così che le persone si abituino ad esercitare la vera democraziail controllo popolare delle istituzioni sociali.

“Senza programmaticità un progetto politico è destinato a fallire.”

Una volta che abbiamo compreso la situazione attuale e ci siamo immaginati una valida alternativa, è arrivato il momento di fare il passo più faticoso. Come spostarsi da un modello all’altro, e concretizzare l’alternativa di cui abbiamo parlato? Che tipo di strategie fomentano la pressione politica necessaria a trasformare l’istituzione scolastica?

Cosa significa lottare nelle scuole?

Queste domande sono un vero tallone d’Achille per i Movimenti occidentali odierni, che attualmente faticano anche solo ad influenzare il potere – figuriamoci conquistarlo.


Il sistema, per rendere buone performance, ha costantemente bisogno di un po’ di resistenza da parte delle classi oppresse, in modo da tenere la classe dei ricchi sempre sull’attenti. Il Contropotere sfrutta questa dipendenza del capitale e lo fa andare progressivamente in overdose.

Purtroppo, non abbiamo ancora affinato l’arte del Contropotere.


Il Secondo Capitolo di Inventare il Futuro, "Perché Non Stiamo Vincendo?”, è illuminante rispetto alla tendenza dei Movimenti Odierni di fare richieste molto vaghe.

Oramai, sembra quasi che non chiedere nulla di specifico sia in sé una forma di radicalità. Un progetto politico senza programmaticità, però, che ci piaccia o meno, è destinato a fallire.

Certo, non è facile costruire del Contropotere, ma in tantə prima di noi ce l’hanno fatta. Le primissime Società di Mutuo Soccorso, I Sindacati Conflittuali, i Soviet, le Black Panther – sono tutti ottimi esempi di Contropotere.


In tutti i casi, si trattava di comunità marginalizzate che erano riuscite a colmare alcune delle lacune dello Stato o del capitale (gli stipendi troppo bassi, prezzi troppo alti, welfare inesistente o discriminatorio, etcetera etcetera). Questi sforzi rispondevano a dei bisogni del sistema e in quanto tali sono stati immediatamente assorbiti. Al contempo, però, sono stati uno strumento fondamentale per influenzare la direzione politica della loro classe di riferimento, un’occasione d’oro per organizzarsi su larga scala ed imparare a sfruttare ogni possibile punto di leverage.


È il momento di fare un salto di qualità, e re-imparare a surfare tra assorbimento e conflittualità.

Il primo ci permette di drenare ricchezza al capitale e conquistare uno spazio all’interno delle istituzioni. Il secondo usa la ricchezza strappata al sistema per rifornire materialmente la nostra alternativa in larga scala, sulla base di un programma serio costruito dal basso.


Il sistema scolastico ci sembra una tela perfetta per questo tipo di arte.


Per prima cosa, il gap tecnologico tra la scuola e il resto della società è veramente molto evidente.

È quasi naturale che partano dei progetti che si propongono di colmare questo vuoto, e finalmente introdurre le tecnologie nell’apprendimento.


Nel secondo capitolo abbiamo visto cosa succede quando spingiamo il capitale oltre i suoi limiti. Invece di criticare la modernizzazione – come spesso già facciamo – accogliamola in pieno e costringiamola a tenere fede alle sue vere promesse.

Conquistare egemonia su questo tema ci permetterebbe di controllare ciò che viene percepito come moderno dal grande pubblico.


Questa prima mossa stuzzica il palato del potere andando a colmare la contraddizione a cui facevamo riferimento quando parlavamo del capitalismo cognitivo.

Una scuola investita da tecnologie e dinamiche post-fordiste sarebbe d’aiuto – parzialmente e in un primo momento – anche al capitale stesso, in quanto sfornerebbe una forza-lavoro già a suo agio nell’uso delle tecnologie che circondano l’ambiente lavorativo odierno. La scuola ha in generale un disperato bisogno di rinnovamento, ma è rimasta intrappolata in un limbo, e questo nervo scoperto va sfruttato dalle nostre pratiche politiche.


Con queste proposte, potremmo costruire una legittimità di fronte al grande pubblico, darci il momentum giusto per costruire fonti di potere alternative.


In poche parole, sarebbe un modo per gettare le basi del Contropotere.


L’assorbimento, però, non basta. Il polo conflittuale del Contropotere intanto deve lavorare per espandere il concetto di modernizzazione scolastica, oltre al semplice uso delle nuove tecnologie.


A quel punto ci si costruisce una legittimità forte. La decolonizzazione del sapere, le forme democratiche e libertarie di pedagogia e l’introduzione dell’educazione sessuale, ambientale e psicologica sono tutti progetti improntati al futuro, dunque moderni.


Il cavallo di Troia della modernizzazione ci permette di spingere le istituzioni del capitalismo oltre i loro limiti. In un colpo solo, ci consente sia di superare le dinamiche oppressive del sistema

che di sfruttare le sue potenzialità emancipatrici.


Per finire, basterebbe scattare una fotografia chiara e lucida della scuola odierna e contrapporla alla nostra alternativa.

La scuola odierna è un inutile accumulo di burocrazia e forme di sapere antiquate ed inesatte; l’alternativa è una scuola all’avanguardia, in grado di preparare le nuove generazioni al miglioramento sociale progressivo.


Il paragone tra scuola-azienda-prigione ed istituzioni di sapere comuni, critiche ed interattive funziona non solo perché ha senso, ma perché è invitante. Perché trasforma il cambiamento del sistema scolastico in un desiderio diffuso.

“Solo usando ogni leverage possibile, saremo in grado di riprogrammare il sistema scolastico odierno in un’avanguardia di emancipazione sociale,”

Le istituzioni del sapere esemplificano bene il funzionamento delle istituzioni sociali in generale.

Le potenzialità emancipatorie della scuola (come l’esplorazione critica della realtà e la costruzione del sapere comune disinteressato) sono evidenti tanto quanto le sue caratteristiche reazionarie e repressive (come la disciplina forzata, la creazione di una forza-lavoro docile e la propagazione capillare dell’ideologia della classe al potere).


Come abbiamo visto, abbiamo a disposizione dei punti di leverage per trascinare queste istituzioni verso gli interessi comuni del 99%. Primo fra tutti, il gap tecnologico e la generale arretratezza accumulata da decenni di tagli e impoverimento della spesa sociale.

Riusciremo a riprogrammare il sistema scolastico soltanto se cogliamo le giuste occasioni, e le sfruttiamo fino in fondo.


I Movimenti del passato hanno fatto tanto per la diffusione del sapere comune ed hanno saputo districarsi con efficienza tra assorbimento e antagonismo sociale, come dimostra la storica conquista della scuola pubblica.


Sta a noi raccogliere questa legacy. Possiamo e dobbiamo utilizzare le istituzioni del sapere per ri-programmare l’intero apparato istituzionale, avvicinarci ad un futuro lontano dalle logiche di profitto e vicino alle esigenze reali delle persone.