08 Agosto 2024
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Un'analisi del colosso di Naomi Klein.
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Un'analisi del colosso di Naomi Klein.
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Introduzione

"Il progetto politico di shock-therapy neoliberista è stato fin da subito impopolare"

L’ultimo decennio di Storia ha stravolto la politica.


Se negli anni ‘90 e 2000 figure politiche importanti si sono standardizzate su basi sempre più simili, decretando la vittoria indiscussa del neoliberismo e in generale un’idea di sostanziale fine della Storia, oggi la politica ci sorprende ogni giorno. Il panorama sta cambiando rapidamente sotto i nostri occhi, spesso in negativo.


Analisti ed "esperti" si scervellano su questi cambiamenti, mentre gli equilibri politici a cui eravamo abituati da decenni si sgretolano prima ancora di stabilizzarsi.


"Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri." Antonio Gramsci 1891-1937

Questi cambiamenti suggeriscono che il capitalismo sta attraversando una fase di ristrutturazione. La sua configurazione precedente ha smesso di funzionare e cominciano emergere tutte le compulsioni violente del sistema.


Vivere la transizione storica significa vivere nel periodo terribile e affascinante in cui si apre quello spazio di manovra che può cambiare il corso della Storia. Sia nel bene che nel male.


I possibili scenari futuri (le "opzioni disponibili") dipendono ovviamente da condizioni oggettive odierne.

Ma il futuro che si realizzerà – con i suoi annessi rapporti di forza – dipende invece dall’esito delle lotte e del conflitto sociale in questo momento.

Nulla è predeterminato: a seconda di quanto terreno politico si guadagna ora, ci si potrà garantire un futuro da protagonistə oppure da spettatorə.


La "terapia shock" è l’operazione economica, politica, sociale e culturale con cui il Capitale – durante e dopo la crisi del ‘73 – ha manipolato e sconfitto le forze sociali che, consce o inconsce, erano di ostacolo al suo potere.

Questa strategia ha fatto guadagnare terreno politico all’1% durante una situazione storica del tutto analoga a quella odierna.


È proprio da questo che parte il libro "Shock Economy: l’Ascesa del Capitalismo dei Disastri".

Klein fa spiegare il concetto della Terapia Shock applicata all’economia direttamente a Milton Friedman, la mente dietro al Grande Esproprio su cui il neoliberismo ha potuto costruire le basi per la sua ascesa.

"[Milton Friedman] stimava che "una nuova amministrazione ha a disposizione tra i sei e i nove mesi di tempo per mettere in atto grandi cambiamenti; se non coglie l'opportunità di agire con decisione durante questo periodo, non incontrerà più un'occasione simile".


Questa è in sostanza una variazione del consiglio di Machiavelli, secondo cui le ferite dovrebbero essere inflitte "tutte in una volta", e si è rivelata uno dei lasciti strategici più duraturi di Friedman."


Recuperare questo libro per noi è di grande aiuto.

Attraverso una lucida ricostruzione storica ed uno stile narrativo brillante, Klein ci mostra i mostri politici – ma anche economici e sociali – che si sono sprigionati durante la Guerra Fredda nella fase di crisi dell’ordine socialdemocratico, dando il via alla fase di accumulazione neoliberista.


Questi mostri politici ci rivelano la vera natura del sistema: ogni diritto e garanzia sociale è un asset negoziabile, utile per salvare il Capitale dalla crisi. Inevitabilmente, i progetti politici che emergono da questa "necessità" dei ricchi e del potere ci mostrano in toto la nuda crudeltà del sistema.

Le trasformazioni radicali del libero mercato non sono state imposte democraticamente. Al contrario: secondo lo stesso Friedman, l'atmosfera di crisi su larga scala ha fornito il pretesto necessario per scavalcare la volontà espressa dagli elettori e consegnare il Paese ai "tecnocrati" dell'economia.

In definitiva, se il modello economico di Friedman può essere parzialmente imposto in democrazia, non è possibile attuarlo pienamente in assenza di condizioni autoritarie.

Per applicare senza freni la terapia d'urto economica, è fondamentale la presenza di una sorta di trauma collettivo in più, che sospenda temporaneamente le pratiche democratiche o le blocchi del tutto.

"La borghesia vedeva giustamente che tutte le armi da lei forgiate contro il feudalesimo volgevano la punta contro di lei, che tutti i mezzi di istruzione da lei escogitati insorgevano contro la sua propria civiltà, che tutti gli dèi da lei creati l'abbandonavano. Essa capiva che tutte le cosiddette libertà e istituzioni progressive borghesi attaccavano e minacciavano il suo dominio di classe tanto nella sua base sociale quanto nella sua sommità politica; erano cioè diventate "socialiste"." Karl Marx

Il progetto politico di shock-therapy neoliberista, infatti, è stato fin da subito impopolare. Rispetto ad oggi, l’unica differenza è che prima il neoliberismo coincideva con gli interessi di profitto delle Grandi Multinazionali.

Oggi, il suo potere è marcito e nessuna classe sociale sa bene cosa farci.


La sanguinosa macelleria sociale globale che si è sprigionata negli anni ‘70-’80 è stata la rampa di lancio necessaria per lo sviluppo e il dominio del neoliberismo, esattamente come quella odierna sta provando a dare lo slancio ad un nuovo ordine politico.


Fool us once….


Riassuntazzo


La Storia narrata da Klein assembla in un unico puzzle diversi eventi politici globali avvenuti tra il ‘73 e il 2007, eventi che segnano dei turning point nel modo in cui si è materializzato e solidificato il neoliberismo.

I singoli pezzi del puzzle seguono un filo ben preciso, ovvero la scoperta delle logiche, strategie e interessi economici che hanno dato vita al progetto neoliberale, definito da Klein come una controrivoluzione, portata avanti a colpi di Shock Economici.


Il libro viviseziona ogni aspetto di questa controrivoluzione: dalla teoria economica alla cultura dominante che ha generato, passando per i brutali apparati politici e sociali che le hanno dato forma.



Si parte con un capitolo che accosta la Terapia Shock – diffusa in America nella prima metà del ‘900 – al progetto di Milton Friedman, che si proponeva di attuare concretamente il suo pacchetto di "aggiustamenti economici". Questi aggiustamenti derivano dalla teoria economica della scuola di Chicago, ultraliberista e baluardo di difesa del Capitale.

Gli allievi che tradurranno la teoria economica di Friedman in politiche economiche reali vengono chiamati i "Chicago Boys".

Più che sulla pura teoria economica, l’accento del libro è posto sulla logica alla base della strategia di implementazione, sul pattern ricorrente che accomuna i singoli ingranaggi della Shock Therapy, in aperto paragone con l’ambito psichiatrico.


Di base, il punto è riprogrammare artificialmente il contesto in cui si opera (in un caso nella psiche umana, nell’altro all’interno del tessuto sociale di un popolo o una Nazione) e fare una tabula rasa, su cui poter edificare senza ostacoli un progetto nuovo – psichico o economico che sia.



Se il trauma in un caso è psicologico, nell’altro è uno shock sociale.


Il pattern della Shock Therapy economica consiste dunque nel creare artificialmente una crisi; sfruttare lo stato di emergenza e panico generalizzato; dare vita ad un regime di warfare economico contro le classi popolari; far macerare lo shock sociale che ne esce fuori; e infine costruire un imponente apparato mediatico per separare i crimini commessi dalle idee economiche sottostanti. E il ciclo riparte da capo.


Da qui in poi, il libro narra di un viaggio globale negli inferi: dal Cile al Sudafrica, dall’Occidente al Medio Oriente, passando addirittura dall’Urss e dall’Asia. Il playbook è sempre lo stesso.



Per prima cosa, Klein analizza l’esperimento che ha dato il via a questa controrivoluzione: la ferocissima dittatura di Pinochet.

Si tratta del momento cruciale, il primo "laboratorio della scuola di Chicago".


Il capitolo viviseziona i processi economici, sociali e politici che hanno solidificato il progetto dei "Chicago Boys" per la prima volta in Cile e successivamente in Argentina.

Qui si assembla per la prima volta il materiale tecnico-teorico dello shock, da cui emergeranno shock economici di proporzioni globali. La ricetta del cocktail non cambia mai, semplicemente vengono fatti degli aggiustamenti a seconda delle condizioni locali.

Inoltre, Klein si esplora le prime narrazioni che sganciano il progetto economico da quello politico, permettendo ai Chicago Boys di lavarsi le mani dai crimini commessi in nome della loro folle ideologia.


Parte 3 e 4 del libro si concentrano sugli esempi più eclatanti di questa transizione neoliberale, tra violenza, coercizione economica e strategie politiche brutali.

Reagan e Thatcher provano ad incastrare parte del progetto neoliberale all’interno di un quadro "democratico"; alcuni movimenti di protesta – come Solidarnosc in Polonia e l’ANC in Sud Africa – conquistano il diritto all’autodeterminazione politica, a discapito di quella quella economica; la crisi finanziaria in Asia sprigiona feroci privatizzazioni, fino ad arrivare al colpo di Stato in Russia che fece crollare l’Unione Sovietica.


Parte 5 e 6 narrano il perverso rapporto tra il Complesso Militare-Industriale. e l’apparato economico-politico che emerge dalla Terapia Shock su larga scala (il Complesso del Capitalismo dei Disastri).

La parte 5 percorre le similitudini tra i due complessi economici; la parte 6 si immerge completamente nella guerra in Iraq. La guerra, infatti, è in realtà il miglior strumento di Shock Therapy, ed ha portato a privatizzazioni su una scala tanto larga da sorprendere gli stessi Chicago Boys.


Nell’ultima parte, la settima, Klein trae le somme. E ci ha guadagnato da questi cocktail di policy-shock, e chi ci ha perso?
La conclusione è ovvia. L’1% ha derubato il 99%. Si tratta del Grande Esproprio, messo in atto dal neoliberismo per permettere al capitale di sopravvivere alle sue crisi economiche, (geo)politiche e sociali.


Analisi


In questa Dispensa in Movimento, vogliamo esplorare profondamente il lavoro di Klein ed estrapolare le teorie che compongono il suo lineare e lucido filo narrativo.

Quali sono le forze sottostanti che rendono necessaria – agli occhi del capitale – la Shock Therapy? Che meccanismi economici, politici e sociali vengono liberati? Come mai le strategie dell’1% hanno funzionato? Come agisce il sistema quando confrontato direttamente attraverso lo scontro di classe e il conflitto sociale?


Non vogliamo soffermarci troppo sugli eventi effettivamente descritti nel libro – invitiamo infatti a leggerlo – e preferiamo dare una spiegazione degli impulsi sottostanti che hanno dato vita alla Shock Therapy e al Complesso del Capitalismo dei Disastri.


Divideremo questo capitolo dell’analisi in 5 sezioni.


La prima si concentra sull’andamento ciclico delle performance economiche del capitalismo e sui diversi layer strutturali del sistema.

La seconda rivolge lo sguardo alla crisi e alle forze che si scatenano nel tentativo di proseguire il processo di accumulazione di capitale e profitti.

La terza viviseziona le dinamiche economiche, sociali e politiche che vengono sprigionate dalla Terapia Shock insieme all’impulso dietro le strategie che compongono il conflitto sociale.

La quarta parte infine torna ad un livello più alto di zoom, riguardando il sistema nell’insieme e analizzando la simbiosi delle due forme di accumulazioni possibili.

La quinta invece pone conclusioni propositive sugli insegnamenti pratici che si possono estrapolare.


Le prime due parti formano il quadro complessivo di quali siano gli impulsi e le esigenze del capitale per poter tornare ad operare stando alle sue regole.

Le ultime due analizzano la funzione della terapia Shock nel rispondere a questi impulsi ed "esigenze" dei ricchi.


Più che parlare del libro in sé quindi, preferiamo fornire un abbozzo delle varie lenti teoriche che possiamo utilizzare per leggere questo libro, oltre che a un insieme di teorie che si possono estrapolare dal suo filo logico.

I.

Una Coperta Troppo Corta

La prima domanda potrebbe sorgere spontanea. Come mai se è già successa in passato una ristrutturazione del sistema dovrebbe succedere anche adesso? Come mai ci si immagina un corso ciclico della Storia? Il neoliberismo, per via delle sue particolarità, rimane un qualcosa di imparagonabile a ciò che venne prima e a ciò che verrà in futuro, no?


La realtà è molto più semplice.

A causa delle sue dinamiche interne, il capitalismo ha un andamento delle performance economiche che è ciclico di suo, senza necessità di invocare meta-narrazioni della Storia umana.

Questa ciclicità delle performance economiche del capitalismo ci permette di prevedere che i "passaggi di consegne" tra forme diverse di capitalismo – che non superano il sistema in toto ma lo ricompongono in modo diverso – ci sono stati in passato e continueranno ad esserci in futuro.


Per comprendere la posizione specifica in cui ci troviamo adesso, e in cui si sviluppa il periodo descritto da Naomi Klein, dobbiamo guardare la ciclicità totale delle dinamiche capitalistiche e scomporla nelle sue fasi specifiche.

In questo modo si arriva agli impulsi sottostanti, quelli nascosti, su cui si basa tutta l’operazione della terapia Shock.

La stragrande maggioranza delle variabili economiche presenta periodi di overshooting e periodi di undershooting, momenti di boom e momenti di crack, crescita e tracollo.


Per quanto ignorato nelle facoltà di economia, è innegabile che l’erraticità delle performance economiche è un segreto di Pulcinella.

Tuttə lə più grandə economistə della Storia, di epoche e scuole di pensiero radicalmente diverse, lo hanno sottolineato in un modo o nell’altro.


Il ciclo di Kondratiev.

Dalla Distruzione Creativa di Joseph Schumpeter, l’analisi delle dinamiche degli investimenti della scuola Keynesiana, Le Grandi Onde di Kondratiev, alla teoria Marxista sulla profittabilità, accumulazione e prezzi, nessuna scuola di pensiero ha potuto sorvolare sulla ciclicità delle dinamiche del capitale.


Ma quel che abbiamo descritto è solo ciò che si vede in superficie.

Le performance del capitalismo sono il frutto di tante sottotrame che si intrecciano e si ricompongono continuamente.

Alcune variabili rappresentano elementi superficiali, altre invece compongono gli impulsi più profondi delle logiche di profitto e di accumulazione di capitale.

Dunque la performance economica si compone simultaneamente di queste sottotrame registrando variazioni nel breve, medio e lungo periodo.


Nel breve periodo vediamo i "business-cycle", fluttuazioni delle performance delle vendite complessive. Durano in totale 3-5 anni tra un picco e l’altro e dipendono dal caos generale di un’economia di mercato, in cui la produzione è organizzata prima di sapere se il mercato è in grado di assorbire il volume di merci prodotto.

Queste variabili sono totalmente superficiali e sono fenomeni visibili che emergono da fattori sottostanti in profondità nel sistema.


Nel medio periodo è la scuola di pensiero Keynesiana e Post-Keynesiana che viene a darci una mano.

La domanda aggregata effettiva – ovvero la somma dei redditi complessivi – crea un ciclo di boom e recessioni che dura una decina/quindicina di anni tra un picco e l’altro.

Di questi redditi, sono quelli da lavoro che contano di più per la domanda effettiva, in quanto si consumano più in fretta (chi lavora ha poco da risparmiare rispetto ad un miliardario), e in quanto (rappresentando i redditi del 99%) sono maggiori in termini assoluti complessivi.


I redditi da lavoro sono composti dal salario + debiti accumulati. Se i debiti accumulati superano una certa soglia, il 99% inizierà a ripagarli prima di esserne sommerso, contraendo la domanda aggregata e dunque i profitti che vengono realizzati.

Appena i debiti vengono pagati/allentati, allora il credito bancario inizia a rifluire, la domanda aggregata aumenta e il ciclo ricomincia.

I cicli nel medio periodo influiscono sulle performance economiche, ma non sono la loro causa più remota.


Sono in una posizione di mezzo in cui determinano l’intensità più o meno alta con la quale dinamiche ancora più profonde si propagano nell’intera economia.

Se ad esempio siamo in un periodo di fase espansiva di lungo periodo, ma in una fase di debito insostenibile nel medio periodo, allora il sistema continua a crescere ma con il freno a mano parzialmente tirato.

Se invece il medio periodo fosse in una fase di debito sostenibile allora la performance economica procede a tutto gas.


Eccoci dunque alle dinamiche di lungo periodo. Qui siamo nel profondo del capitalismo, in zone in cui solo la teoria Marxista si è addentrata.

L’accumulazione di capitale stessa crea periodi di tassi di investimento sostenuti per 25-40 anni, salvo poi crollare in crisi strutturali per 10-15 anni.

Utilizzo reale del capitale investito, saggio di profitto, tasso di investimenti e profittabilità reale: queste le variabili che determinano il ciclo del lungo periodo.


"La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali.

Queste dinamiche colpiscono la struttura del capitalismo nel profondo, costringendolo a rivoluzionare internamente i suoi stessi processi di controllo della forza-lavoro, di espansione dei mercati e dei rapporti sociali dominanti.

Il risultato complessivo di questi cicli ha comunque una direzione.

Nel suo complesso, infatti, il volume della produzione economica aumenta.

Il capitale è intrinsecamente espansivo.

Dalla somma già esistente di capitale sotto forma di denaro (D) si reinveste una parte di esso, si crea una merce (M) – materiale o immateriale che sia – e si ricava più denaro di quello anticipato (D’). D’ dev’essere maggiore quindi di D (Capitale, Libro I, Sezione II, Capitolo IV").


Insomma nel suo tragitto il capitalismo trova molti ostacoli a mantenere lineari le sue performance economiche, ma vediamo chiaramente una propensione all’espansione di sé e all’aumento della ricchezza complessiva.

Ma questo non vuol dire necessariamente che continui per sempre ad espandersi.

Non solo per la minaccia del cambiamento climatico, ma perché ogni sistema economico è destinato a diventare obsoleto, specie se diviso in classi sociali.

"A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse." Karl Marx

L’obsolescenza di un sistema economico si verifica quando, per una miriade di possibili motivi, i suoi rapporti sociali dominanti – quelli costitutivi e strettamente necessari – si oppongono alla forza liberata dal suo apparato produttivo.


Questo sarebbe il periodo in cui il sistema rimane in un limbo, a difendersi con le unghie e con i denti per mantenere un dominio sociale in putrefazione.

Vuol dire trovarsi davanti un sistema che ha perso ogni spinta propulsiva al miglioramento sociale, ma che, avendo generato una classe incredibilmente ricca e privilegiata, non lascerà la scena senza una spinta dal basso.


"A volte la storia ha bisogno di una spinta." Vladimir Lenin

C’è quindi anche un’altra onda, di lunghissimo periodo, che opera su una scala di tempo così grande da poter evidenziare le parabole degli interi sistemi economici che hanno attraversato la Storia.

Secondo noi – e secondo una grande fetta delle teorie di sinistra radicale odierne – siamo già nel periodo in cui i rapporti di proprietà tipici del capitalismo e le sue dinamiche sociali hanno esaurito completamente ogni spinta propulsiva a creare maggiore ricchezza e benessere, neanche per la parte più privilegiata al mondo.


Dunque abbiamo vivisezionato i vari cicli che compongono le performance economiche del capitale. Abbiamo visto queste performance nel breve, medio e lungo periodo, evidenziando come più si guarda nel lungo periodo, più si scovano le variabili economiche che vanno in profondità. Questo andamento ciclico dell’economia si propaga nel resto della struttura sociale.

Tutti questi cicli compongono la parte dinamica del sistema, che è onnipresente.


Ma la parte dinamica del capitalismo non è tutto.

Ogni sistema economico ha anche bisogno di solide strutture sociali per reggersi in piedi e dunque vi sono elementi interni che rimangono statici col passare del tempo, proprio per garantire stabilità e continuità alla parte dinamica.


Possiamo vivisezionare il capitalismo in 3 layer principali, che – chissà se per caso o no – ricalcano esattamente la tripartizione freudiana della persona.

Non abbiamo trovato nessuna teoria che faccia questo collegamento, ma a noi sembra particolarmente utile per fissare il concetto.

L’es, la parte più profonda del sistema, è formata dagli impulsi primari che devono necessariamente essere soddisfatti. La logica del profitto, l’accumulazione di capitale, l’espansione dei mercati, l’aumento dello sfruttamento, l’appropriazione privata della produzione sociale, la divisione in classi sociali: sono questi i bisogni primari del sistema.

Esattamente come nell’immagine sopra, essi lavorano in sottofondo, in modo inconscio e immediato.


Ma le crude, immediate e spietate logiche profonde del capitalismo non sono capaci di mantenersi in piedi da sole, così come una persona non può vivere solo ascoltando i puri istinti di piacere.


Emerge quindi l’Io, la parte "istituzionale" del sistema, formata da Stato, Legge, Imprese, Famiglie, Accordi Istituzionali, Sindacati, Costituzioni, Banche….

La sua funzione è quella di aggiustare le disfunzionalità e raffreddare le contraddizioni interne all’es, e sostenere nel lungo periodo gli impulsi economici fondamentali, creando un apparato istituzionale in grado di controbilanciare e stabilizzare il sistema economico.


Coincide con la parte più conscia della tripartizione e media gli impulsi del capitale con la salvaguardia delle condizioni sociali che riproducono il sistema stesso, mantenendolo in vita. Si tratta dunque della parte di riproduzione sociale del capitalismo.

Le tensioni, contraddizioni e disfunzionalità dell’es sono così profonde però che non possono essere tenute a bada per sempre.


Infine troviamo il Super-io, che rappresenta la cultura – o le forme culturali – dominante/i.

Esattamente come il Super-io freudiano, la cultura si costruisce attraverso la graduale interiorizzazione dei vincoli, dei limiti e delle pressioni imposte dalle altre due parti.

Rappresenta cosa viene considerato positivo o negativo dalla maggioranza delle persone, il modo attraverso il quale le barriere e le opportunità del sistema vengono elaborate dalla psiche collettiva.


La tripartizione della struttura del capitalismo si può dunque comporre così:

Questa è, a nostro parere, una valida sintesi sull’immensa e interminabile diatriba interna al Movimento sul concetto di Struttura-Sovrastruttura marxista.

Gli impulsi economici, l’apparato istituzionale e la cultura dominante lavorano in simbiosi creando e mantenendo in piedi l’organicità del capitalismo.



A cosa ci è servito guardare la parte statica e dinamica del capitalismo?

Il nostro compito in questa prima parte dell’analisi è quello di comprendere le forze e gli incentivi che spingevano nel profondo la necessità di ristrutturare l’economia a colpi di Shock.


Da un punto di vista cronologico sappiamo dove inserirlo.

Il cuore del libro si svolge nei 2 decenni tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90, tra una crisi e la successiva fase di accumulazione ed espansione economica.


Per maggiori informazioni, fate riferimento all’articolo"A Reconceptualization of SSA Theory" di Daivd M. Kotz.

Ma questo non significa che sappiamo, per ora, quali fossero le esigenze primarie e gli impulsi più preponderanti del capitalismo in quel periodo, dunque non possiamo conoscere a livello sistemico cosa hanno rappresentato questi due decenni.

Per poter comprendere questo abbiamo bisogno dell’anello di congiunzione tra la parte dinamica e strutturale del capitalismo: la teoria delle Strutture Sociali di Accumulazione.



Possiamo considerare le Strutture Sociali di Accumulazione (SSA) come la forma istituzionale – con i suoi equilibri di potere e i suoi conflitti interni – che caratterizza un ciclo di performance economiche di lungo periodo.

Sono la sintesi dei rapporti di forza all’interno dell’apparato istituzionale.


La SSA costituisce l’io e dunque ha il compito di mediare gli impulsi economici e renderli sostenibili per il periodo di tempo più lungo possibile. Si tratta sostanzialmente di una coperta messa sopra le contraddizioni del sistema.


Una nuova SSA nasce dunque dalla crisi di una precedente, si sviluppa e si solidifica durante la fase di espansione economica, inizia ad indebolirsi al picco, per poi andare in crisi insieme all’intero sistema.

Per questo le crisi delle performance nel lungo periodo prendono il nome di crisi strutturali, perché sono talmente profonde da mandare all’aria tutto il delicato lavoro di mediazione della SSA.



Avendo un ruolo attivo, una qualsiasi SSA influenza a sua volta il processo di produzione. Si sviluppano quindi processi di feedback loop tra impulsi economici e SSA.

La SSA emerge da una crisi quando ne "risolve" i problemi fondamentali: il suo compito è spazzare via gli ostacoli alla produzione futura e provocare una spinta propulsiva agli investimenti mediando i conflitti sociali e raffreddando le contraddizioni del sistema. Questo momento di formazione e solidificazione della SSA coincide col momento di espansione economica.


La coperta, però, è troppo corta. La spinta propulsiva si esaurisce e gli aspetti della SSA che avevano sostenuto le performance economiche diventano un ostacolo agli investimenti futuri. La SSA va in crisi e ha i giorni contati.

A dimostrazione della sua funzione di mediatrice degli impulsi economici, il ciclo di vita di ogni SSA combacia esattamente con il ciclo della profittabilità.

Per quanto l’io (la SSA) del capitalismo si sforzi a razionalizzare i suoi impulsi e a renderli sostenibili e funzionali, il burnout (la crisi) è inevitabile.

Le contraddizioni più profonde del capitalismo emergeranno sempre e ogni coperta si rivela corta per reggere l’urto dell’espansione economica: prima o poi anche la migliore SSA si strappa.


La terapia shock individuata da Klein si tratta di una trasformazione radicale al livello dell’apparato istituzionale in un periodo di crisi strutturale. Il suo obiettivo è fare piazza pulita, dissanguare capitale in eccesso e lavoro, permettendo l’aumento del saggio di profitto e dunque di riprendere ad investire e accumulare.



La forma di capitalismo che ne viene fuori è il neoliberismo che completa la sua formazione durante la (molto debole) "fase di espansione" durante gli anni ‘80-’90 e 2000, motivo per cui il libro di Klein si sofferma anche e soprattutto su questo periodo.


In particolare, la crisi degli anni ‘70 portò alla crisi della SSA del Secondo Dopoguerra.

Essa si solidificò negli anni ‘50-’60 ed era caratterizzata da salari relativamente alti, sviluppo del welfare, parziale pianificazione economica e restrizioni elevate alla finanza.

Era il segno di un capitalismo che, messo a dura prova dalla Guerra Fredda, era costretto a tirare fuori le migliori performance economiche possibili per scongiurare la possibile presa di potere, anche in Europa, dei "comunisti".


Fu infatti la golden age del capitalismo da questo punto di vista, con tassi di crescita economica semplicemente vertiginosi e una rapida re-industrializzazione che sembrava inimmaginabile dopo la Seconda Guerra Mondiale.



Il neoliberismo, all’opposto, si solidifica proprio alla fine della Guerra Fredda, e rappresenta il "trionfo" indiscusso del capitale in tutto il mondo – la globalizzazione.


Venendo a mancare tutte quelle istituzioni del lavoro che tenevano alta la guardia dei padroni di tutto il mondo, il capitalismo si è lasciato andare e ha iniziato a marcire.

Il neoliberismo tirerà fuori delle performance economiche ridicole. La crescita media del neoliberismo nella fase di espansione è la fotocopia della crescita durante la fase di crisi dell’ordine socialdemocratico.


Dunque Shock Economy posiziona la sua narrazione all’interno della fuoriuscita dalla crisi della SSA socialdemocratica e della successiva espansione economica che fece emergere il neoliberismo come nuova SSA a tutto tondo.


È arrivato il momento di fare zoom in. Cosa succede nello specifico durante una crisi, sia a livello economico più profondo che a livello istituzionale?

II.

La Crisi e le Compulsioni del Capitale

Che il capitalismo vada in crisi non è molto sorprendente. Non potevamo aspettarci molto di meglio da un sistema in cui la produzione è organizzata attraverso centinaia di milioni di unità produttive disperse che seguono unicamente l’incentivo dei soldi.


Nonostante ciò, solo la teoria economica e politica marxista assume questa postura, trattando la crisi come un risultato inevitabile delle dinamiche economiche del capitalismo.

Come sempre, in un tema esplorato solo da pochi accademici, la confusione aleggia.


Le modalità con cui si attiva la crisi, le cause economiche e le conseguenze politiche che emergono alimentano infiniti dibattiti interni attorno al tema.


L’argomento è affrontato in modo approfondito in Marx’s Concept of the Transcendence of Value, da pagina 10 a pagina 50.

Sulla causa delle crisi in particolare emergono due poli radicalmente opposti. Da una parte troviamo gli approcci "oggettivi", dall’altra quelli "soggettivi".



L’approccio oggettivo vede il capitale come una macchina che si autoriproduce e che è causa di sé stesso e dunque pone l’accento sulle "leggi economiche" che vengono messe in moto dai suoi processi più profondi.


L’approccio soggettivo, invece, vede nel capitale una mancanza, una non-determinatezza costante, che viene colmata dal conflitto sociale e dalla continua resistenza – a volte tacita, a volte esplicita – delle classi oppresse.

Mette in risalto dunque la lotta di classe e lo scontro col potere come la parte soggettiva e indeterminata del capitalismo, da cui dipendono le sorti dello sviluppo del sistema.



Questi due approcci creano i poli opposti del campo di teorie esistenti sulle crisi strutturali del capitalismo.

Il polo oggettivo cerca le cause della crisi all’interno dei meccanismi oggettivi del capitalismo. Ricerca la crisi nella tendenza ad aumentare l’intensità di capitale all’interno delle imprese, il conseguente declino del saggio di profitto, il crollo degli investimenti, oppure l’incapacità del mercato di assorbire il volume crescente della produzione. Questo approccio ricerca una crisi autoindotta.


Il polo soggettivo rivolge lo sguardo alla lotta di classe, alle forme politiche e contro-istituzionali che pongono i vincoli all’accumulazione di capitale, chiudendo tutti i possibili rubinetti di investimenti privati e dello sfruttamento generalizzato.

Si spiegano le crisi dunque sulla base dell’insubordinazione diretta delle classi oppresse, la loro resistenza alla volontà del capitalista di aumentare le ore di lavoro e diminuire i salari, l’innalzamento dei salari dato dalla lotta di classe, oppure da vere e proprie iniziative collettive che paralizzano l’economia reale.

L’approccio soggettivo ricerca una crisi indotta dalla lotta di classe.


Non vogliamo addentrarci più di tanto in questa premessa. È vero, nella prima parte abbiamo affrontato le dinamiche sistemiche da un punto di vista oggettivo, senza fare troppo riferimento alla lotta di classe e al conflitto sociale.

Ma questo non esclude il ruolo di queste dinamiche soggettive, che sono onnipresenti e che, insieme alle dinamiche oggettive, compone il puzzle sulle cause della crisi.


I meccanismi oggettivi del capitalismo, sono perseguitati da contraddizioni e disfunzionalità che possono condurre a crisi autoindotte dal capitale stesso.

Queste contraddizioni però non pre-determinano l’esito concreto e reale che hanno sulla società. Pongono la base oggettiva su cui si sviluppa lo scontro tra le classi sociali, i vincoli economici entro i quali le varie forze politiche e sociali si danno battaglia.

La lotta di classe può quindi accelerare, esasperare o a volte anche acquietare le tendenze alla crisi, ma il campo su cui si svolge lo scontro è dato dagli impulsi profondi del capitale, che non vengono mediati da nulla, neanche dal conflitto sociale più infuocato.


La tendenza economica oggettiva che crea le condizioni di esistenza della crisi è la caduta del saggio di profitto, ovvero una continua pressione verso il basso della quantità di soldi guadagnati in relazione a quanto si è speso per guadagnarli.


Qui diamo per scontata la tendenza oggettiva alla crisi. Per approfondimenti su questa teoria, fate riferimento all l'economista marxista Anwar Shaikh.

È il rapporto tra profitti e investimenti. Se ha una tendenza a diminuire questo indica una situazione in cui prima o poi i profitti generati non basteranno per tutti i capitalisti….



Il puzzle delle cause delle crisi è così composto:

Caduta Saggio di Profitto (Causa Primaria-Oggettiva) + Lotta di Classe (Causa Secondaria-Soggettiva) = Composizione delle Cause delle Crisi.


La prima causa riduce la quantità di nuova ricchezza prodotta relativamente a quella già esistente. La seconda riduce la quantità che spetta ai capitalisti di questa nuova ricchezza prodotta. Se si combinano questi due effetti, la crisi non tarderà ad arrivare.


Ora, in tutte queste pagine abbiamo descritto il capitale come questa macchina conflittuale, ma anche complessa, piena di feedback-loop tra una struttura e l’altra, dinamico e continuamente all’opera. Sembrerebbe parlare di una macchina completa e incredibilmente oliata nel gestire problemi ricorrenti.


In realtà il capitalismo per poter sopravvivere non può far sapere proprio tutto tutto all’1%.

Se così fosse questo gruppo sociale si renderebbe conto che gli impulsi del capitale sono incontrollabili anche per loro, la classe al potere, portando ad una situazione in cui nessuno vuole investire.

Insomma, bisogna nascondere la maggior parte delle contraddizioni anche alla parte cosciente del sistema, pena il crollo definitivo di tutto.


Invece di guardare alla crisi da un punto di vista sistemico, agli occhi dell’1% la caduta del saggio di profitto apparirà sempre come un problema di sovra-investimento e non di crollo del saggio di profitto.

Questo permette al potere di mantenere l’illusione del controllo, in quanto basterà distruggere gli investimenti meno produttivi per uscire dalla crisi.


Ma l’illusione del controllo non è sostenibile in un contesto di crollo verticale dei profitti, degli investimenti e della domanda totale, di spirali di debito incontenibili e di dissanguamento di capitale.

Questa contraddizione crea le compulsioni del capitale, ovvero dei processi irrefrenabili, scatenati dal capitalismo nel cuore della crisi che opera in un vero e proprio contesto di panico generalizzato.



La parte cosciente del sistema – la cabina di comando formata da capi di Stato, proprietari delle Grandi Multinazionali e istituzioni globali – iniziano a "premere tasti a caso". Ogni minimo ostacolo alla ripresa degli investimenti e dei profitti dev’essere eliminato dalle fondamenta.

Non c’è più spazio per concessioni, compromessi o altro. Il capitale mostra tutta la sua brutalità e perde totalmente il controllo.


Il risultato è un mix esplosivo degli impulsi più brutali del capitale, una forza distruttrice impressionante. Siccome appare sempre come crisi da sovra-investimento, la forza distruttiva si scaglierà – a lungo andare – sugli investimenti.

In poche parole la violenza verrà rivolta o verso il vecchio capitale poco produttivo, oppure verso la forza-lavoro, ovvero le due componenti di investimento di ogni capitale operativo nelle imprese.

Secondo voi quale delle due parti subirà per prima le ire della classe al potere?


Le forze distruttrici spingono per abbassare gli stipendi, alzare i prezzi, eliminare forza-lavoro, appropriarsi di risorse non private, aumentare il volume di "cose da mercificare" e solo in seguito distruggere capitale "vecchio".

Eppure da un punto di vista economico è proprio quest’ultimo l’ostacolo più profondo per l’accumulazione futura.

Ancora una volta – scegliendo di scaricare i costi della crisi al 99% – la classe al potere aggrava le condizioni della crisi stessa.



Le forze distruttive, se ci pensiamo, rappresentano quello che si intende genericamente per "capitalismo puro", dove le istituzioni non intervengono – in questo caso perché non hanno una struttura effettiva per farlo.

Se lasciassimo davvero girare a piede libero le pulsioni al profitto, sfruttamento e accumulazione privata della ricchezza – che costituiscono l’essenza di questo sistema economico – la società crollerebbe su sé stessa nel giro di qualche ora, il tempo di una partita di Monopoli.


È dal rilascio delle compulsioni del capitale che la SSA entra in crisi. Tutti gli equilibri dell’apparato istituzionale sono potenzialmente degli ostacoli al capitale. La sua forza distruttrice nei momenti di crisi, in cui le compulsioni girano a piede libero, finirà per investire anche la SSA.


D’altronde avevamo detto che le pulsioni profonde e l’apparato istituzionali sono un corpo in simbiosi che lavora per mantenere in piedi il capitalismo.

Se uno dei due perde il controllo, è solo questione di attimi prima che lo faccia anche l’altro.


La crisi quindi diventa strutturale quando è talmente profonda da scatenare le compulsioni del capitale, mettendo a repentaglio gli equilibri della SSA.



La SSA in crisi ha bisogno dunque di venire scomposta e ricomposta fino a quando non ha eliminato di mezzo gli ostacoli più pesanti per riprendere ad investire.

Le nuove contraddizioni, emerse nel precedente periodo di espansione economica, devono essere raffreddate e la vecchia SSA non è in grado di farlo.

È proprio qui che l’uso dell’immagine dello shock da parte di Naomi Klein si rivela incredibilmente calzante.

L’apparato istituzionale infatti, colpito dalle compulsioni, si autoinfligge degli shock, degli attacchi severissimi al cuore dei suoi equilibri.


Vista dal punto di vista del capitale, si sta semplicemente rimuovendo potere a quelle istituzioni – capitale operativo compreso – che non sono abbastanza produttive.

La realtà, vista dagli occhi del 99%, è che i diritti, le convenzioni, i rapporti sociali e le istituzioni su cui le persone avevano fatto affidamento per costruire il loro futuro – all’interno dei vincoli del sistema – potrebbero crollare da un momento all’altro sotto i colpi furiosi del capitalismo stesso e della classe al potere.


La scomposizione e ricomposizione violenta dell’apparato istituzionale prende il nome – nel senso che glielo diamo noi – di Shock Istituzionale.

La terapia Shock a cui si fa riferimento è la manifestazione reale, storica, di tutto ciò. Nell’intro abbiamo visto la citazione di Milton Friedman, che va nel cuore del modus operandi che accomuna tutti gli eventi di cui parla Klein.

L’idea è di "approfittare di una crisi" – o crearla dall’alto se necessario – per permettere alla classe al potere di riconfigurare il proprio apparato istituzionale e fare una tabula rasa delle conquiste della classe operaia cosicché il capitale possa riprendere a macinare profitti. L’immagine di uno Shock Istituzionale viene da sé.


Non c’è nessun Dio che viene a salvare il capitale. Se la deve cavare con quello che già esiste. I patti e le alleanze di facciata si sbriciolano e le varie fazioni sociali mostrano la loro vera natura: alcune si attaccano inutilmente allo Status Quo, alla vecchia SSA; altre spingono per risolvere col pugno di ferro; altre ancora danno una spinta progressista, oppure rivoluzionaria.


Sono questi i "mostri" di cui parla Gramsci. Nei vari momenti di stallo all’interno dello Shock Istituzionale il vecchio potere marcisce e il nuovo non si è ancora formato.


"L’embrione della società futura si trova nel grembo di quella odierna." Karl Marx

Questa è una fase di indeterminatezza: spesso la riconfigurazione avviene nel giro di diversi anni e se ne riconoscono i tratti solo a posteriori.

Dunque se è vero che le potenzialità oggettive della nuova SSA sono già nel grembo di quella precedente, al tempo stesso la sua forma reale e concreta emerge dallo scontro di classe, dalla sua intensità e dalla strategia usata dalle controparti politiche. Il futuro non è predeterminato.



Davanti ad ogni crisi "Socialismo o Barbarie" diventa sempre più reale. Si può avere un’uscita interna alla crisi, dove quindi il capitale mantiene le sue strutture riconfigurandole. Oppure, a furia di riconfigurare ed indebolire l’apparato istituzionale, il sistema – o una parte di esso – crolla.

Questa è l’uscita esterna alla crisi, che crea un nuovo sistema economico in tutto e per tutto.


La direzione che viene intrapresa è il diretto risultato dello scontro sociale.

La via esterna presuppone la vittoria delle classi oppresse, quella interna invece indica la vittoria della classe al potere.


L’uscita interna alla crisi si divide anch’essa in due sotto-direzioni.

In un caso il potere è costretto a dare concessioni alle classi oppresse: lo Shock Istituzionale finisce per scagliarsi contro la parte "oggettiva" della crisi.

Il vecchio capitale in eccesso viene pian piano eroso e vengono messe in campo delle riforme di compromesso tra l’1% e il 99%.

Il New Deal dopo la crisi del ‘29 e la sconfitta del nazifascismo attraverso "l’unione" delle forze liberali e sovietiche simboleggiò proprio questo.

Una via d’uscita interna ma progressista, che incorpora dentro di sé diverse proposte politiche dal basso.


Gli anni di cui parla Naomi Klein invece, il risultato dello scontro di classe è stata una vittoria schiacciante dell’1%, che ha scaricato tutta la sua foga distruttiva contro le classi oppresse. La nuova SSA – il neoliberismo – è reazionaria e reprime ogni tentativo di opposizione e di proposte politiche dal basso.



Invece di attaccare le cause oggettive della crisi, la terapia shock fu una gigante operazione di redistribuzione delle ricchezze dal basso verso l’alto, una sorta di socialismo al contrario da parte delle élite.


Come vedremo nella sezione successiva, il primo target contro cui si scagliò il capitale fu l’occupazione, roccaforte del potere operaio, poi i salari, il potere d’acquisto e il welfare facendo partire privatizzazioni in serie.

Il filo che collega i vari laboratori-shock dei Chicago Boys in tutto il globo sono le policy di impoverimento di massa, privatizzazione, repressione del dissenso e politiche autoritarie antidemocratiche.


Ad esserne colpite furono soprattutto le organizzazioni sociali che – spesso dal basso e a volte dall’alto – sostenevano questo contropotere del 99% del tempo, nonché le stesse istituzioni democratiche e "liberali", figlie, in realtà, del compromesso tra gli interessi dall’alto (non-democratici per definizione) e le lotte dal basso.

Sindacati Conflittuali, Movimenti di Liberazione Nazionale, Lotte per l’Uguaglianza Sociale, Popolazione Marginalizzate in Rivolta: furono questi i target politici più attaccati e manipolati dalle terapie shock dei Chicago Boys.

III.

La Terapia Shock

Per poter parlare dello Shock economico e della riconfigurazione istituzionale descritta da Naomi Klein dobbiamo conoscere in primis la SSA precedente a quella neoliberale, quella che va in crisi nel ‘73, momento storico in cui Klein inizia il suo libro.

Useremo il nome di SSA Socialdemocratica, o Compromesso Socialdemocratico.


Il Compromesso Socialdemocratico emerge per prima qualche anno dopo la pesantissima crisi del ‘29, ma si strutturò completamente solo dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Dopo questa incredibile tabula rasa, le organizzazioni dei lavoratori costringono il Grande Capitale ad accettare conquiste che ancora oggi sono capisaldi del nostro impianto di servizi pubblici e di welfare, alti salari e abbondanti investimenti pubblici.


Del resto l’Unione Sovietica si trovò al picco delle sue performance economiche e del suo potere geopolitico ed era appena uscita vincitrice dalla Seconda Guerra Mondiale al pari di Stati Uniti e Alleati Europei.

I Movimenti Operai forzarono la mano nel negoziare le condizioni della ricostruzione post-bellica e avevano le spalle coperte per farlo.


Il capitale, però, dimostrò un’ottima abilità nel riuscire ad assorbire le pretese della classe operaia.

Questo assorbimento del capitale della spinta propulsiva dal basso creò la Golden Age del capitalismo. Si scopre che se ad una tabula rasa data da una guerra si aggiungono una partecipazione attiva e militante della classe operaia e una forza geopolitica socialisteggiante (l’Urss), il capitalismo è forzato a dare vita alle sue migliori performance di crescita economica, di aumento della produttività sociale e di garanzie sociali per la classe operaia.


I livelli dei salari non furono mai così alti – e non lo sono ancora oggi; relativamente alla ricchezza materiale del tempo, nessun altro periodo storico ha pareggiato gli investimenti pubblici e i livelli di welfare di quell’epoca.

Come abbiamo detto però, la coperta è troppo corta.

La spirale verso l’alto dei salari privati e degli investimenti nel welfare, risultato dell’incorporazione delle rivendicazioni operaie all’interno dell’apparato produttivo capitalista, si rivelano insostenibili per i margini di profitto della classe al potere.

Il saggio di profitto crolla vertiginosamente, la piena occupazione fa aumentare i salari oltre la produttività e lo Stato smette di finanziare la spesa in deficit sotto la pressione del Grande Capitale.


Vogliamo sottolineare che il capitalismo nel ‘73 va in crisi proprio perché sempre più ricchezza andava nelle tasche del 99% invece che dell’1%.

Il Compromesso Socialdemocratico non era più sostenibile per il capitalismo.

Allo scoppio della crisi di stagflazione (stagnazione economica + inflazione) degli anni ‘70 era arrivata l’occasione di distruggere la SSA socialdemocratica a colpi di Shock Istituzionale.



Da questo contesto entrano in gioco le forze descritte nel libro.

Sia dal basso che dall’alto si sprigiona un sanguinoso braccio di ferro tra operai e capitale, movimenti femministi-queer e pratiche patriarcali, black-power e supremazia bianca, movimento studentesco e guerra, movimenti di liberazione nazionale contro imperialismo e colonialismo, per rompere gli equilibri economici, (geo)politici e sociali che avevano caratterizzato la SSA socialdemocratica.


Solo negli anni ‘80 l’1% sarà in grado di vincere questo round di lotta di classe, dando vita alla nuova SSA – quella neoliberale – che si fonda invece su un’alleanza asimmetrica tra Grande Capitale e Piccolo Capitale.


La terapia shock ha bisogno di liberare la violenza del capitale per mantenere il controllo sull’apparato produttivo e uscire internamente dalla crisi economica.


L’obiettivo è tornare a livelli di profittabilità sufficienti per riprendere ad investire e quindi accumulare capitale.



Il primo attacco del capitale si rivolge sempre verso i livelli di occupazione: il dissanguamento della forza-lavoro agisce da strumento che preme i salari verso il basso.

Se per il lavoro che fai ci sono 3 disoccupati pronti a farlo ad un prezzo più basso, il tuo salario ne risentirà. Moltiplica questo per tutti i posti di lavoro e si comprende come l’aumento dei livelli di disoccupazione sia un’arma che indebolisce il potere economico della classe operaia.


Il secondo attacco colpisce il welfare, che costituisce la parte sociale del salario.

Infatti, oltre ad usufruire del salario versato direttamente in busta paga (salario privato), la classe operaia può usufruire anche di servizi sociali, finanziati con denaro pubblico.

I tagli alla spesa sociale quindi diminuiscono la quota di ricchezza che compone il salario sociale. E quindi più ricchezza privata per la classe al potere.

Si tratta di una vera e propria redistribuzione delle ricchezze dal basso verso l’alto.


Il terzo attacco prende di mira l’organizzazione della produzione. La deregolamentazione del mercato e le privatizzazioni introducono le logiche distruttive del profitto e della competizione in contesti che prima funzionavano in altro modo.

In questo modo il capitale crea ad hoc nuove fonti di investimento attraverso la coercizione politica dello Stato.


La congiunzione di questi tre attacchi riporta al suo posto il saggio di profitto, prima che la fase di espansione lo riporti in basso di nuovo generando un’ulteriore crisi, facendo ripartire il ciclo.

Queste compulsioni agiscono e si propagano attraverso tutti i layer del sistema capitalista.

Partono dal layer più profondo, si trasmettono nell’apparato istituzionale, attraverso l’attacco ai movimenti radicali e arrivano fino alla cultura dominante, inculcando l’idea dell’individualismo, della "libertà" del mercato e della "fine della Storia" – in cui guarda caso il vincitore è il capitalismo.



Ovviamente lo shock istituzionale non colpisce solo i movimenti apertamente rivoluzionari, ma anche altri settori della politica borghese e del capitale che rimangono recidivi al cambio di paradigma voluto dai Chicago Boys.

In quegli anni infatti, oltre al tentativo rivoluzionario e reazionario di fuoriuscita dalla crisi, si sviluppò anche una tentativo progressista di uscita interna.


Il simbolo di questo tentativo di colpire la crisi a colpi di ulteriori riforme socialdemocratiche fu il "Compromesso Storico" italiano, che si rivelò un progetto fin da subito troppo instabile per tenersi in piedi.


Questo significa che quando il libro narra di eventi che non coinvolgono la classica dicotomia "Movimento vs potere costituito" è semplicemente perché si parla di una lotta interna tra diverse sezioni del capitale stesso.

D’altronde durante la crisi il capitale deve eliminare una parte di sé stesso: se nell’ambito economico elimina la parte di sé poco redditizia, nell’ambito politico elimina quella classe dirigente che non si adatta ai suoi nuovi capricci.



Il fatto che il capitale abbia nuove esigenze non assicura però la sua vittoria nell’imporre le condizioni dello Shock Istituzionale, né quantomeno della nuova SSA che sorge dalle ceneri della vecchia.


Per fare questo deve vincere lo scontro con le classi oppresse e con le sezioni del capitale di cui abbiamo appena parlato. Ovvero uscire vincitrice dallo scontro per il potere.

Si tratta, quindi, di vincere una lotta strategica.

Da una parte le classi oppresse sono più numerose; dall’altra la classe al potere controlla le istituzioni che permettono di assecondare i suoi interessi su larga scala.


In primis, gioca un ruolo predominante la forza repressiva dello Stato, attraverso le forze armate. Durante periodi di compulsione del capitale, lo Stato torna alle sue "impostazioni di fabbrica" e le sue funzioni si riducono all’uso della violenza per riportare "l’ordine sociale".

Controllare e dirigere queste forze significa assicurarsi del predominio strategico nel cuore dello scontro politico.


Come ammettono gli stessi Chicago Boys, riferendosi al loro primo laboratorio sociale (il Cile di Pinochet):


    "Le richieste di Friedman erano così aggressive che non potevano essere imposte o portate avanti senza l’elemento gemello che le sottende: forze armate e terrorismo politico."

Oppure come non citare l’emblematico caso dei minatori inglesi, sconfitti dopo un anno di vera e propria guerriglia urbana contro l’esercito schierato dal governo Thatcher.


Ovviamente però, non basta il controllo della violenza su larga scala.

Bisogna anche agire sulle istituzioni che regolano la distribuzione e la produzione economica.

Questo significa principalmente controllo delle Banche Centrali e del Governo.


Le Banche Centrali hanno il compito di usare il loro leverage di essere "alla base" di tutto il sistema creditizio: possono dunque minacciare di togliere i fondi necessari alle politiche monetarie espansive, senza le quali nessun progetto politico di sinistra può sopravvivere.

In quasi tutti gli eventi descritti nel libro – in particolare quelli in Polonia e in Sud Africa – il Fondo Monetario Internazionale (la Banca Centrale Mondiale praticamente) e le Banche Centrali nazionali usano questa fonte di coercizione economica per imporre il proprio progetto di estrema austerità monetaria.


Il Governo invece si occupa di sviluppare la "Trinità di Friedman" come viene chiamata da Klein stessa: "deregolamentazione, privatizzazioni e tagli alla spesa sociale".

Esso sfrutta il suo leverage di poter impostare la direzione delle nuove leggi e di essere il "negoziatore" principale delle tensioni tra capitale e lavoro.


Sono dunque queste due istituzioni che, attraverso i loro rispettivi leverage, hanno il compito di fare la "tabula rasa" dei diritti economici e delle conquiste sociali delle classi oppresse, per poter edificare nuove fonti di investimenti privati.

Il risultato, in ogni evento narrato dal libro, è aumento della disoccupazione, del business illegale e della povertà, un’impennata del costo della vita, ma soprattutto crollo vertiginoso dei redditi da lavoro e privatizzazione dell’economia pubblica e comune.


Infine, per far digerire lo shock economico al grande pubblico, serve una narrazione ai posteri ripulita di tutti i crimini commessi.

Solo così ci si può assicurare che questi shock possano essere riprodotti anche in futuro o, addirittura, incorporati nel sistema economico in tutte le sue fasi.


Ogni opera di privatizzazione viene chiamata "modernizzazione" dell’economia; si taglia il filo che collega le riforme economiche e la violenza politica necessaria per la loro implementazione; si parla di "miracolo economico" in modo totalmente fuori luogo; e infine si "condannano" i dittatori che hanno edificato sanguinosi regimi criminali, rafforzando l’idea che essi fossero scollegati dal progetto economico sottostante.


Klein ci ricorda che essi non solo non erano un progetto politico parallelo, ma anzi costituivano l’unica espressione politica in grado di mettere in campo la ristrutturazione economica neoliberista, criminale e reazionaria.



Il libro pone molto più l’accento sulla parte più consapevole di questo grande piano di ristrutturazione estrema dell’economia a difesa della classe al potere.

Milton Friedman e i Chicago Boys sapevano benissimo cosa stessero facendo.

È anche vero, però, che la lotta di classe non è stata vinta da loro individualmente.


Ci sono diversi esempi nel libro di attori politici e figure di spicco nel campo dell’economia che hanno contribuito alla nascita del neoliberismo inconsapevolmente – o parzialmente consapevoli.

Si parla di politici in affanno che si aggrappano a questo progetto per salvare la loro campagna elettorale, banchieri keynesiani che distruggono il contratto sociale messo in campo dalla loro stessa ideologia, governi più o meno popolari che accettano riforme di austerity sotto il ricatto delle Banche Centrali.


Insomma, questa ristrutturazione non è avvenuta grazie ad un grande piano malefico: essa emerge da una costellazione di strategie e tattiche che hanno costruito tassello per tassello il mostro del neoliberismo.

Queste strategie e tattiche si sono rinforzate l’un l’altra perché guidate da interessi comuni e perché la classe al potere possiede strumenti più oggettivi per determinare l’efficacia delle sue azioni.


Ogni azione che contribuiva a rimuovere gli ostacoli alla produzione, ad alzare il saggio di profitto e ad abbassare i costi per gli investimenti, veniva inseguita a qualsiasi prezzo.

Indipendentemente da chi si trovavano davanti, i burattini del neoliberismo avevano sempre questa bussola con loro, in grado di indirizzare le loro manovre politico-economiche.


È proprio questa la bussola che devono ritrovare i Movimenti.

Su cosa basiamo il giudizio delle nostre azioni? Quali sono i parametri che ci fanno valutare l’efficacia di un’azione politica?

"Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato presente delle cose." Karl Marx

In mancanza di questi strumenti i Movimenti oggi si ritrovano imbrigliati in azioni politiche che spesso sottolineano una postura etico-morale, piuttosto che una reale strategia per "abolire lo stato presente delle cose".


Ma, come insegna Machiavelli – che però ne parla dal punto di vista della classe al potere – la moralità politica non ha nulla a che vedere con quella individuale, perché ogni azione politica è mediata da un insieme di altre strutture sociali che interagiscono con essa, modificandone il risultato.

La capacità di bravi leader – nel nostro caso, di movimenti politici efficaci – sta nella conoscenza dei processi reali che scaturiscono da queste strutture e nella creatività che permette di manipolare le istituzioni negli interessi della propria classe sociale di riferimento.


La lezione più importante che ci portiamo a casa dal gigante lavoro di Klein è l’esposizione chiara e brillante delle strategie di contrattacco del capitalismo, raccontate dal punto di vista del 99%.

IV.

Le Due Facce dell’Accumulazione

Il libro di Naomi Klein è dunque un lungo percorso, una storia che nonostante le 600 e passa pagine, cattura chi legge. A guardarlo nella sua essenza Shock Economy sembra una storia raccontata anche troppe volte.

Movimenti politici dal basso manipolati e repressi, leader attaccati al potere, economisti dal sangue freddo, distruzione consapevole di vite umane al fine di spremere ogni goccia di profitto possibile in tutto il mondo….


Quello che rende particolare il lavoro di Klein è la sua capacità di risalire al cuore del problema, a come qualsiasi tipo di leader, economista o personalità sia riuscito ad essere complice di una fase di transizione sanguinosissima della storia recente. Le nostre condizioni economiche oggi dipendono in larga misura dai mostri descritti in questo libro, specie la Trinità di Privatizzazione, Tagli alla Spesa Sociale e Deregolamentazioni.


Questa Trinità, se indagata bene, ci porta a comprendere le dinamiche dell’accumulazione primitiva.

Per "accumulazione primitiva" si intende generalmente il lunghissimo periodo storico che va dalle prime spedizioni coloniali alla Rivoluzione Industriale.

Si tratta dell’insieme di processi, meccanismi e dinamiche che hanno creato le precondizioni necessarie alla Rivoluzione Industriale stessa – e quindi il dominio capitalistico che segue.


Per poter iniziare ad essere una forza autosufficiente, il capitale ha avuto bisogno di secoli per poter formare una ricchezza primitiva all’interno della nascente classe borghese – sufficientemente larga per poter innescare i processi di accumulazione "standard" che invece vediamo oggi.

Come abbiamo visto nella prima Sezione, il presupposto su cui si basa il modello marxista dell’accumulazione di capitale (D-M-D’) è "D", ovvero il capitale stesso del ciclo produttivo precedente! Ciò significa che esiste un "D" originario, che non è stato creato dalle dinamiche "standard" di accumulazione, ma, appunto da dinamiche di accumulazione primitiva – detta anche per l’appunto accumulazione originaria.

Nel lasso di tempo dalle prime spedizioni dei mercanti coloni nel XV secolo fino alla Rivoluzione Industriale, la classe borghese, cosciente o meno, ha creato questo "D originario".

In mancanza di capitale precedente su cui edificarsi, questo "D" originario deriva dal furto di risorse naturali ed economiche potenzialmente produttive nei confronti di altre classi sociali.


Il capitale prima di formarsi ha trovato davanti a sé una società pre-esistente, fatta di condizioni sociali e sistemi economici già formati, con delle loro logiche interne ben definite. Formarsi e diventare dominante in quell’ambiente non era sicuramente facile.

In realtà, se valutiamo il capitalismo facendo uno zoom-out storico tanto ampio, è stato più il tempo percorso a formare le precondizioni del capitale, piuttosto che quello caratterizzato dalle operazioni del capitale, dove agisce come forza totale completa.


È la voracità dei processi predatori del capitalismo ad avergli permesso di farsi spazio tra le smagliature e le contraddizioni dei sistemi precedenti, a dargli l’opportunità di costruire le sue precondizioni attraverso il furto sociale.


L’accumulazione primitiva è simultaneamente il risultato e la causa del processo di transizione economica che dal feudalesimo ha portato al capitalismo.

E come ogni transizione economica, è stata sanguinosa.


Genocidi, guerre, colonialismo, reintroduzione delle tratte di schiavi, imposizione forzata di norme di genere e sessuali, espropri violenti contro la classe lavoratrice rurale, cancellazione di intere culture e civiltà cresciute in parallelo rispetto a quella europea: di questo e altro si è nutrito il capitale per poter nascere e imporsi.


Per Marx, la sua "funzione storica", fu quella di sgomberare il grande ostacolo del capitale, "separando i produttori diretti dai mezzi di produzione". Questa separazione necessita ovviamente di violenza extra-economica per essere creata e mantenuta.

Solo attraverso essa possono nascere simultaneamente sia le condizioni di riproduzione del capitale che quelle della classe lavoratrice moderna.


L’accumulazione "standard" è ciò che emerge successivamente, dalla Rivoluzione Industriale in poi, e rappresenta il momento in cui le forze produttive del capitalismo sbaragliano la concorrenza degli altri sistemi economici.

Il capitale, da questo momento, ha una forza produttiva sufficiente a diventare causa di sé e l’accumulazione diventa auto-alimentata.



Eppure il furto di risorse naturali ed economiche nei confronti di altre classi e di modi di produzione paralleli – come quelli presenti nelle Nazioni iper-sfruttate dalla produzione globale capitalistica – sono il filo che percorre tutte le "avventure" del capitale descritte da Klein. Sembrerebbe che l’accumulazione primitiva, o quantomeno i suoi meccanismi, continui ad operare anche dopo la Rivoluzione Industriale.


Per maggiori informazioni, si veda "Marx and primitive accumulation: the continuous character of capital's enclosures", di Massimo De Angelis.

L’accumulazione "standard" è autoalimentata sì, ma non autosufficiente, cioè da sola non basta. Per poter rimanere sostenibile, c’è bisogno che il furto di risorse ai danni del 99% operi di sottofondo

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Che sia una spirale inflazionistica, la privatizzazione di risorse pubbliche o comuni, land-grabbing, valanghe di debiti contro gli Stati iper-sfruttati: tutte queste dinamiche politico-economiche sono furti della classe al potere contro il 99% e sono necessarie per stabilizzare i processi dell’accumulazione "standard".


Non c’è accumulazione senza furto di risorse e sfruttamento del lavoro.


Tutte le strutture che provano a stabilizzare il capitalismo, dall’apparato istituzionale all’accumulazione primitiva, hanno fondamentalmente la funzione di premere verso l’alto il saggio di profitto. L’obiettivo è creare delle controtendenze alla sua caduta inevitabile.


L’espansione dei mercati ad esempio, altro non è che il processo di estrazione di plusvalore in zone precedentemente intatte dal capitalismo, o solo parzialmente inserite nelle sue dinamiche. Si tratta fondamentalmente di un furto ai danni di persone di altre classi sociali o di sistemi di produzione paralleli, che permette al capitale di tirare sù il saggio di profitto.


Eppure questi nuovi territori, cose e aspetti della nostra vita mercificati ad hoc dal capitale, finiscono nel lungo periodo a essere contagiati dalle sue dinamiche, sviluppando quindi di nuovo la tendenza alla caduta del saggio di profitto che si voleva evitare.

Nonostante tutte le controtendenze, il capitalismo non è capace di autoriprodursi per sempre, almeno non in teoria.


Fu questa la grande intuizione di Rosa Luxemburg, che – paradossalmente – ci arrivò "per errore", basandosi su un’interpretazione degli schemi di riproduzione marxisti che si rivelerà parzialmente errata.

Ciononostante, notò e spiegò per prima il carattere "continuo" dei processi di accumulazione primitiva, che si riproducono anche dopo aver "terminato" la loro funzione storica, pena il crollo del sistema.


"Il capitalismo nasce e si sviluppa storicamente in un ambiente sociale non-capitalistico [...] [e] ha bisogno, per la sua esistenza e per il suo ulteriore sviluppo, di un ambiente costituito da forme di produzione non-capitalistiche. [...] Strati sociali non capitalistici gli occorrono come mercato di sbocco del plusvalore, come fonti di approvvigionamento dei mezzi di produzione e come riserve di forza-lavoro." Rosa Luxemburg, L’Accumulazione di Capitale

Luxemburg, trovandosi un capitalismo ancora situato in Europa, parlava delle forme di interazione economica tra il capitale europeo e le forme di produzione del resto del Mondo, non-capitalistiche e a malapena sotto la sua sfera di influenza. Vedeva "l’esterno" come fondamentale per permettere processi di accumulazione.


Oggi il capitalismo è globalmente egemone con poco di "esterno" a cui potersi appoggiare, ma ha tanta creatività nel mercificare sempre più aspetti della nostra vita, continuando dunque a sopravvivere, a stento, anche in un contesto di dominio totale.


Pur avendo meno spazio di manovra, l’accumulazione primitiva ha un peso specifico importante, specie in queste fasi di crisi del capitalismo.

Trattandosi di furto diretto di ricchezza, ed essendo ormai il capitalismo un sistema dominante a livello globale, essa opera semplicemente come canale di trasmissione della ricchezza dal 99% verso l’1%. Una sorta di tendenza all"esproprio al contrario" autogenerato e costante, di sottofondo.


Insomma, andrebbe cambiata la linea che divide queste due forme di accumulazione, dando quindi loro un nome diverso. Da una parte troviamo il processo di accumulazione "autoalimentata" dall’altra il processo di accumulazione "predatoria".

L’accumulazione "autoalimentata" genera ricchezza per la classe al potere attraverso l’autovalorizzazione degli investimenti e lo sfruttamento "standard" della classe operaia.

L’accumulazione "predatoria" ricorre alla violenza extra-economica e genera ricchezza per la classe al potere rubandola al 99%.

Nelle fasi di espansione è sempre stata la forma di accumulazione "autoalimentata" a dominare il campo, mentre nelle fasi di crisi emerge l’accumulazione "predatoria". Ma entrambe convivono in ambedue i periodi.



Questo framework unitario ci aiuta a completare un puzzle aperto all’interno del Movimento post-capitalista. Il capitalismo è razionale/progressista o no?


La Old Left, quella che ha dominato il contesto operaio fino agli anni ‘60, ha sempre visto il capitalismo, nonostante le sue contraddizioni, come una forza brutale ma progressista, in grado di sgomberare il campo delle illusioni e poter dar vita ad un progetto emancipativo socialista.

La "funzione storica" del capitalismo, ai loro occhi, è quella di portare l’umanità verso la miglior efficienza economica possibile, su cui poi poter edificare la programmazione economica e il comunismo.

Viene sottolineato dunque il carattere costruttivo, innovativo e dinamico dei processi di accumulazione.


La New Left, post-’68, vede spesso il capitalismo come una grossa macchina reazionaria, di controllo e violenza a difesa degli interessi della classe al potere.

Non c’è nessuna razionalità, né efficienza, al di fuori di quella che fa l’interesse dei padroni. Spesso infatti questa corrente flirta con l’idea di cercare delle forme sociali "pre-potere", anche a costo di disfarsi di parte della tecnologia.

Non c’è nessuna "funzione storica" del capitalismo ai loro occhi, se non quella di adattare l’apparato di potere che esisteva nel Medioevo per far fronte ai continui disordini e riot dei servi della gleba.

Viene sottolineato dunque il carattere distruttivo, coercitivo e predatorio dei processi di accumulazione.


La realtà è che la Old Left considerava l’accumulazione primitiva come un relitto del passato e non come parte costitutiva e continuamente presente nelle operazioni del capitale.

La New Left, invece, immersa in un contesto sociale di celebrazione del capitalismo, ha aumentato così tanto i suoi sforzi nel rendere noti gli aspetti predatori, violenti e irrazionali del sistema, che non è più in grado di comprendere realmente il processo di accumulazione autoalimentata.


L’aspetto innovativo e costruttivo del capitale non solo può convivere con quello distruttivo e irrazionale, ma deve farlo perché uno non può sopravvivere senza l’altro.


Arriviamo qui al Neoliberismo e all’"ascesa del capitalismo dei disastri".

Ciò di cui ha parlato Naomi Klein sono i mostri e strateghi economici e politici che – consapevoli o meno – hanno attuato e facilitato questi processi di accumulazione predatoria.


Privatizzare significa prendere un’Istituzione economica (un’impresa, una fabbrica, uffici ecc…) che lavora – almeno parzialmente – secondo logiche di redistribuzione e di beni comuni e sociali, e trasformarle in macchine spremi-profitti.

Svendere il welfare significa trasferire della ricchezza sociale, al servizio del 99% – seppur con troppi vincoli – e metterla direttamente nelle mani dell’1%.


E possiamo andare avanti all’infinito.

Spezzare le organizzazioni sindacali, i Movimenti di Liberazione Nazionale, infilarsi in crisi politiche e usare le Istituzioni di Credito Internazionali per minacciare interi popoli; sono tutte mosse che hanno l’obiettivo di spezzare l’insubordinazione delle classi oppresse, metterle al muro per poter riacquisire controllo su di loro attraverso violenza extra-economica e coercizione politica.


E di conseguenza trasferiscono ricchezza dal 99% all’1%, da playbook dell’accumulazione predatoria.


Shock Economy narra di un Grande Furto, un Grande Esproprio se volete.

Ma soprattutto, parla di come il neoliberismo abbia integrato le forme predatorie di accumulazione all’interno della sua flebile espansione.

Il Complesso Industriale del Capitalismo dei Disastri non è altro che il coping-mechanism di un sistema che non ha più slancio per l’accumulazione produttiva e deve rifugiarsi in meccanismi e processi sempre più predatori.

In mancanza di forza da parte dell’accumulazione autoalimentata, gli elementi più predatori del sistema hanno dovuto compensare, strutturando un intero complesso industriale e istituzionale dalla loro parte.


Il sistema è vecchio. In controllo sì, ma solo perché nessun Movimento è in grado di buttarlo giù ora come ora.

Sta per entrare in una nuova fase ancora più grigia, dopo la crisi del 2008 i salari hanno toccato così il fondo che ormai lo stanno raschiando: abbassarli ulteriormente non li salverà.

Di distruggere capitale non se ne parla dato lo strapotere politico della classe capitalista.


Siamo in un limbo, in un vuoto di potere che difficilmente verrà colmato in modo esaustivo da un’uscita interna dalla crisi.

Questo tipo di uscita dalla crisi è ciò che vediamo davanti ai nostri occhi, ovvero le élite liberali che, di nuovo, capitolano e cedono lo scettro alle forze neofasciste, le uniche in grado di controllare un momento di depressione generale delle forze del capitalismo.



Il libro di Naomi Klein ci aiuta dunque a ricordare cosa si sprigiona in questi contesti.

Tocca a noi far fruttare questi insegnamenti.


Conclusione


Il libro di Klein ha come principale obiettivo l’analisi e la denuncia dei piani internazionali delle Istituzioni Economiche Mondiali e del Grande Capitale, colpevoli di aver scaricato le conseguenze della crisi sulle spalle del 99%.

Gli esempi nel libro non finiscono più, sia in termini di costi umani che rispetto allo sgretolamento della ricchezza sociale e al peso politico delle classi popolari.


Insomma, Klein descrive lucidamente il colpo di coda attraverso cui il capitalismo in crisi è riuscito a riprendere ad accumulare, sulla base dei suoi stessi disastri.

"Quand’è che compriamo dai capitalisti la corda con cui li impiccheremo?"

È importante conoscere il modo in cui Capitale è uscito vincitore dalle sue stesse crisi, perché ci obbliga a considerare due punti importantissimi.

Da una parte, apprezziamo l’importanza di una strategia coordinata collettiva. Dall’altra, ci fa riconoscere il valore del buon tempismo, la differenza che fa inserirsi nel mucchio proprio nelle fasi di passaggio, ricavandone quanto più terreno politico possibile.


Il motivo per cui questo scontro è stato vinto dall’1% sta tutto nella loro perseveranza, nell’implacabile capacità di inseguire una strategia efficace, qualsiasi essa sia.


In termini teorici, Milton Friedman è stato capace di riconoscere le opportunità nelle crisi, indirizzando e controllando il cambio di paradigma politico-economico. In termini pratici, questo vuol dire che l’1% e le sue marionette si approcciano ai propri nemici (e/o potenziali alleati) con l’unico obiettivo di manipolarli e costringerli a seguire gli interessi del capitale.


Sono innumerevoli le situazioni in cui il Capitale ha accompagnato al potere politici e Movimenti di ogni genere per poi sbarazzarsene alla prima occasione, quando ormai non servivano più.

La classe al potere è capace di surfare nell’equilibrio precario che essa stessa crea, stravolge e alimenta ogni giorno.


Il tutto guidato solo da calcoli economici e intuizioni strategiche.


Il modus operandi del potere non dipende da desideri etico-morali, non si fa paranoie su possibili backfire rispetto ad una strategia politica o su l’idee del giusto o dello sbagliato. Il potere è mosso solo dalla necessità di rafforzarsi ed imporre i propri interessi specifici al resto della popolazione.


Al Capitale non interessa se una pratica è nata dalla sinistra radicale, o da nazisti in doppio petto: se la pratica in questione può essere manipolata per servire i suoi interessi, il potere si metterà al lavoro per farlo.

"Le idee non cambiano il Mondo"

Insomma, dopo aver letto questo libro a noi viene proprio da pensare: quand’è che iniziamo a restituire il favore?

Quand’è che anche il Movimento si muoverà seguendo la bussola di una strategia politica comune, guidata da impulsi nuovi, in grado di costringere anche le Istituzioni di potere a crollare sulle loro contraddizioni? Quand’è che smetteremo di giudicare le nostre azioni sulla base dei loro potenziali "danni collaterali" (esattamente come faceva la Cia quando si infiltra in mezzo a noi), invece di giudicarle in base al vantaggio politico che portano al 99%?


Quand’è che saremo in grado di manipolare pratiche politiche create dal nemico (come le pubblicità, la tecnologia bellica, la sorveglianza) contro di lui? O, per citare Lenin, quand’è che compreremo dai capitalisti la corda con cui li impiccheremo?

"La politica è un posto di merda"

Vogliamo dunque porre l’accento su una delle conclusioni più importanti di questo libro: le idee non cambiano il Mondo. Il Capitale ha usato qualunque situazione politica a suo vantaggio, dalle crisi autoindotte (come in Asia) alle avanguardie di stravolgimenti politici (l’African National Congress). Ciò che cambia il Mondo è il potere e questo si costruisce su un leverage, sulla coercizione che si è in grado di imporre alla classe nemica.


Il nostro compito è costruire una piattaforma politica di larga scala che ci consenta sia di accedere al potere istituzionale che già esiste, sia di costruirne uno nuovo, solido ed efficace. Solo così saremo in grado di dare vita ad un progetto politico di dimensioni considerevoli, in grado di sfidare il Capitale su scala globale – o addirittura planetaria.


Stiamo perdendo una legacy importante dei Movimenti del passato: la capacità di inserirci nelle contraddizioni sistemiche e costruire il massimo leverage possibile per cavare fuori il meglio per noi da ogni situazione politica.


Siccome la politica è un posto di merda, per cambiare il Mondo dobbiamo essere disposti a sporcarci le mani.

Questo non significa idealizzare la fatica e lo sforzo di fare Movimento, o essere contentə di dover passare due ore a pulire il cesso del centro sociale.


Al contrario, si tratta di riconoscere che ogni azione politica viene mediata da un sistema di merda e che dunque se vogliamo cambiarlo dobbiamo saperlo manipolare strategicamente.


Ogni idea, campagna o azione politica ha bisogno di una strategia di larga scala. Altrimenti, è destinata a crollare su sé stessa.


Il panorama politico contemporaneo, dopo decenni di stallo, si avvicina alla fine del capitolo. Stiamo vivendo in pieno la fase di transizione, ma ancora non sono chiare le sorti del nuovo equilibrio.


Oggi più che mai, è importante riconoscere che sono proprie le prime fasi di Shock delineare le caratteristiche dell’apparato istituzionale di domani.


Rimaner tagliati fuori dal panorama politico in tempi come questi ci condanna a decenni di totale irrilevanza. E questo — dopo mezzo secolo di sconfitte e un’Estinzione di Massa in corso — è un lusso che non possiamo permetterci.