29 Gennaio 2025
Pianificazione
Economica
Democratica
Un abbozzo di una possibile alternativa al capitalismo.
#economia
Anche quest’anno, l’ennesimo World Economic Forum è passato senza che cambiasse assolutamente nulla. Il WEF è fondamentalmente la riunione di tutte le persone che fanno parte dell'élite economico-finanziaria (e dei loro rappresentanti), un momento in cui i ricchi si riuniscono per pavoneggiarsi. Si tratta a tutti gli effetti di uno spettacolino messo in scena dalla classe al potere che si autorappresenta come un gruppo sociale "impegnato" a risolvere davvero i problemi economici collettivi.
Lo show inizia sempre con un report di Oxfam che parla di disuguaglianza economica da diversi punti di vista, quest’anno in particolare sulla questione coloniale e globale. Ogni anno il report è sempre peggio, ma sicuramente questo avviene nonostante gli sforzi dell'1%, che siamo sicurə si stanno impegnando tantissimo.
Sicuramente delle persone che in un’ora guadagnano più di quello che una persona guadagna in tutta la sua vita avranno a cuore il tema della lotta alla povertà e alla disuguaglianza....
È anche vero però che i report di Oxfam sono ben fatti e sono sicuramente capaci di far parlare bene i dati e di far emergere i conflitti di interesse tra ricchi e poveri, padroni e operai, privilegiati e discriminati. Leggerli farebbe molto bene alla coscienza di classe di tuttə.
Ma com'è possibile che i ricchi organizzano una discussione tra di loro con un report che ne critica il loro operato?
Sembrerebbe di trovarci davanti ad una classe al potere "benevola", così illuminata da lasciare spazio anche alle critiche dal "campo opposto".
Come al solito però, quando un gruppo di persone con molto potere si mostra "buono", "docile" e "tollerante" nei confronti dell'avversario, ci troviamo davanti ad una manipolazione della realtà. Nell'atto di scegliere il suo avversario e di come trattarlo, l'1% fissa il margine entro il quale si può criticare lo Status Quo.
Non è un caso infatti che, dopo aver elencato per filo e per segno le grandi manovre politiche della classe al potere, i suoi espropri diretti e indiretti nei confronti delle classi povere e le diramazioni più brutali del suo strapotere economico, il massimo che Oxfam propone come soluzione sono tasse più alte ai ricchi e qualche altra forma di redistribuzione. Ma nessuna persona ad Oxfam si azzarderebbe a proporre soluzioni che prendano di mira l'organizzazione profonda dell'apparato produttivo e dei suoi rapporti di proprietà. Nessun oxfamino si metterebbe a parlare della necessità di espropriare i ricchi, pianificare l’economia e riprogrammare le istituzioni economiche, altrimenti Davos la vedrà col binocolo.
Quando si parla di pianificazione economica ci troviamo davanti ad un vero e proprio tabù. Specie in accademia, alla sinistra viene lasciato spazio su tutto finchè si tratta di oggetti di studio culturali, antropologici o sociologici.
Ma appena si parla di economia il campo delle opinioni accettabili si assottiglia inesorabilmente, ignorando ogni possibile critica e soluzione alternativa al sacro Dio del profitto e del mercato.
Anche i "peggiori critici" del capitalismo si limitano a parlare della più grande utopia irrealizzabile della Storia: "l'economia mista". Ma non si parla mai di un'economia pianificata che superi in toto il mercato e la proprietà privata – liberandosi dei loro quotidiani fallimenti.

Questo è un sintomo evidente dell’eredità ideologica che ci ha lasciato il neoliberismo, che più che presentarsi come miglior sistema di sempre ci ha convintə che nessuna alternativa è possibile o realistica¹ “Il neoliberismo potrebbe anche non essere riuscito a rendersi più attraente di altri sistemi, ma si è venduto come l'unica modalità di governance “realistica” Mark Fisher, Strategizing the End of Neoliberalism, K-Punk .
Persino nei Movimenti si fa fatica anche solo ad esprimere una posizione che parli di un futuro concreto postcapitalista. In questo momento l’area anticapitalista è intrappolata in una spirale di illusioni, in cui si pensa alla Rivoluzione come ad un Grande Evento che risolve tutto in una notte, e non come un lungo processo contraddittorio e di lungo periodo.
Ci si dimentica infatti che una volta finita la grande festa in cui i ricchi sono stati espropriati la partita è appena cominciata: bisognerà comunque continuare a produrre mezzi di produzione, mezzi di sussistenza, servizi e beni di ogni tipo. Ed è fondamentale che l’alternativa che mettiamo in campo sia innanzitutto più efficiente e desiderabile del capitalismo. Altrimenti potremmo avere anche le idee migliori della Storia, ma il nostro progetto sarà destinato a fallire.
Figuriamoci dunque se in questa fatica si parla di economia pianificata nei Movimenti. In questo il fantasma dell'Unione Sovietica aleggia pesantemente: il fallimento dell'economia sovietica pesa sicuramente sul giudizio collettivo sulla pianificazione economica.
Eppure questo è l'ennesimo errore della sinistra radicale che, volendo superare le problematiche storiche reali lasciate in eredità dall'Unione Sovietica, ha finito per buttare il bambino con l'acqua sporca.
Non solo la pianificazione dell'economia ha poco a che fare con i veri motivi del crollo dell'Urss: ma anzi, questo esperimento socialista a metà è durato così tanto principalmente grazie alla pianificazione economica.

Solo un impianto pianificato di gestione economica ha permesso all'Urss di resistere ai soldati europei mandati a "strozzare la Rivoluzione nella culla"² Diretta citazione di Churchill all’indomani della Rivoluzione Bolscevica. , di coordinare l'opera di industrializzazione più rapida ed estesa della Storia e di poter passare nel giro di due tre decenni da essere un paese feudale ad una Superpotenza moderna.
La sfida all'industrializzazione, infatti, è stata ampiamente vinta dall'Unione Sovietica e su questo non si sfugge: diversi studi economici seri lo dimostrano³ Why Did Transition Happen? pag. 1, David Kotz . Ma lo dimostra anche la Storia: l'intero Compromesso Socialdemocratico⁴ Capital-Labor Relations, Sez II, David Kotz, del Secondo Dopoguerra nacque proprio da un'impossibilità di negare il fatto che il socialismo a metà sovietico era il modello di industrializzazione migliore mai partorito dall'umanità. Ricordiamo infatti che la crisi del '29 – la peggiore di sempre – in Urss fondamentalmente non è esistita; ma soprattutto ricordiamo che mentre nel Blocco Orientale si mandavano le persone nello Spazio, negli Usa ancora ci si domandava se le persone nere potessero usare gli stessi spazi dei bianchi.
Per farla breve, senza un impianto produttivo pianificato e di larga scala l'Unione Sovietica sarebbe durata meno della Comune di Parigi.
Insomma, più che di fallimento della pianificazione, dovremmo parlare di fallimento del mercato. Il Compromesso Socialdemocratico di cui parlavamo prima, si reggeva su una classe al potere impaurita dall'Unione Sovietica e che quindi era disposta a fare compromessi con le sezioni più moderate della classe operaia. Era dunque un'economia sempre a trazione capitalistica, ma con pesanti limitazioni sul mercato e forti elementi di pianificazione.
Ebbene questo assetto, sotto la spinta delle lotte operaie che costringevano il sistema a dare il meglio di sé, ha dato vita alle migliori performance economiche mai tirate fuori dal capitalismo. Ancora oggi quel periodo prende il nome di Golden Age del capitalismo.
Come sempre il comunismo ha permesso al capitalismo di dare il meglio di sé.
Oggi invece, con una nuova espansione dei mercati, di deregolamentazione finanziaria e privatizzazioni a manetta, assistiamo ad una situazione in cui i tassi di crescita medi del neoliberismo in fase di espansione, coincidono coi tassi di crescita del Compromesso Socialdemocratico in crisi⁵ “The growth rate of gross domestic product (GDP) in the U.S. during the period from 1948 through 1973, was 3.96% per year, whereas growth during the crisis years of 1973-79 averaged 2.96% per year. However, growth during the neoliberal period, which we date from 1979 to 2007, averaged only 2.90% per year, which is no faster than during the crisis period” David Kotz, a Reconceptualization of SSA Theory Pag. 2 . Un vero e proprio fallimento: quasi si potrebbe dire che il neoliberismo è stato perennemente in crisi.
Con questa "Teoria per il 99%" vogliamo riappropriarci di Davos e immaginarci come potrebbe funzionare un'economia pianificata negli interessi di tuttə e non di una ristretta èlite. Oggi le sfide sono cambiate, specie in Occidente: non si parla più di industrializzazione rapida, umana ed efficiente, ma di sostenibilità ecologica e qualità della vita al di là del Pil.
Ma così come l'economia pianificata ha fatto il culo a quella di mercato sul tema dell'industrializzazione, lo stesso vale per le sfide odierne: la pianificazione economica è semplicemente un metodo di organizzazione dei processi economici migliore del “libero” mercato.
Insomma in questo articolo affronteremo il tema della Pianificazione Democratica dell'economia: quali sono le sue possibilità, le sfide che deve affrontare, le soluzioni che può offrire e le domande che attanaglieranno la nostra economia postcapitalista.
È importante ricordare che un'economia pianificata democraticamente non è il fine del comunismo, ma il mezzo: ciò che ci muove è la necessità di abolire ogni fonte di divisione sociale classista e oppressiva.
La pianificazione dell'economia è uno degli strumenti necessari per navigare le infami acque della "transizione economica", la parte più importante di ogni progetto politico anticapitalista serio.
Studiare delle possibili forme di pianificazione economica è fondamentale per poter far maturare una coscienza e un immaginario collettivo in grado di concettualizzare un’alternativa realistica al sistema odierno. Come afferma Marx nella Prefazione al Primo Volume del Capitale,
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Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.
Siccome non c’è nessun motivo di credere che la situazione descritta da Marx svanirà magicamente dopo la Rivoluzione, è fondamentale avere già prima un’idea quantomeno abbozzata dei rapporti sociali e delle forze produttive che determineranno la coscienza sociale di una società postcapitalista.
Come già spiegato in modo sublime da Srnicek e Williams nel "Accelerate Manifesto"
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“Dobbiamo evitare di diventare gli schiavi sia di uno Stato tirannico centralizzato, sia dei capricci di un sistema economico che emerge alle nostre spalle.”
Ed è proprio in questo solco che si inserisce la pianificazione democratica: un sistema di controllo dell’economia che eviti sia l’eccessivo verticismo burocratico sovietico, sia il riemergere di forme di produzione capitalistiche fuori dal controllo della collettività (come la piccola produzione, tanto idealizzata dai Movimenti ma ugualmente capitalistica).
Insomma, la sfida è questa: abbozzare i tratti fondamentali di un sistema economico alternativo al capitalismo imparando anche dalle tragedie del passato.
I.
Alcune Definizioni Preliminari & References
Prima di poter procedere introduciamo delle definizioni di alcuni termini che useremo durante l'articolo. Visto che stiamo descrivendo gli schizzi generali di un'alternativa al capitalismo è normale che dovremmo inventarci o prendere a prestito termini parzialmente sconosciuti. Preferiamo quindi toglierci subito l'inconveniente ed elencarli in questo capitolo.
COOPERATIVE SOCIALI
Sono le Unità Produttive del Sistema, l'equivalente delle Imprese odierne. “Cooperative” perché sono sotto il controllo operaio, “Sociali” perché invece di essere imprese impegnate a massimizzare i propri profitti privati, sono unità produttive integrate socialmente.
Ogni incentivo di produzione è basato sul principio della minimizzazione del lavoro umano speso, sulla massimizzazione degli obiettivi economici e sui continui aggiustamenti operati dalle interazioni quotidiane dellə lavoratorə sul campo
REDDITI COLLETTIVI
Le Unità del Sistema di Pagamenti. Oggi il reddito che una persona riceve è sotto forma monetaria. Ma un sistema di pagamento in generale ha l'obiettivo di fornire un corrispettivo dell'energia e del tempo speso da ogni persona nella produzione economica (indipendentemente se corrisponde al valore effettivo del lavoro fornito o meno).
In un sistema con un'alta divisione tecnica del lavoro che non ha ancora superato totalmente la barriera della scarsità è necessaria un'unità universale che esprima il valore dei beni prodotti. Sarebbe un equivalente del denaro.
Il denaro, però, è solo l'espressione capitalistica del sistema di pagamento, in cui una somma di banconote equivale ad una certa quantità di ore di lavoro. Quello che ci interessa davvero sono le ore di lavoro spese nella produzione che, in un'economia fortemente interconnessa e specializzata, sono l'unità di misura più oggettiva nel valutare l'effettivo contributo di ogni individuo alla produzione. I Redditi Collettivi infatti rappresentano le ore di lavoro spese da ogni singola persona, con eventuali aggiustamenti sul grado di specializzazione, pesantezza del lavoro stesso e tempo necessario ad apprendere le competenze lavorative.
FEEDBACK
Processo per cui un effetto del sistema agisce nuovamente sul sistema stesso, ricorreggendone il comportamento, aggiungendo informazioni, o stabilizzandone alcune componenti. È il processo fondamentale di ogni sistema dinamico/cibernetico.
BENI
Le Singole Unità che formano l'output finale della produzione. Sono l'equivalente delle merci, ma con un'unica differenza: se queste ultime sono prodotte solo sulla base di una previsione di ritorno economico, sottoforma di profitto, con "beni" intendiamo ciò che viene prodotto sulla base di quanto stabilito dalla società stessa.
CONSIGLI OPERAI/DI PRODUZIONE/DI DISTRIBUZIONE
Le Cooperative Sociali, i processi di produzione, e le catene logistiche di distribuzione vanno gestite quotidianamente. Insieme alla visione di lungo periodo dei Piani Economici, è necessario un costante management operaio in grado di aggiornare di settimana in settimana la concretezza dei Piani.
I consigli sono dunque delle Istituzioni in cui operai e tecnici – e delegati estratti a sorte o eletti dalla base – discutono sul da farsi, supportati da analisi oggettive di esperti.
Al tempo stesso, consigliamo la lettura di alcuni libri, articoli, capitoli o sezioni da cui abbiamo tratto ispirazione e che possono aiutare chiunque voglia approfondire il tema della pianificazione democratica e in generale del funzionamento di un’economia postcapitalista.
Socialismo per il 21esimo Secolo di Paul Cockshott. Probabilmente il libro che va più in profondità nello studio di un modello di pianificazione realistico, ecologista e socialista.
Manifesto Accelerazionista di Nick Srnicek e Alex Williams dalla Sezione intitolata “Sul Futuro” Un’ottima introduzione per comprendere le sfide della sinistra anticapitalista e sulla necessità di un’economia pianificata, democratica e proiettata al futuro.
Socialism and Innovation di David Kotz. Un articolo di una trentina di pagine molto interessante su quali principi seguire per poter creare un’economia pianificata che faciliti i processi di innovazione tecnologica.
Postcapitalismo di Paul Mason, il Capitolo in cui parla dell’abbondanza economica sprigionata dalle nuove tecnologie digitali e al tempo stesso repressa dai rapporti di produzione tipici del capitalismo.
Il Capitolo sulla Comune di Parigi de La Guerra Civile in Francia di Karl Marx, che delinea molto bene i principi generali delle forme di potere operaio democratico.
II.
Piani Economici, Democrazia Liquida e Network Comune
- “Crediamo che qualsiasi forma abbia il postcapitalismo richiederà una pianificazione postcapitalista. L'idea che, dopo una rivoluzione, il popolo costituirà spontaneamente un nuovo sistema socioeconomico che non sia semplicemente un ritorno al capitalismo è ingenuo nella migliore delle ipotesi e ignorante nella peggiore.”
- Alex Williams e Nick Srnicek, Manifesto Accelerazionista
Una domanda sorge spontanea: cosa intendiamo per pianificazione economica? Innanzitutto esplicitiamo cosa NON è la pianificazione economica.
La pianificazione non è quando lo Stato fa le cose. Non è un sistema in cui tutto ciò che hai ti viene assegnato dal Comitato Centrale, o in cui un manipolo di tiranni decide cosa, come, quanto produrre e come distribuire tutto ciò.
Anzi, questo è proprio quello che accade ora sotto il capitalismo, in cui l’allocazione di risorse umane e naturali – gli investimenti globali – è determinata principalmente dalle scelte dei consigli di amministrazione di una manciata di Mega-Multinazionali occidentali e/o cinesi.
La pianificazione economica non è neanche un sistema in cui tutto è gratuito, razionato e distribuito in base alla stretta necessità materiale/biologica. Il comunismo è prima di tutto abbondanza, nonché una società che asseconda sia le necessità che i desideri delle persone.
Non si tratta di un’austerità morale, o di qualche altra stronzata simil-cattolica. Nè di un’economia che ritorna “alla semplicità” e al “locale” come feticizzato dai Movimenti contemporanei.
Un’economia pianificata è il mezzo che permette alla società nel complesso di autogestire la produzione in modo efficiente e sulla base di logiche diverse da quelle di mercato e di profitto.
Invece di singoli capitali che reagiscono alle oscillazioni di prezzi, con investimenti che inseguono ciecamente il profitto individuale, la pianificazione economica dà gli strumenti alla società per controllare in modo conscio e proattivo i suoi stessi processi produttivi.
Gli investimenti e l'utilizzo delle risorse naturali (materie prime) e umane (forza-lavoro) seguirebbero la volontà collettiva che viene codificata all'interno di diversi Piani Economici.
Ovviamente per poter compiere materialmente questo progetto, la collettività deve impossessarsi dell'apparato produttivo, così da ottenere il potere effettivo di plasmare la produzione in base alla miriade di esigenze e desideri individuali e sociali.
Ma nella sua essenza un’economia pianificata è il risultato concreto di logiche di produzione diverse da quelle del capitalismo. Possiamo già accennare alcune di queste logiche, in primis la proprietà collettiva, la proliferazione dell'abbondanza, la sostenibilità ecologica, l'integrazione sociale della produzione, la minimizzazione del consumo di risorse umane e naturali, produzione per uso e non per valore di scambio, nonché l'efficienza economica.
Il tutto sulla base di un principio molto semplice: la condivisione collettiva della ricchezza sociale, o per dirla con Marx "da ognuno secondo le sue possibilità, ad ognuno secondo i suoi bisogni [e desideri]".
Al tempo stesso, la pianificazione è un mezzo per arrivare ad un reale controllo operaio e democratico dell'economia e per gestire la transizione economica tra capitalismo e comunismo - una società senza distinzioni di classi sociali di nessun tipo.
In un colpo solo essa costruisce le basi della società futura mentre distrugge le relazioni oppressive e di sfruttamento di quella odierna.
Possedere l'apparato produttivo, però, significa edificare una complessa struttura democratica che garantisca davvero un esercizio collettivo del potere economico-politico.
La democrazia liquida è il contrappeso che evita lo sbilanciamento di potere nelle mani dei tecnici che pianificheranno nel concreto l'economia.
Coadiuvata da una libera informazione, da studi tecnici e da istituzioni in grado di sintetizzare le diverse democrazie locali su scala globale, la democrazia liquida può evitare di ripetere gli errori che hanno portato al fallimento dell'esperimento sovietico.
Ci piace il concetto di “liquidità” perché dà proprio l'idea di un processo decisionale fluido, efficiente, articolato e in grado di supportare, accompagnare e direzionare i Piani Economici verso i desideri effettivi della popolazione.
I Consigli Operai e di Produzione sono dunque la spina dorsale dell'economia postcapitalista. La storia di queste istituzioni radicali traccia le sue origini nelle primissime Società Operaie di Mutuo Soccorso e sono state la fonte storicamente più importante di contropotere operaio.
I Soviet furono l'avanguardia storica di queste istituzioni, ma i Consigli Operai li abbiamo visti ovunque, dal Biennio Rosso del 1920-21 alle rivolte del '68 e degli anni ‘70. La loro funzione era anch’essa duplice: contestare e disfare il capitalismo mentre si costruiscono le basi per la sua alternativa.
Infatti, da una parte i Consigli Operai attaccano il monopolio sul controllo della produzione da parte dei proprietari e dall’altra diventano dei laboratori in cui la classe operaia può imparare nel pratico ad autogestire la produzione.
In un'economia postcapitalista il contropotere operaio diventa il nuovo potere dominante, dunque i Consigli Operai e di Produzione devono emergere come le istituzioni più importanti, sacre e inviolabili di questa fase storica. Altrimenti tutto il castello crolla.
È anche vero però che, indipendentemente dalla qualità e fluidità dei processi democratici, non si possono prendere decisioni collettive per qualsiasi cosa. Non è che la società si può fermare a votare per ogni bullone che viene cambiato in ogni Cooperativa Sociale.
Inoltre, spesso i desideri delle persone sono subconsci, difficili da elaborare in assemblee con anche solo più di 20 persone. C'è bisogno di captare anche le informazioni inconsce che le persone forniscono sui loro desideri e sulle loro necessità.
In questo dovremmo seriamente imparare dalle nuove tecnologie d'informazione emerse nell'ultima grande ondata di innovazione tecnologica.
Bisogna essere in grado dunque di riprogrammare le piattaforme digitali, di intercettare i flussi di informazione e di ristrutturare le interazioni virtuali e non, per poter creare un Network Comune che faccia da feedback costante al Piano Economico.
- “Il Comando del Piano dev’essere integrato con l’Improvvisazione del Network.” (Nick Srnicek e Alex Williams, Manifesto Accelerazionista)
Questo "Network Comune" ha il compito di rifornire al sistema le informazioni necessarie per rimodulare, aggiornare e ritoccare i vari Piani Economici, integrandoli sempre meglio alla realtà concreta delle persone.
In più, libera la società dal rischio di incastrarsi nella sua intricata rete di democrazie diffuse, che potrebbero paralizzare l'economia in una spirale di processi decisionali infiniti.
In breve, i Piani Economici non possono essere sconnessi dalla realtà. Molte decisioni economiche hanno ricadute politiche e sociali sulle persone, molti effetti positivi di una policy non sono catturabili da fredde equazioni matematiche e ci sono tante questioni aperte su come costruire una società a misura di persone e di ambiente naturale.
I Piani Economici vanno dunque integrati a processi decisionali democratici, consensuali e diffusi e alla capacità di sviluppare dei network che fanno fluire le informazioni dal basso verso l'alto, così da arricchire la complessità con cui pianifichiamo l'allocazione delle risorse e del lavoro collettivo.
Abbiamo parlato dunque di 3 principali componenti: Piani Economici, Democrazia Liquida e Network Comune. Vediamoli meglio nel dettaglio.
Piani Economici
- (Potete approfondire questa sezione con il libro “Socialism for the XXIst Century” di Paul Cockshott, che parla nel dettaglio dei concetti che introdurremo qui)
La pianificazione economica è un tipo di gestione dell’economia che è stata gettata nella Damnatio Memoriae. La critica più (ab)usata nei suoi confronti afferma in soldoni che, data l'incredibile interdipendenza dei settori economici e l'elevato livello di divisione tecnica del lavoro, è impossibile ricavare le informazioni necessarie per poter pianificare l'economia globale.
In termini più teorici, la diatriba emerge nei primi decenni del Novecento. Economisti liberali e socialisti trovavano nella contrapposizione tra mercato e pianificazione uno dei principali punti di scontro ideologico, politico e teorico.
Furono economisti come Hayek e Von Mises (liberali), ad affermare l'impossibilità del calcolo economico razionale all'interno di un sistema pianificato. Le informazioni che circolano in un'economia sono semplicemente troppe e possono essere captate solo da un sistema di distribuzione flessibile, dinamico e decentralizzato come il mercato. Un'economia pianificata avrebbe portato, secondo loro, ad un'inevitabile instabilità economica, disproporzione tra i settori industriali e inefficienze ai vari livelli.
Si tratta dunque di una critica prettamente tecnica più che politica.
Critiche del genere hanno 3 problemi:
1) La Pianificazione è un fenomeno onnipresente anche nell'economia capitalista. In “The People’s Republic of Walmart”, si approfondisce proprio il tema della pianificazione economica interna alle Grandi Multinazionali che, per questioni di efficienza, hanno dipartimenti interni che ricalcano per filo e per segno quelli del Politburo.
Se la pianificazione economica fosse incapace di portare avanti una forma efficiente e razionale di gestione delle risorse economiche non sarebbe utilizzata da Multinazionali con un fatturato superiore al Pil di interi Stati.

2) Irrazionalità di ogni tipo avvengono anche e soprattutto in regime di mercato e profitti. Ogni 4-7 anni si verificano crisi da business cycle, ogni 10-15 anni crisi di debito (o di carenza di domanda effettiva), mentre ogni 40-45 anni assistiamo a crisi strutturali che dissanguano la società di forza-lavoro e produzione aggregata⁶ Anwar Shaikh, Profitability, Long Waves and the Recurrence of General Crises .
Se è vero che il capitalismo, un sistema di mercato e profitti, è stato il più grande catalizzatore della potenza produttiva sociale, è anche vero che nessun sistema precedente ha mai pareggiato la sua instabilità.
Diffidate sempre da chi racconta solo una parte della storia: le condizioni economiche che hanno dato vita alla Rivoluzione Industriale sono le stesse che hanno generato le Grandi Crisi della fine dell’Ottocento, del ‘29, del ‘73 e del 2008.
3) La quantità di informazioni, dati ed equazioni necessarie a risolvere le questioni tecniche della produzione pianificata non sono infinite. Quindi sono teoricamente possibili da eseguire e sono di un ordine di grandezza tale che dei supercomputer odierni potrebbero riuscire a risolverle in pochi minuti.
È Paul Cockshott in "Socialism for the XXI Century" che ribalta la critica degli economisti liberali alla pianificazione economica, affermando che se c’è un sistema di gestione economica soggetto a problemi tecnici e di efficienza quotidiani questo è proprio il mercato.
Nel sottolineare questo aspetto, paragona la differenza tra pianificazione economica e mercato a due tipi diversi di sistemi di controllo, uno stupido e grezzo, l’altro lungimirante e pianificato.
Supponiamo ad esempio di avere un impianto industriale che ha l’obiettivo di mantenere caldo il luogo di lavoro all’interno dell’orario lavorativo, dalle 9 alle 17. Questo è per l’appunto un problema risolvibile attraverso un sistema di controllo.
Cockshott ci dice:
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“Un controllore grezzo per il riscaldamento centralizzato accenderebbe o spegnerebbe il carburante a seconda che la temperatura sia inferiore o superiore all’obiettivo. Questo risulterebbe in un movimento irregolare della temperatura [...]
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In questo esempio il riscaldamento viene acceso alle 9 ma il posto non si scalda veramente fino alle 10. Poi si surriscalda per un po’ finché il riscaldamento si spegne. L’edificio poi si raffredda finché alle 11.30 il riscaldamento si reinserisce, portando ad un surriscaldamento verso le 12.30. Va avanti a fluttuare per il resto della giornata. Siamo tutti familiari con sistemi di riscaldamento al lavoro così!”
E paragona questo sistema di controllo stupido e grezzo al sistema di mercato:
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“Le ditte capitaliste rispondono a segnali di mercato, come la relazione tra prezzi e costi di produzione. Alterano la loro produzione in risposta a tali segnali, con lo scopo generale di massimizzare i profitti. Il modello di controllo qui è lo stesso del controllore stupido del riscaldamento centralizzato: è reattivo e non possiede lungimiranza. Quindi ci saranno sicuramente fluttuazioni economiche e instabilità.
In verità, la situazione è peggiore perché non c’è ragione per presumere che un grande numero di ditte, tutte rispondendo a diversi segnali di feedback, mostreranno alcun tipo di comportamento coerente verso un fine.
Almeno nel sistema stupido del riscaldamento centralizzato c’era qualche chiaro fine ultimo”
Al contrario un sistema di controllo efficiente, lungimirante e pianificato è in grado di prendere in conto come agirà l’impianto stesso e adatta il suo flusso di calore in base alle circostanze.
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“Un sistema di controllo più intelligente conoscerebbe i parametri dell’impianto. Conoscerebbe l’output di calore della caldaia, conoscerebbe quanto rapidamente il calore viene perso attraverso le pareti e le finestre come funzione della temperatura, e conoscerebbe il calore specifico dell’edificio. Dato un programma di riscaldamento, potrebbe prevedere quando dovrebbe accendere il riscaldamento per assicurare che il posto sia abbastanza caldo per le 9.
Diminuirebbe il calore dalla caldaia mentre la temperatura della stanza si avvicina all’obiettivo evitando che il posto diventi troppo caldo”
“In questo caso il controllore dovrebbe essere un dispositivo più complesso delle semplici combinazioni di orologi e termostati nella maggior parte dei sistemi di riscaldamento centralizzato. Richiederebbe un modello interno del sistema da controllare e un programma di obiettivi da raggiungere.
Il controllore redige un piano per raggiungere il programma soggetto a quello che sa del sistema che sta controllando. Accende il riscaldamento un paio di ore in anticipo per assicurare che la stanza sia abbastanza calda, e lo diminuisce in tempo per prevenire il surriscaldamento.”
E questo sarebbe appunto un sistema di controllo pianificato.
Uno sguardo più oggettivo ci aiuta a comprendere dunque che non solo le critiche degli economisti liberali non reggono: ma che addirittura un'economia pianificata è molto più efficiente del mercato proprio negli aspetti sottolineati dagli economisti liberali stessi, ovvero sull'efficienza tecnica della produzione.
Infatti non solo disponiamo dei mezzi per poter risolvere i problemi del calcolo economico, non solo la pianificazione di stampo sovietico ha dimostrato delle performance migliori del mercato, ma non è neanche necessario avere un unico Piano centralizzato, come si immagina qualsiasi critico dell’economia pianificata.
Anzi, è importante che la pianificazione sappia rendersi piccola, al dettaglio, decentrata e al tempo stesso grande, di larga scala e centralizzata a seconda delle necessità.
I Piani Economici si devono adattare alla loro popolazione di riferimento, alle condizioni socioeconomiche pre-esistenti e devono penetrare ogni livello della realtà. Così come è inutile avere un'unica istituzione centralizzata che produce le scarpe, è uno spreco di risorse dare vita a sistemi di mobilità decentralizzati e "spontanei", visto che il trasporto pubblico centralizzato è il sistema di gran lunga più efficiente in termini di costi ed emissioni.
A nostro parere infatti la diatriba interna alla sinistra radicale tra centralizzazione e decentralizzazione è stata una vera e propria cortina di fumo. La produzione economica pianificata dovrà essere in grado di prendere i vantaggi sia di una che dell’altra.
La centralizzazione infatti permette di sfruttare le economie di scala: produrre 100 beni o servizi in un luogo solo è spesso più efficiente che farlo in 100 luoghi e forme diverse. La decentralizzazione invece permette di flessibilizzare e variegare i beni e i servizi sulla base dei desideri delle persone. È vero che si consuma meno lavoro e risorse cucinando 100 pietanze in un paio di grandi cucine, ma sicuramente si fa più fatica a fare dei piatti che si adeguino alle sottili differenze di gusto delle 100 persone che mangiano.
Insomma, c'è bisogno di un sistema pianificato in grado di raggiungere un equilibrio nel trade-off che si verifica tra centralizzazione e decentralizzazione.
Questo equilibrio si manifesta nella necessità di stratificare i Piani Economici. Seguendo sempre le orme di Socialism for the XXI Century, abbozziamo 3 livelli diversi di pianificazione, in grado di adattarsi alle varie sfide che un'economia globale deve affrontare, come l'allocazione delle risorse economiche, obiettivi politici e democratici, esigenze di efficienza produttiva e il rispetto dei tempi di rigenerazione della Natura.
I 3 livelli sono:
- > Pianificazione Comune/Macroeconomica
- > Pianificazione Strategica
- > Pianificazione Locale/Dettagliata
La Pianificazione Comune o Macroeconomica, è l'insieme dei Piani Economici che si occupano degli obiettivi generali e di lungo periodo dell'economia. Quanto è il tetto massimo delle ore di lavoro, quanta percentuale della produzione viene dedicata ai servizi essenziali, ai beni comuni, a quelli di consumo e agli investimenti... questi i temi principali di cui si occuperebbe.
Ma non solo: nei Piani Comuni vengono fissati gli obiettivi per 5/10 anni di crescita (o decrescita) economica, di ricostituzione ecologica, di ricerca scientifica, dei livelli di welfare e dei tassi di interesse.
Ovviamente tutto ciò sarebbe sottoposto al vaglio della democrazia diretta: le persone voterebbero per le varie possibili combinazioni tra le scelte elencate sopra e degli algoritmi – o comunque delle istituzioni specializzate – si occuperebbero di sintetizzare queste decisioni in degli obiettivi chiari, espliciti e comuni. Invece di votare ogni 5 anni per una classe di aristocratici, ogni anno la collettività decide le sue stesse condizioni materiali di esistenza e gli obiettivi economici che vuole raggiungere. Questa è in fin dei conti la definizione di una democrazia sostanziale.
La novità più interessante sarebbe sicuramente la scelta esplicita tra tempo di lavoro e tempo libero.
I Piani Comuni dunque formano la base della stratificazione della pianificazione: impostano il lavoro di lungo periodo e di larga scala e settano l'orizzonte entro il quale si muove l'intera produzione economica.
La Pianificazione Strategica è la strategia industriale che permette di allocare le risorse umane (forza-lavoro) e naturali (materie prime) nel modo più efficiente per raggiungere gli obiettivi dei Piani Comuni.
Quante risorse vengono investite in un settore piuttosto che in un altro, come combinare al meglio gli input di produzione di un settore sulla base dell'output degli altri settori, si occupa del calcolo complessivo della produzione, ma soprattutto come poter rispettare gli obiettivi del Piano restando all'interno dei limiti di rigenerazione della Natura.
Questo livello della pianificazione è, a nostro parere, il più delicato, poichè si occupa di dare le direttive economico-industriali concrete per poter attuare gli obiettivi astratti della Pianificazione Comune.
Ad esempio, un obiettivo del Piano Comune potrebbe essere quello di aumentare le spese dell'istruzione di una certa percentuale.
Ma dove investirli? Da quale industrie prendere le risorse necessarie a questi investimenti? Quali sono gli input meno costosi a parità di rendimento? Che strategie usare per consumare meno risorse naturali possibili? Aumentiamo il numero di banchi, di insegnanti o l’intensità tecnologica all’interno di ogni aula? Queste domande trovano la loro risposta in questo livello di pianificazione, coadiuvata ovviamente dai Consigli di Produzione dislocati nei vari territori. È fondamentale nell'attuazione della strategia pianificatrice di trovare delle formule che siano in grado di separare il più possibile le questioni tecniche da quelle politiche (anche se sappiamo che non potranno mai essere del tutto sconnesse).
Inoltre, la vera novità attuata dalla Pianificazione Strategica è l'aggiunta dei costi ecologici nella computazione dei costi totali di produzione. Vedremo nel capitolo successivo, dove parleremo proprio di costi, sistemi di pagamento e circuito economico, come solo la pianificazione economica può mettere in moto un'economia ecologicamente integrata, in grado di produrre ciò che vuole rimanendo all'interno dei limiti di consumo della Natura.
Infatti, una pianificazione economica senza transizione ecologica – e viceversa – non può letteralmente esistere. Non puoi pianificare l'economia se il pianeta brucia e non puoi riconvertire la produzione senza andare oltre i limiti e i vincoli del mercato e delle logiche di profitto.
Infine, la Pianificazione Locale o Dettagliata riguarda le quantità e i rapporti tecnici degli input di produzione all'interno delle singole Cooperative Sociali. Ogni Cooperativa Sociale infatti si occupa di un minuscolo tassello all'interno del complessivo puzzle della produzione pianificata.
Ma ogni tassello deve esistere materialmente ed essere interconnesso col resto, sennò tutto crolla. I Piani Economici locali si occupano dunque degli input materiali o immateriali che ogni Cooperativa Sociale deve ordinare per poter produrre e portare a termine i suoi obiettivi specifici, si occupano della coordinazione territoriale della produzione e soprattutto di fare da costante feedback per riaggiornare i Piani Strategici.
Evitare che ci siano scorte troppo in eccesso o scarsità di alcuni input di produzione all'interno di qualche unità produttiva, occuparsi dei passaggi logistici interni alla regione di cui si occupa il Piano Locale specifico, fare in modo che chi lavora abbia quotidianamente accesso agli strumenti del suo lavoro: questo è il campo di specializzazione della Pianificazione Locale.
Ovviamente questa parte della Pianificazione è quella più flessibile, investita ogni giorno di nuove informazioni, feedback dal basso, decisioni prese dai Consigli di Produzione, necessità territoriali ed esigenze micro-gestionali.
Occuparsi di cose del genere significa per forza di cose dinamismo, flessibilità e spazio di manovra per adattare il Piano alle continue micro-decisioni locali e all'interno delle Cooperative Sociali.
Dunque possiamo visualizzare la stratificazione dei Piani Economici in questo modo

Ovviamente, i Piani Economici hanno bisogno anche di modelli matematici e cibernetici che ottimizzino la combinazione degli input di produzione.
È sicuramente un lavoro ad alta intensità tecnica, in quanto c'è la necessità che ogni Piano sia valido e affidabile sia internamente, in relazione agli altri Piani di ogni livello e in linea con la volontà popolare. Non è un lavoro semplice.
Non si può prescindere dunque dalla componente tecnica della produzione e i Piani Economici hanno principalmente il compito di creare delle direttive economiche che siano efficienti, fattibili e agganciate il più possibile ai desideri reali delle persone.
Il merito di un sistema economico pianificato democraticamente è quello di servirsi del suo controllo esplicito, cosciente e autogestito della produzione sociale per potersi adattare ad ogni condizione.
Insomma, i Piani Economici hanno il compito di tramutare la volontà popolare in dei progetti industriali e produttivi concreti e funzionali.
Ma ovviamente questa componente tecnica, da sola, non è sufficiente.
Le Mille Facce della Democrazia Liquida
- “Non c’è nessun socialismo senza democrazia, e non c’è nessuna democrazia senza socialismo.” (Rosa Luxemburg)
La pianificazione non è un mezzo di gestione dell'economia intrinsecamente socialista. Anche il capitalismo può servirsi della pianificazione e lo fa di continuo.
Non solo, come abbiamo visto, le Grandi Multinazionali pianificano la loro produzione di 5 anni in 5 anni, proprio come il Gosplan sovietico, ma fin dalle prime ondate di industrializzazione, passando per le Guerre Mondiali e la Guerra Fredda, la pianificazione economica è sempre esistita all'interno del sistema capitalista e il Giappone postbellico è stato l'esempio più lampante di un capitalismo pianificato dallo Stato. Non è un caso tra l’altro che quel periodo sia ricordato come il miracolo economico giapponese….
Ciò che cambia in una società postcapitalista è:
1) La pianificazione diventa il processo dominante di gestione dell'economia.
2) La pianificazione non è subordinata alle logiche di profitto, ma ai vari principi elencati all'inizio del capitolo, racchiusi nella massima "da ognuno secondo le sue abilità, ad ognuno secondo le sue necessità (e desideri)".
3) L'apparato produttivo è in mano alla collettività e non ad una ristretta cerchia di proprietari di capitale.
Quest'ultimo punto presume dunque un controllo democratico della produzione. Il chè ci porta a parlare di cosa sia davvero la democrazia, un termine abusato dalle èlite e dall'Occidente nonostante non ce ne sia traccia da nessuna parte.
Il termine democrazia emerge in Occidente come rivendicazione politica durante l'era delle polis greche e significava letteralmente "governo dei molti" o "governo dei poveri". Fino ad oggi è Aristotele (un antidemocratico) l'intellettuale di cui ci rimangono le considerazioni più ricche sull'argomento.
Anche per un antidemocratico come Aristotele la democrazia non aveva nulla a che vedere con uno specifico set di processi o delibere decisionali.
La democrazia esprimeva una forma di potere di classe, nello specifico delle classi più povere:
- "Una democrazia esiste ogni volta che coloro che sono liberi e non benestanti, essendo in una maggioranza, sono in controllo sovrano del governo, un’oligarchia quando il controllo giace nelle mani dei ricchi e nati meglio, questi essendo pochi,"
- "Quello che differenzia l’oligarchia e la democrazia è la ricchezza o l’assenza di ciò. Il punto essenziale è che dove il possesso del potere politico è dovuto al possesso del potere economico o ricchezza . . . questa è oligarchia, e quando le classi senza proprietà hanno il potere, questa è democrazia. Ma come abbiamo detto i primi sono pochi e gli ultimi sono in molti."
Fin dalla sua nascita, il termine democrazia è già agganciato all'esercizio effettivo del potere da parte di una determinata classe sociale, quella lavoratrice e povera.
Oggi la democrazia non esiste: il potere economico si tramuta direttamente in potere politico. Viviamo effettivamente in un’oligarchia dei proprietari di capitale⁷ Cambridge University Press, Testing Theories of American Politics: Elites, Interest Groups, and Average Citizen. .
La stessa espressione "democrazia parlamentare" è un ossimoro. Come può una classe dirigente di politici professionisti, finanziati dal capitale, rappresentare la maggioranza della popolazione?
Ok, il parlamentarismo non c'entra nulla con la democrazia, ma quindi dobbiamo tornare indietro alle assemblee popolari da massimo un centinaio di persone per ogni singola decisione politica?
L’ideologia neoliberale odierna ha ormai talmente separato la parola "democrazia" dal suo contenuto di classe, che tutte le persone pensano che essa si valuti sulla base delle procedure tecnico-decisionali.
Questo sentimento è talmente radicato che anche i nuovi Movimenti anticapitalisti – quelli dal 2000 in poi – ci sono cascati. Nel criticare quella parlamentare, la sinistra radicale propone una nuova forma di democrazia che però è diversa da quella parlamentare solo sulla base delle sue procedure formali. Il Parlamento viene sostituito da forme primitive di assemblee faccia a faccia.
Ma anche qui, il problema si ripresenta: se il Parlamento prende decisioni importanti e che toccano tuttə sulla base degli interessi delle èlite, le assemblee faccia a faccia non sono nemmeno in grado di poter decidere delle cose che contano davvero politicamente e finiscono per rimanere intrappolate in spirali di micro-decisioni paralizzanti.
Ma alla fine il risultato non cambia: l'esercizio effettivo del potere non è in nessuno dei due casi nelle mani delle classi popolari.
Noi ci rifiutiamo di cadere in questo tranello. Lenin già ci aveva avvisato di questa "infantilità" nel bocciare automaticamente le forme di democrazia "rappresentative" o in generale di larga scala.
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"La via per uscire dal parlamentarismo non è nel distruggere le istituzioni rappresentative e il principio dell'eleggibilità, ma nel trasformare queste istituzioni da mulini di parole in organismi che lavorino realmente."
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"Non possiamo concepire una democrazia, sia pure una democrazia proletaria, senza istituzioni rappresentative, ma possiamo e dobbiamo concepirla senza parlamentarismo."
- (Lenin, Stato e Rivoluzione)
La democrazia è prima di tutto la garanzia che il potere all'interno della società venga esercitato dal basso verso l'alto, che l'umanità possa autodeterminare la propria riproduzione come specie su questo pianeta assecondando la volontà popolare.
Non si tratta quindi di una questione di votazione o decisioni dirette locali, ma di una costellazione di istituzioni, rituali politici e processi decisionali che garantiscano il pieno controllo collettivo sulle condizioni economiche, politiche e sociali che toccano tutte le persone.
Questo significa lasciare lo spazio politico e le risorse necessarie per poter creare delle nuove istituzioni, proposte politiche da far votare (tipo referendum) e di mantenere saldi i Piani Economici alle esigenze espresse dalla collettività.
Come abbiamo detto infatti, nel postcapitalismo la democrazia dovrà essere liquida, ovvero disciolta e dislocata in ogni piano della società ed in grado di adattarsi ai vari contesti.
Ad esempio è inutile prendere decisioni collettive su quanti bulloni dovrebbe avere una ruota di un bus, mentre invece è molto importante un processo democratico per stabilire quante risorse dare (e come organizzarle) per un trasporto pubblico efficiente e capillare.
A seconda del grado con cui ogni decisione influenza le nostre vite, la democrazia liquida prenderà forme diverse e funzionali al caso specifico.
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“La democrazia non può essere definita semplicemente sulla base dei suoi mezzi - non attraverso il voto, la discussione o le assemblee generali.
assemblee. La vera democrazia deve essere definita dal suo obiettivo: l'autodeterminazione collettiva.”
(Nick Srnicek e Alex Williams, Manifesto Accelerazionista)
La democrazia per noi si concretizza in un mondo dove le istituzioni sociali sono realmente sottomesse al controllo e alla sorveglianza popolare, altrimenti sono tutte chiacchiere formali.
La miglior descrizione di una democrazia reale, sostanziale e operativa la diede Marx nel suo resoconto dell'esperienza della Comune di Parigi:
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“La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi arrondissements di Parigi, responsabili e revocabili in qualsiasi momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti della classe operaia. La Comune non doveva essere un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo al tempo stesso.
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[...] Le comuni rurali di ogni distretto avrebbero dovuto amministrare i loro affari comuni mediante un’assemblea di delegati nei capoluoghi, e queste assemblee avrebbero dovuto a loro volta mandare dei rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi, ogni delegato essendo revocabile in qualsiasi momento e legato alle istruzioni formali dei suoi elettori.
[...] Invece di decidere una volta ogni 3 o 6 anni quale membro della classe dominante dovesse mal rappresentare e opprimere il popolo nel Parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in Comuni. [...] D’altra parte, nulla poteva essere più estraneo allo spirito della Comune, che mettere al posto del suffragio universale una investitura gerarchica.”
Ovviamente questo è un progetto ambizioso. Richiede istituzioni sociali, algoritmi matematici e processi politici in grado di sintetizzare le singolari esigenze e desideri di ogni individuo in una volontà popolare unica e multiforme al tempo stesso, nonché adattarsi agli inevitabili cambiamenti col passare del tempo.
E questo rimane ancora un campo aperto a sperimentazioni, progetti e proposte concrete già all'interno di una società capitalistica.
È vero però che esistono già modelli ed istituzioni che durante la Storia hanno dimostrato di avere la stoffa per poter guidare questa immensa transizione democratica su larghissima scala. Abbiamo citato già i Consigli Operai, ma anche le cooperative (quelle serie, non quelle che fanno da prestanome per Multinazionali più grandi che subappaltano) hanno dimostrato di poter fare bene il loro lavoro.
E non solo: anche le nuove tecnologie digitali ci permettono di creare petizioni, vertenze popolari, proposte di referendum, assemblee faccia a faccia, votazioni per delegare il potere e molto altro ancora spesso senza doverci spostare neanche di casa.
Ma, in ogni caso, l'operazione della democrazia su scala globale rimane un progetto irrealizzato e che dunque dovrà essere costruito con cautela, delicatezza ma anche tanta determinazione e sperimentazione.
Possiamo comunque immaginare gli schizzi di una stratificazione della democrazia liquida e dei flussi che con tutta probabilità la attraverseranno.
Per farlo, introdurremo un modello che divide le persone nei 3 ruoli che occupano all'interno di un sistema economico pianificato: lavoratorə, consumatorə e membri della comunità. Anche in questo caso non parliamo di un modello "naturale" ma di una costruzione sociale che, a nostro parere, potrebbe essere funzionale ad organizzare una democrazia sostanziale su larga scala.
Ogni persona si interfaccia a diverse istituzioni democratiche a seconda del ruolo che occupa in quel preciso contesto.
Nel contesto di lavoro, abbiamo già fatto riferimento ai Consigli Operai, di Produzione, ma possiamo allargare questa idea anche a temi come la logistica o la gestione territoriale-regionale. Ma non abbiamo parlato di come si può articolare il rapporto e il coordinamento tra ogni singolo Consiglio.
All'interno della Cooperativa Sociale funzionerebbe praticamente nello stesso modo in cui funziona ora nelle cooperative serie. Un giorno casuale della settimana dopo pranzo, invece di lavorare, il Consiglio di Produzione si mette davanti ad un tavolo e discute delle questioni interne alla Cooperativa.
Da quanti input sono stati consumati, se ci sono stati danni/problemi/ritardi con la produzione, se ci sono nuove idee per raggiungere più velocemente gli obiettivi pianificati, a mettersi d'accordo sul da farsi per le settimane successive e per dare un feedback alla Pianificazione Locale e/o Strategica, queste assemblee si occupano della gestione interna della Cooperativa.
Ma, facendo parte di un'unità produttiva socialmente, ecologicamente e territorialmente integrata, ogni Consiglio di Produzione interno ad una Cooperativa Sociale deve coordinarsi con altri Consigli di Produzione ad esempio con quelli della loro stessa località, con quelli dello stesso settore, con i Consigli della Logistica territoriale e probabilmente con altre istituzioni incaricate di regolare, valutare, supervisionare, o efficientare la produzione del proprio settore di riferimento.
Ciò significa che ci saranno anche le assemblee e i Consigli territoriali, logistiche, settoriali, tecniche ecc...
Un metodo particolarmente efficace per affrontare questo problema è quello dei delegati a rotazione temporale.
Ogni mese (o comunque un intervallo di tempo inferiore ad un anno) ogni Consiglio sceglie dei delegati che si occupano di partecipare alle assemblee con gli altri Consigli.
Facciamo uno schemino per facilitare la comprensione e dare un'immagine concettuale a tutto ciò.

Nell'ambito del consumo invece si andrebbe innanzitutto a rimuovere tutta la burocrazia privata che c'è quando un consumatore prova ad interagire con l'impresa per ragioni di ogni genere (malfunzionamenti, ritardi di consegna, errori ecc...). Impelagarsi in quel mare di assistenti virtuali, rimpalli di responsabilità tra i dipartimenti e impazienza degli operatori umani sottopagati è un'esperienza che non augureremmo a nessuna persona.
Già oggi esistono consorzi dei consumatori, istituzioni a cui possono appellarsi e procedure che possono seguire per dare dei feedback concreti sulla produzione economica.
A questo ci saranno da aggiungere delle istituzioni in grado di sostenere il cambiamento qualitativo del consumo di determinati beni. Se oggi infatti i mercati creano prodotti incredibilmente individualizzati, molti più beni saranno consumati in modo collettivo in una società pianificata, per poter sfruttare le economie di scala e consumare di meno.
È necessario dunque riprogrammare le istituzioni esistenti dei consumatori e creare nuovi consorzi collettivi, in grado di gestire le nuove forme qualitative del consumo.
Infine un'altra grande novità sarebbero le istituzioni democratiche con cui le persone interagiscono in quanto membri di una comunità. I prototipi potrebbero essere i "Community Center" in cui, attraverso procedure efficienti e razionali, ogni persona può rivolgersi a degli operatori per ottenere informazioni, proporre cambiamenti, segnalare irregolarità e manifestare dissenso/consenso sul funzionamento dei servizi, dei beni e degli spazi dedicati alle varie community dislocate sui vari territori.
Ad esempio nel campo della mobilità territoriale si possono proporre nuove fermate per i bus, nuove tratte e percorsi, forme ibride e flessibili di mobilità, se voler dedicare più o meno spazio a zone di mobilità dolce ecc....
I vari Community Center hanno il compito di ricevere questi feedback, categorizzarli, e servirsi anche di algoritmi per vedere quali sono le richieste, segnalazioni, proposte e volontà che emergono all'interno della loro comunità di riferimento.
Immaginiamo anche delle assemblee tra vari delegati dei Community Center a livello regionale e nazionale che riportano le informazioni ottenute di mese in mese e le fanno fluire ai piani alti della pianificazione.
Come abbiamo detto infatti, la maggior parte dei benefici socioeconomici non sono esprimibili da fredde equazioni: nonostante apprezziamo la provocazione, Stalin si sbagliava quando affermava che "la tecnica decide tutto". La tecnica è fondamentale ma non basta.
Network Comune
Anche la democrazia liquida, mediata e sostanziale non è abbastanza. Non solo è importante stare alla larga dalla paralisi decisionale che potrebbe emergere da un sistema iper-democratico; ma spesso le persone non sanno cosa vogliono fino a quando non gli viene mostrato. In poche parole la maggior parte dei desideri, a cui è necessario agganciare i Piani Economici, sono subconsci, agiscono nella profondità degli individui.
I capitalisti lo sanno bene. Sono armati di marketing, modelli di studio dei comportamenti di massa, algoritmi, processi di raccolta dati e di ricerca psico-sociale con cui provano ad entrare nell'inconscio delle persone per scoprire cosa vogliono prima che loro stesse lo sappiano. Il capitale stesso ha dunque creato un'infrastruttura tecno-sociale che è in grado di penetrare l'inconscio delle persone, ricavando informazioni importanti sui loro desideri più remoti.
Ma non solo: gli algoritmi e la raccolta dati in larga scala ci permettono di scoprire collegamenti tra una particolare demografica (ad esempio basata sull'età) e determinati prodotti o servizi offerti dall'economia. Alcune medicine, servizi di cura o beni economici vanno più in voga tra le persone giovani, altri tra quelle vecchie e altri ancora tra i bambini. Spesso si notano magari interconnessioni tra beni e servizi diversi che non si sarebbero captati in modo esplicito. L'internet delle cose è un esempio lampante di queste interconnessioni
Questa infrastruttura è, di per sé, neutrale. Se il capitale non la usasse come metodo di ulteriore estrazione di profitti e mercificazione della nostra attenzione, si potrebbero sviluppare tutte le potenzialità emancipatrici di tale infrastruttura, come la possibilità di avere prodotti sempre più specifici, personalizzati e abbastanza flessibili da adattarsi ad un'ampia varietà di sfumature di desideri collettivi.
Chiamiamo Network Comune la forma postcapitalista, dunque di proprietà collettiva, di questa infrastruttura tecno-sociale. Il Network Comune è l'insieme di tutti quegli algoritmi, simulazioni digitali, studi comportamentali, ricerche sulla psicologia collettiva, processi di raccolta dati ecc... che si occupano di cogliere le interconnessioni inconsce all'interno dell'economia. Il suo compito è quello di rifornire i Piani Economici di informazioni riguardo l'inconscio collettivo e di aggiornarli sulla base di queste informazioni.
Il Network Comune è la parte più sperimentale dell'impianto di pianificazione economica. Si occupa di ricollegare le scelte diffuse ed implicite delle persone verso i Piani Economici futuri (o verso l'aggiornamento di quelli esistenti). È il nodo finale del processo di feedback che continua a trasmettere informazioni dai Piani alla collettività e viceversa. Fondamentalmente è un facilitatore della cibernetica economica, ovvero dei costanti processi di feedback che stabilizzano e arricchiscono qualsiasi sistema economico complesso.
Ovviamente, un Network Comune ha bisogno di risorse dedicate, tante risorse. L'internet delle cose, gli algoritmi, raccolta dati e quant'altro sono processi che richiedono tempo, materie prime e lavoro. È necessario dunque che i Piani Economici dedichino sufficiente spazio alla sperimentazione e a possibili deviazioni dalla pianificazione stessa. Spesso la fonte degli aumenti della ricchezza reale (quella comune) sta nelle interconnessioni economiche, nella capacità di associare beni e servizi che all'apparenza non sembrano complementari. Saranno soprattutto i Community Center ad usufruire di questo complesso di Network, proprio perché esso è particolarmente funzionale alle loro questioni specifiche.
Questo Network Comune sarebbe una sorta di upgrade del progetto Cybersin, sviluppato dal Cile di Allende, ma mai messo all'opera in modo continuativo per colpa del golpe statunitense del '73.
È probabile addirittura che sia stata proprio la scoperta di Cybersin da parte dei servizi segreti a convincere gli Stati Uniti ad intervenire per distruggere il progetto socialista democratico cileno e instaurare una delle peggiori dittature che l'umanità abbia mai sperimentato.
Il progetto Cybersin è stato il primo prototipo di una gestione cibernetica, democratica e pianificata dell'economia.
Dopo la campagna di espropri e nazionalizzazioni portata avanti da Allende, serviva un impianto di gestione economica che superasse sia il mercato che il controllo top-down sovietico.
Attraverso Cybernet, Cyberstride e altre piattaforme proto-internet, il governo cileno aveva creato un'infrastruttura che lasciava fluire le informazioni (quasi) in tempo reale da un'impresa pubblica all'altra. Questo flusso informativo era integrato anche con sofisticati dispositivi di e-democracy, in cui le persone cilene avrebbero potuto dare input alla gestione economica anche al di fuori di elezioni o referendum.
Ovviamente, si parla del 1971-72: letteralmente 50 anni fa. Questo prototipo ebbe problemi di ogni tipo: aveva a disposizione solo 5 computer (neanche di ottima qualità) e tensioni interne tra chi vedeva il progetto come un esperimento tecnico e chi come uno strumento anche politico. Inoltre le informazioni potevano circolare solo una volta al giorno.
In 50 anni di progresso tecnologico, con computer quantistici e altri strumenti informatici si può sicuramente integrare un Network Comune alla pianificazione economica in modo molto più efficiente.
Un'economia pianificata e democratica capace di dare le migliori performance per i suoi cittadini ha necessariamente bisogno di far fluire liberamente le informazioni tra un settore e l'altro, tra prodotti e servizi e tra i vari Consigli Operai, Territoriali, Logistici e quant'altro. L'informazione e la possibilità di correggere in tempo reale ogni singolo dettaglio della produzione è l'unico modo per riprodurre sistematicamente la ricchezza comune senza dover ogni volta fermarsi a decidere esplicitamente il da farsi. Il Network Comune è l’antidoto all’immobilismo che potrebbe generarsi dalla democratizzazione su larga scala della società.
Tra le varie informazioni che dovrebbero continuare a circolare senza sosta c'è sicuramente il flusso del valore economico. In un'economia altamente interdipendente è necessario distribuire il valore economico generato dal lavoro collettivo.
Nel prossimo capitolo dunque ci concentriamo su questo: sistemi di pagamento e circuito del comune.
III.
Circuito Comune e Sistema di Pagamento
Leviamoci subito di torno una convinzione neoluddista in crescita all'interno dei Movimenti odierni, soprattutto quelli ecologisti e degrowth: il mito delle comuni su piccola scala e autosufficienti in cui lo scambio economico in sé viene sostanzialmente eliminato.
Queste sono utopie da 4 soldi di persone che vivono in un pianeta parallelo. Andate voi a dire ad ogni persona di Milano che non potrà mangiare metà della sua dieta perché in Lombardia cresce praticamente solo il riso.
Come pensiamo di organizzare piattaforme tecno-sociali importantissime e necessarie come gli acquedotti che portano l'acqua nelle case, i sistemi di riscaldamento centralizzati, gli ospedali ecc..., se abbiamo una visione così infantile ed ingenua del mondo postcapitalista?
Anche in una società pianificata democraticamente rimarrà la divisione tecnica del lavoro (ma non quella sociale), ma in modo molto meno rigido e più sperimentale. Sicuramente le persone non farebbero mai lo stesso identico lavoro per metà delle loro giornate per 50 anni e passa. La pianificazione esiste proprio per poter permettere alla gente di saltare di lavoro in lavoro sulla base dei loro desideri senza compromettere la stabilità dei processi produttivi. Possiamo interpretarla come una specie di flessibilità lavorativa ma a favore della classe operaia.
Ma pensare di eliminare la divisione tecnica del lavoro e quindi pensare che le persone possano fare tutto significa dare vita ad un sistema in cui nessuno fa un cazzo.
Finché c'è una capillare divisione del lavoro su larga scala è necessario un sistema di pagamenti, ovvero di un processo impersonale, smooth e onesto che sia in grado di restituire allə operaiə un corrispettivo "astratto" del loro effettivo contributo alla produzione, ma anche di tenere da parte un surplus per poter garantire uno standard di vita dignitoso a chi è precluso dal lavoro – o può lavorare solo una frazione del tempo di lavoro medio. Parliamo dunque di un surplus necessario per le persone con disabilità psico-motorie, per chi è troppo giovane o troppo vecchio, per chi ha malattie di ogni tipo ecc....
In ogni caso il sistema di pagamento socialista è un sistema in transizione: lo sviluppo dell'economia pianificata in una società dell'abbondanza (come vedremo più avanti) rende sempre meno necessario il conteggio di quanto ogni persona ha effettivamente contribuito alla produzione. Solo con una sostanziale percentuale di beni e servizi abbondanti possiamo davvero costruire un'economia che riceve da ognuno secondo le sue abilità e da ad ognuno secondo le sue necessità e desideri.
Però, finchè c'è scarsità ci sarà comunque una divisione esplicita del lavoro e la necessità di un sistema di pagamento. Andiamo ad approfondirlo un po'.
Sistema di Pagamento
Per delineare un sistema di pagamento post-profitto, non possiamo che partire dalla labor theory of value, in italiano teoria del valore-lavoro (TVL). Secondo la TVL è il lavoro a creare valore e soprattutto ogni ora di lavoro tende a generare un valore economico simile.
Ma la TVL si basa su 3 presupposti (espliciti o impliciti), che sono tipici del capitalismo. Gli economisti classici e anche Marx, infatti, usano questa teoria proprio per analizzare o criticare le peculiarità del sistema capitalista.
In particolare i 3 presupposti sono:
1) Il lavoro è socializzato. Nel Medioevo la maggior parte della produzione era destinata al consumo personale, mentre solo il surplus veniva venduto sul mercato. Questo significa che ogni artigiano o contadino produceva in modo "economicamente sconnesso" dal resto. Nel capitalismo invece il lavoro viene socializzato nel senso che ogni persona è specializzata in una micro-mansione dell'intera produzione che acquista un senso solo quando ognuna di queste mansioni si relaziona con le altre.
Il lavoro dell'avvocato ad esempio ha senso solo se c'è anche un giudice ed entrambi questi lavori esistono grazie al fatto che ci sono contadini che producono il cibo necessario a mantenerli in vita. Ogni lavoro è interconnesso e senza questa condizione non c'è nessuna TVL che regga.
2) Il lavoro è socializzato attraverso un regime di competizione generalizzata. C'è una ragione specifica per cui ogni ora di lavoro tende a produrre lo stesso valore economico. Supponiamo di avere due capitali singoli (due imprese, fabbriche or whatever) A e B. Entrambi investono 100 euro, ma all'impresa A alla fine del ciclo produttivo gliene tornano 120, mentre a B 200. È evidente che dei nuovi investitori saranno tentati di investire su B e disinvestire da A.
Ma questo significa che il ciclo di produzione successivo gli input di produzione di B avranno più domanda, il ché ne farà alzare il prezzo e di conseguenza i costi di produzione di B stesso; in più B si troverà ad avere un mercato più saturo, perché più imprese saranno attratte dal suo settore più redditizio. Di conseguenza B è costretto ad investire ad esempio 140 e gliene tornano indietro solo 180.
Il capitale A invece ha subito il processo inverso: i suoi costi di produzione sono diminuiti e il suo mercato si è svuotato di competizione e dunque magari spende solo 80 e gliene tornano indietro 130. Se compariamo di nuovo la situazione tra A e B possiamo notare che si sono invertite le parti: adesso è A l'impresa che attrae più capitale rispetto a B.
Ora ovviamente l'esempio è esagerato per rendere il concetto, ma la questione di fondo è che se proiettiamo questo processo nel lungo periodo si vede che la redditività di A e B continua a fluttuare attorno ad una media. Proprio quella media corrisponde a quanto produce mediamente un'ora di lavoro. Ma per l'appunto tutto ciò funziona quando il lavoro viene socializzato tramite la competizione o, in altre parole, quando la competizione è la relazione sociale dominante che regola lo scambio economico.
3) C'è ancora un contesto di scarsità. Il valore economico in sé è un tentativo di misurare la scarsità di un bene.
Più una merce ha valore, più significa che è socialmente dispendioso produrre un'altra unità di essa, ovvero è necessario impiegare tante risorse, tecnologia e lavoro vivo per poterla riprodurre.
Ma questo è proprio il contrario di abbondanza. Più un bene è abbondante, più significa che lo sforzo necessario a riprodurlo è prossimo allo zero e dunque il suo valore tende a 0.
Un'economia basata sull'abbondanza è un'economia che ha liberato l'umanità dalla legge del valore per entrare nel regno della libertà sostanziale, ovvero la libertà di poter soddisfare i propri desideri e seguire le proprie pulsioni senza più costrizioni materiali.
Queste 3 condizioni sono tutte tipiche del capitalismo, che infatti è l'unico sistema in cui la legge del valore regna sovrana. Per un'economia pianificata invece la situazione è un po' diversa.
Come abbiamo visto il primo presupposto rimane: non vogliamo vivere in una società che torna al mito dell'autosufficienza individuale o locale, perché è una distopia irrealizzabile. Quindi il lavoro è socializzato anche in un'economia pianificata.
Il terzo presupposto è parzialmente vero: l'obiettivo è l'eliminazione della scarsità, ma questo è un processo in divenire che dipende da fattori anche tecnici e non solo politici. Il fatto che il 99% detenga o meno il potere non implica immediatamente l'abolizione di ogni scarsità.
Dunque per tutti quei beni e servizi ancora sotto regime di scarsità la TVL è ancora utile come strumento di misura del valore economico.
Il secondo presupposto è più subdolo.
La competizione è uno strumento che può risultare utile in determinate condizioni, ma non sarà neanche lontanamente la relazione sociale dominante degli scambi economici nel nostro modello. Sarebbe una follia lasciare intatto il dominio generale della competizione.
Ma come vedremo sempre in questo capitolo, per i beni di consumo scarsi (quelli per cui dunque vale più di tutti la legge del valore), la pianificazione verrebbe coadiuvata da meccanismi di mercato che riproducono il movimento degli investimenti verso i settori più “socialmente efficienti” senza però riprodurre la competizione generalizzata.
Dunque anche in un'economia pianificata sarebbe comunque la TVL a darci gli strumenti migliori per avere un'idea del valore economico.
La TVL prende due piccioni con una fava. In primis toglie l'inutile mediazione data dal denaro circolante e permette di edificare un sistema di pagamenti che paga le persone direttamente in ore di lavoro performate.
In più dà l'opportunità di dare una stima approssimativa sulla media del valore prodotto ogni ora, su cui in seguito possono essere fatti secondi aggiustamenti sulla base di altri fattori.
Vediamo dunque come funzionerebbe un sistema di pagamenti socialista che si appoggia sulla TVL.
Ogni ora di lavoro corrisponde ad un'unità del reddito percepito. Se dovessimo prendere le statistiche usate da Paul Cockshott relative all'Inghilterra nel 1997, un'ora di lavoro corrisponderebbe a 14 sterline.
Introduciamo dunque i Redditi Collettivi. Siccome il valore generato dal lavoro vivo non si divide più in salari e profitti – visto che non esistono più lavoratori e sfruttatori – il lavoro vivo dà direttamente vita ai Redditi Collettivi, ovvero l'equivalente astratto dell'intera produzione economica sottoforma di reddito.
Dunque se in un anno vengono impiegate complessivamente 2 miliardi di ore di lavoro all'interno di una regione, quella regione ha il compito di distribuire 28 miliardi di sterline di Redditi Collettivi.
Ma a differenza del denaro di adesso, che è sottoforma di moneta circolante, i Redditi Collettivi non hanno bisogno di circolare.
Il Reddito infatti deve solo dare l'informazione all'economia che una persona ha scambiato determinate ore di lavoro in uno specifico prodotto piuttosto che un altro e dunque esplicitare delle preferenze che vengono prese in considerazione dall'apparato pianificatore. Ma una volta che il Reddito è stato speso, e dunque l'informazione è stata veicolata, quel Reddito non ha più motivo di esistere e quindi svanisce.
A livello individuale non cambia nulla. Al di sopra di ciò che ti dà il welfare, ogni persona ha libertà assoluta di spendere i Redditi come vuole. Dunque ogni persona andrebbe al supermercato e comprerebbe ciò che vuole.
Ma il Reddito che spende invece di essere trattenuto da una singola impresa, torna direttamente alla collettività sottoforma di informazione utile a scegliere cosa produrre l'anno successivo (o il ciclo di produzione successivo).
Dunque a livello aggregato le cose cambiano: niente denaro circolante, niente mezzi per ricreare la speculazione, mercati neri o forme di small business parassitari tipici del capitalismo.
Sì, il denaro si può abolire pur mantenendo le informazioni utili del libero scambio di prodotti e servizi di consumo.
Ovviamente siccome non tutte le persone possono lavorare a pieno regime (anche se più persone rispetto ad adesso lo faranno perchè le ore di lavoro saranno più basse e quindi più facili da sostenere per molte più persone), i 28 miliardi di reddito generati saranno distribuiti anche a persone che hanno contribuito meno (o che proprio non hanno contribuito). E al tempo stesso alcuni lavori verranno comunque remunerati di più di altri a parità di ore di lavoro performate.
Ad esempio lavori più logoranti, più specializzati, rischiosi o che poche persone si accollano di fare avrebbero degli aggiustamenti al rialzo.
Ma questo non significa che le persone vengano sfruttate o che si ricreeranno le differenze economiche abissali che abbiamo adesso; si tratta quanto più di aggiustamenti di buonsenso.
Chi pensa che prelevare da chi lavora una frazione del valore economico per non lasciar morire di fame le persone più marginalizzate o che premiare un po' di più alcuni lavori più faticosi sia l'equivalente dello sfruttamento o della disuguaglianza non ha capito un cazzo a nostro parere. In ogni caso riteniamo necessario far in modo che il sistema di pagamenti operi all’interno di vincoli espliciti su quanta disuguaglianza sia tollerabile. Serve sicuramente una norma che vieti che la persona col Reddito maggiore guadagni x volte in più di quella col Reddito minore.
Aggiustamenti a parte questo sistema di pagamento sarebbe beneficiale per la maggior parte delle persone al mondo. La stragrande maggioranza delle persone guadagna meno di quanto produce mediamente un'ora di lavoro (altrimenti non esisterebbero i profitti). Come mostrato nel Capitolo III sempre di "Socialism for the XXIst Century", il sistema di pagamento socialista riduce le disuguaglianze e le discriminazioni e garantisce risultati che il capitalismo si sognerebbe⁸ Quanti anni ci vorrebbero per una donna che guadagna £7 all’ora per arrivare a £14 all’ora a questo tasso di crescita? La risposta è 29 anni: controlla sulla tua calcolatrice. La redistribuzione socialista potrebbe ottenere direttamente quello che altrimenti impiegherebbe la buona parte di una vita lavorativa. Con il socialismo l’impiegata può avere la sua torta e mangiarla anche.Paul Cockshott, Socialism for the XXIst Century .
In un'economia pianificata quindi ogni persona riceve dei Redditi che nel complesso corrispondono al valore economico generato dal lavoro vivo e individualmente un'approssimazione del proprio contributo reale all'economia. Dopodichè – attraverso un dispositivo che ricalcherebbe i meccanismi di una carta di credito – questi Redditi vengono spesi liberamente nei prodotti che ognunə desidera, dando dunque l'informazione necessaria a chiudere il cerchio della pianificazione.
A questo si deve aggiungere la computazione dei costi, ovvero il calcolo della scarsità relativa di beni e risorse produttive. Il capitale infatti campa di rendita sulle spalle di lavoro non pagato e risorse sovra-sfruttate. Dunque il sistema odierno bypassa alcuni costi sostanziali, da cui derivano le crisi e le ingiustizie odierne.
Con lavoro non pagato ci si riferisce a tutto il lavoro di cura performato nelle mura domestiche, fondamentale per ogni sistema economico ad alta divisione del lavoro, ma che il capitale non ha mai riconosciuto se non in forma mercificata e precaria. La maggior parte del lavoro domestico viene o non pagato, oppure delegato a settori economici che operano come veri e propri impianti moderni di servitù domestica.
Un'economia pianificata invece prende parte del Reddito complessivo generato dalle ore di lavoro e lo distribuisce a tutte le persone impegnate e specializzate nel lavoro di riproduzione sociale.
Il problema delle risorse invece è alla base della crisi climatica.
La scarsità relativa di una risorsa (e quindi il suo vero valore) dipende da alcuni fattori: la quantità totale disponibile, la velocità con cui si riproduce (se si riproduce naturalmente) e la difficoltà di estrazione – espressa in tempo ed energia consumate per rendere disponibile il suo utilizzo.
Il capitalismo considera nei suoi costi solo l'ultimo fattore, mentre invece non solo ignora gli altri due, ma addirittura è in grado di gestire solo risorse scarse e che si riproducono in tempi lunghissimi, come il petrolio, poiché più facili da recintare, monopolizzare e mercificare.
Un'economia pianificata invece si serve dei migliori strumenti tecno-scientifici per computare anche questi costi eco-sociali della produzione. Un'economia davvero sostenibile deve considerare il degrado ecologico e i costi sociali della produzione.
Circuito del Comune
Il fatto che anche in un’economia pianificata le ore di lavoro erogate siano la miglior misura del valore aggregato non risolve tutto. Ci sono altre due questioni da prendere in considerazione.
La prima è che serve uno strumento in grado di far circolare il valore economico (astratto) facendo in modo che compia un giro completo tra un ciclo di produzione e l'altro. Ogni economia complessa – come il capitalismo – possiede un circuito economico, ovvero un processo che continua a far circolare il flusso della produzione. L’economia parte con un insieme di risorse umane e naturali (input), produce un output, lo distribuisce, riproduce gli input e il giro ricomincia.
Se il circuito del capitale l’abbiamo già visto, in questo capitolo vedremo il Circuito del Comune, ovvero il circuito economico di un'economia pianificata socialista.
L'altra questione è che il valore astratto che finora abbiamo analizzato come aggregato, si concretizza nella pratica in una miriade di prodotti e servizi unici, diversi e personalizzabili, un fenomeno che il Post-Fordismo ha esasperato fino alla ridondanza.
I beni e i servizi hanno bisogno di modalità di distribuzione specifiche in base alle loro caratteristiche tecniche e sociali.
Vediamo dunque il Circuito del Comune e abbozziamo 3 possibili modelli di distribuzione integrati all’interno di esso.
Il primo modello possibile di distribuzione è il welfare. Per tutti quei beni e servizi che la società ha stabilito come necessari attraverso la Pianificazione Comune, il metodo di distribuzione seguirebbe le modalità di approvvigionamento pubblico.
Infrastrutture pubbliche, sanità, istruzione, connessione ad internet, acqua, cibo, medicine di prima necessità, beni e servizi relativi alla mobilità e tanto altro (sempre a seconda di cosa decidono le persone), sono gestiti come diritti economici pubblici: tuttə pagano (attraverso le tasse), tuttə ricevono gratuitamente ed indiscriminatamente sulla base della loro necessità.
In una società postcapitalista realmente democratica, senza differenze esagerate di redditi e non distorta da strane configurazioni politiche, ci immaginiamo un welfare particolarmente abbondante e ben finanziato cosicchè la ricchezza comune possa essere usata in modo razionale e sulla base delle necessità collettive.
Il vantaggio del welfare è che, occupandosi di beni e servizi di cui è facile stimare quanto bisogno ne hanno le persone (almeno in media), è capace di sfruttare le economie di scala per risparmiare risorse, energia e lavoro umano. Ad esempio per come è costruito adesso il sistema se 50 persone vogliono spostarsi prenderanno 30 auto private. Ma teoricamente le stesse persone si potrebbero muovere con soli due bus pubblici. Due bus costano meno, producono molte meno emissioni e occupano molto meno spazio di 30 auto: costituiscono dunque un sistema di mobilità oggettivamente migliore. E lo stesso discorso vale per molte altre questioni.
Il secondo metodo di distribuzione è il mercato socializzato, di cui vi abbiamo accennato prima.
Il mercato socializzato è per tutti quei beni e servizi di consumo scarsi, sperimentali, o comunque non-necessari. In questo caso vige la legge della "libertà di scelta". È inutile distribuire gratuitamente delle cuffie o dei taglieri (o assegnarli in modo razionato ad ogni individuo): una volta garantito ad ognuno il necessario (come stabilito dal Piano Comune) le persone possono utilizzare i loro Redditi Collettivi come meglio credono.
I prezzi per questi beni o servizi sarebbero agganciati alle ore di lavoro necessarie a produrle con degli aggiustamenti sulla base delle oscillazioni tra domanda e offerta (vedremo meglio questo passaggio nel prossimo capitolo). Ovviamente questo mercato è socializzato perchè, come detto in precedenza, i Redditi Collettivi non circolano ma si esauriscono quando vengono spesi come se fossero dei voucher, dunque tornano immediatamente indietro alla società stessa.
L'apparato di pianificazione a quel punto capta queste informazioni e le usa per ri-aggiornare costantemente i Piani Economici, così da integrarli sempre di più ai reali desideri sociali.
Infine troviamo l'ultimo metodo di distribuzione, che ci piace chiamare "Metodo Biblioteca". Se ci pensate la biblioteca è la concretizzazione di diversi principi comunisti. Si tratta di un'istituzione finanziata pubblicamente che distribuisce una serie di prodotti in modo gratuito a chiunque ne abbia bisogno. Inoltre è anche incredibilmente efficiente ed anti-spreco poiché lo stesso libro gira per le mani di migliaia di persone. Nelle librerie invece per soddisfare la stessa esigenza si produrrebbero migliaia di fogli di carta in più, con tutto il consumo di alberi che ne deriva.
Certo, la biblioteca per essere sostenibile deve imporre limitazioni al consumo che si fa di questi prodotti (uno o due mesi massimo e poi devi restituirli).
Ma questa è una necessità data dal fatto che i libri cartacei, i CD e tutte le cose distribuite nelle biblioteche sono prodotti scarsi. Per riprodurre un libro cartaceo c'è bisogno di materiali, mezzi di produzione, forza-lavoro e di tanto tempo.
Ma per beni e servizi abbondanti – il cui costo di riproduzione è infimo – possiamo immaginare un Metodo Biblioteca generalizzato.
Prendiamo ad esempio un settore che possiamo approssimare come uno abbondante: il settore della moda. Si è stimato che ci siano capi d'abbigliamento a sufficienza per vestire abbondantemente 4 generazioni. In altre parole, possiamo vestire a "costo zero" 4 generazioni umane, un secolo di vestiti gratuiti.
Il "metodo biblioteca" distribuirebbe questi vestiti attraverso degli swap market dislocati su tutto il territorio: chi ha vestiti che non mette più li dona, chi ne ha bisogno va e prende ciò che vuole.
Ci potrebbero essere anche persone che scompongono e ricompongono i vari vestiti per farne di più belli, o sistemi di riciclaggio di vestiti rotti per poter usare le loro fibre col fine di creare nuovi vestiti senza usare nuove risorse.
Insomma, la pianificazione e il metodo biblioteca/swap market hanno tutte le carte in regola per incaricarsi della gestione dell'abbondanza economica ma, come diremo nel capitolo dedicato, abbiamo bisogno adesso di creare ulteriori prototipi di gestione collettiva dei prodotti a costo zero.
Per i beni immateriali/digitali il processo sarebbe ancora più semplice, visto che esistono già i server in grado di farli circolare da una parte all'altra del mondo in tempi sempre più brevi.
Se quindi supponiamo dei processi di distribuzione sulla base di queste 3 macro-categorie (welfare, beni di consumo e beni abbondanti), significa che i Redditi Collettivi dovranno dividersi nelle stesse proporzioni.
Ad esempio se metà della produzione viene distribuita sottoforma di welfare, il 30% nel mercato socializzato e il 20% secondo il metodo biblioteca, anche i Redditi Collettivi di ogni singola persona si divideranno allo stesso modo. 50% di essi vengono prelevati sottoforma di tasse, il 30% saranno spendibili nel mercato socializzato, mentre per il metodo biblioteca il 20%, che andranno a finanziare attraverso tributi volontari la logistica necessaria a tenere in piedi gli swap market e le biblioteche.
Il Circuito del Comune assomiglia dunque ad una cosa del genere.

Questo sarebbe quindi il funzionamento generale di un sistema di pagamento post-profitto, che invece di trasformare il valore del lavoro vivo in salari e profitti, lo distribuisce immediatamente sottoforma di Redditi Collettivi.
Questi Redditi Collettivi esprimono principalmente le ore di lavoro performate, con qualche aggiustamento in base alla pesantezza del tuo lavoro, al grado di specializzazione e alla qualità con cui è stato svolto.
I Redditi vanno poi a suddividersi nei vari metodi di distribuzione in cui il mercato privato non è più la forza dominante: fondi comuni per il welfare e investimenti, la porzione che rimane viene divisa tra i beni di consumo, scambiati attraverso un mercato socializzato, e infine i fondi dell'abbondanza, che stimolerebbero la creazione di forme di distribuzione gratuite e adatte per i beni e servizi abbondanti.
Il continuo flusso del valore economico in questa economia si muove in modo ciclico e prende il nome di Circuito del Comune.
Più la società pianificata si avvicina al comunismo, ovvero una società ormai dominata da abbondanza e benessere collettivo, meno bisogno ci sarà dei Redditi Collettivi, in quanto sempre più beni e servizi verranno prodotti e scambiati gratuitamente.
Dell'abbondanza parleremo nell'ultimo capitolo. Adesso è arrivato il momento di toccare gli argomenti più delicati: gli investimenti, la tecnologia e l'innovazione.
IV.
Investimenti, Tecnologia e Innovazione
- “Dato l’asservimento della scienza applicata agli obiettivi capitalistici (soprattutto a partire dalla fine degli anni ’70) sicuramente non sappiamo ancora cosa possa fare un organismo tecno-sociale odierno. Chi di noi riconosce pienamente quali sono le potenzialità non sfruttate interne alla tecnologia già sviluppata?”
- (Manifesto Accelerazionista)
Ultimamente parlare di innovazione, investimenti e tecnologia all'interno dei Movimenti anticapitalisti è diventato un tabù. La tecnologia viene vista esclusivamente come mezzo di controllo, gli investimenti vengono costantemente associati a finanza e speculazione, mentre la parola "innovazione" viene recepita come un "dog-whistle" liberale.
Tutto ciò si ripercuote nel nostro immaginario comune di un futuro anticapitalista.
L'alternativa che ci immaginiamo (nei rari momenti in cui ci diamo lo spazio per farlo), assomiglia ad un neo-primitivismo locale, in cui delle comuni con un numero imprecisato di persone sarebbe magicamente in grado di provvedere alla propria autosufficienza, producendo solo ciò che è strettamente necessario.
Soprattutto ci si immagina sempre una società a bassa intensità tecnologica, che ritorni a dei metodi di produzione "semplici".
Questa è a nostro parere una visione immatura e infantile dell'economia e della politica.
In primis perchè non si può tracciare una linea che separa la tecnologia accettabile da quella inaccettabile. Quanto indietro dobbiamo andare prima di poter accettare dei macchinari che ci assistono al lavoro? L'aratro va bene o è anch'esso uno strumento di controllo? Se si segue questo percorso si finisce per tornare davvero all'anarco-primitivismo.
In secondo luogo la nostra alternativa dovrà realisticamente sopravvivere – per diverse generazioni – agli attacchi e alle sfide lanciate dal capitale ancora esistente. Dubitiamo che un'unica Rivoluzione globale smantelli immediatamente il capitalismo; è molto più probabile che ogni regione del mondo ci metta il suo tempo e che il sistema di mercato e profitti conviverà per tanti decenni con la nostra alternativa.
Come pensiamo di poter superare il confronto con un apparato produttivo stagnante e incapace di innovare?
Infine, oltre ad essere irreversibili e necessari, l'innovazione, lo sviluppo tecnologico e gli investimenti sono desiderabili. Vogliamo una società abbondante, che autogestisce il suo sviluppo economico, che sia in grado di regolare in modo dinamico il suo rapporto con la natura e che garantisca un alto tenore di vita alla collettività: questo significa necessariamente creare un sistema economico che garantisca il massimo progresso tecnologico possibile.
L'alternativa al capitale che ci immaginiamo è in grado di usare e sviluppare le forme più complesse di avanguardie tecnologiche per garantire benessere comune, beni a costo zero, servizi efficienti, città spettacolari integrate con la natura, case autopulenti, cucine collettive semi-automatizzate, posti di lavoro ridotti al minimo indispensabile, ma soprattutto tempo libero in abbondanza per tuttə.
Tutto ciò pone una sfida importante alla sinistra radicale: abbiamo il compito di prefigurare i modi con cui la pianificazione economica può essere in grado di incentivare, creare, sostenere e diffondere l'innovazione e il progresso tecnologico, nonché quello di decidere collettivamente come allocare gli investimenti economici.
Indipendentemente da tutto, ogni sistema economico deve avere dei meccanismi che gli permettano di indirizzare gli investimenti nei settori dell'economia che contano, di portare avanti novità all'interno dei processi di produzione e di abbassare il numero di ore necessarie a produrre l'output totale.

Per fortuna, già diversi economisti radicali si sono interrogati su questo: per lo scopo di questo capitolo, prenderemo come riferimento principale "Socialism for the XXIst Century" e l'articolo di David Kotz, "Socialism and Innovation (Long Version)".
Investimenti
Gli investimenti equivalgono all'aumento del valore degli input di produzione. Sono tutte quelle risorse, macchinari e manodopera che vengono aggiunti nel ciclo di produzione successivo. Ogni società ha bisogno di un fondo da cui poter attingere per investire. Nel capitalismo questo fondo è composto da risparmi privati, crediti dalle banche e risorse pianificate dallo Stato.
Gli investimenti sono importanti perché rappresentano la direzione che si dà un sistema economico: le nuove risorse umane e naturali potrebbero avere diversi impieghi, dunque la scelta di investire in un settore o in un altro apre un futuro e ne chiude infiniti altri.
Sembrerebbe una scelta importante se ci pensiamo, che dovrebbe passare il vaglio di una qualche forma di democrazia. Chi decide se la nuova forza-lavoro e le nuove risorse produrranno carri armati o scuole?
Una società che vuole definirsi democratica non può sottrarre questa scelta alla collettività.
Ma nel capitalismo non c'è nessun sistema di controllo popolare e democratico sugli investimenti: al massimo le persone hanno parziale voce in capitolo sulla sua componente pubblico-statale. La maggior parte della produzione però è finanziata da debito o fondi privati, dunque indipendenti dalla volontà collettiva.
Una manciata di Multinazionali ha il monopolio effettivo sulla costruzione del futuro che influenzerà tuttə noi.
È evidente che un'economia pianificata deve mettere mano su questo. Un'economia postcapitalista può definirsi tale solo se mette in comune gli investimenti – o come si dice in gergo tecnico "socializza gli investimenti produttivi".
Gli investimenti sarebbero dunque pianificati.
I Piani Comuni si occupano di stabilire i tassi d'investimento, ovvero quanta percentuale della produzione viene dedicata agli investimenti rispetto al totale, sulla base degli obiettivi economici decisi democraticamente; i Piani Strategici distribuiscono gli investimenti nei vari settori industriali interessati, mentre quelli Locali si occuperebbero degli aggiustamenti quotidiani, coadiuvati dai Consigli di Produzione e i Consorzi dei Consumatori (o, perchè no, anche dai Community Center).
Al tempo stesso il Network Comune si occuperebbe di organizzare gli investimenti necessari alle sperimentazioni e alle istituzioni che si occupano di ricerca ed innovazione. Vedremo alla fine di questo capitolo la questione dell'innovazione.
Gli investimenti fanno parte di quegli aspetti onnipresenti dell'economia: sono il punto di partenza necessario per produrre anche il bene all’apparenza più insignificante. I Piani Economici possono sicuramente fare il grosso del lavoro nella gestione degli investimenti, specie per quanto riguarda le sue dinamiche esplicite.
Ma se prendiamo i beni di consumo (ad esempio) un'altra questione sorge spontaneamente: come facciamo a sapere se stiamo investendo in prodotti che la gente vuole? Come facciamo a sapere se stiamo sprecando o meno lavoro umano in beni e servizi socialmente inutili?
Sembra evidente che non possiamo votare sulle decine di milioni di prodotti e servizi diversi che circolano nell'economia: serve uno strumento il più oggettivo possibile, che operi di sottofondo per fare in modo che gli investimenti siano connessi ai desideri delle persone.
Questo è quello che Cockshott (sempre in "Socialism for the XXI Century") chiama efficienza sociale delle ore di lavoro: un meccanismo oggettivo in grado di direzionare gli investimenti in delle attività produttive socialmente efficienti.
Questo meccanismo è chiamato feedback loop, il processo basilare di ogni sistema dinamico, e quindi della cibernetica. In questo caso non è molto diverso da quello che avviene in un'economia di mercato.
Supponiamo di avere due prodotti A e B la cui produzione necessita di 10 ore di lavoro per entrambi. Come abbiamo visto nel capitolo precedente il loro prezzo dovrebbe aggirarsi attorno a 10 euro/voucher di lavoro/Reddito Collettivo. Ma questo non significa automaticamente che le persone siano disposte a spendere 10 euro per entrambe. Magari per la merce A ne spenderebbero al massimo 7, mentre per la merce B sarebbero disposti a spenderne anche 15.
Qui entra in gioco il mercato socializzato di cui parlavamo proprio per i beni di consumo, gli unici che hanno un "prezzo" che viene pagato direttamente dal consumatore.
Il mercato socializzato farebbe agire i meccanismi di mercato per l'appunto, aumentando il prezzo del bene B a 15 e diminuendo quello del bene A a 7.
A quel punto il rapporto tra il prezzo di mercato e le ore necessarie alla produzione (sia per il prodotto A che B), dice ai Piani Economici di quanto aumentare o diminuire gli investimenti per ognuno dei prodotti.
Il prodotto A vedrà una riduzione del 30% degli investimenti, in quanto le persone sono disposte a spendere il 30% in meno delle ore necessarie a produrlo. Il prodotto B vedrà un aumento del 50% per il motivo opposto, ovvero che le persone sono disposte a spenderci il 50% in più rispetto al suo costo reale (misurato in unità di tempo di lavoro necessario).
Solo questo meccanismo fa sì che le ore di lavoro collettive siano usate al massimo della loro efficienza sociale. Se le scelte delle persone si muovono verso alcuni prodotti rispetto ad altri, i Piani Economici devono essere in grado di assecondarle e di adattarsi.
Il meccanismo del mercato socializzato permetterebbe di replicare i feedback di informazioni dati dai prezzi di mercato, di lasciare intatta la massima libertà di scelta individuale e collettiva, ma socializzando i benefici di questi processi economici.
Senza questo feedback loop rischieremmo di ripetere le varie inefficienze distributive tipiche dell'Unione Sovietica e della sua economia semi-socialista.
Tecnologia
La tecnologia è l'infrastruttura sociale di base su cui si edifica la nostra società. Fin da sempre l'umanità ha avuto uno slancio innato a migliorare le proprie tecniche di produzione, ad alleggerire il proprio lavoro, a poter soddisfare più esigenze con meno tempo e sforzo impiegato.
È innegabile però che il capitalismo abbia accelerato ed esasperato questo slancio.
"Tecnologia" è quel concetto astratto che usiamo per riferirci a tutti quei processi, prodotti e tecniche produttive che fanno proprio questo: ricombinano e trasformano gli input di produzione per poter risparmiare tempo ed energie lavorative.
È inutile girarci intorno: lo sviluppo tecnologico è la precondizione oggettiva che permette all'umanità di superare i suoi limiti e di poter elevare i propri standard di vita.
Non solo ci serve la tecnologia per riprodurre la ricchezza già esistente, per far funzionare la mobilità pubblica, gli aerei, le scuole, gli ospedali, le case ecc..., ma anche e soprattutto per poterci dare degli obiettivi concreti di emancipazione dalla povertà, dalle costrizioni biologiche e dall'oppressione sistemica. Le donne possono rivendicare una società che abolisce il genere, il sesso e le sue diramazioni oppressive solo se esistono delle tecnologie di controllo riproduttivo; la garanzia di una vita dignitosa (se non addirittura lussuosa), di servizi essenziali gratuiti, di tempo libero, di abbondanza economica e di integrazione ecologica, esiste solo sulla base di una complessa infrastruttura socio-tecnologica, in grado di ricavare il massimo dalle risorse a nostra disposizione.
No tecnologia, no party.
Ma proprio perché la tecnologia è il mezzo economico, politico e sociale più potente mai fabbricato dall'uomo, essa può rivelarsi disastrosa. Oggi la tecnologia dà il meglio di sé nell'industria fossile e bellica, nella sorveglianza di massa e negli schemi speculativi della finanza. Il progresso tecnico messo in campo dal capitalismo ha finito per mandare all'aria tutti i delicatissimi equilibri di riproduzione naturale, causando la Sesta Estinzione di Massa (aka la crisi climatica).
Questo perché la tecnologia, essendo un prodotto artificiale, non è esente dai processi sociopolitici della società generale. Anzi, proprio dalle forme dominanti di tecnologie che emergono in un determinato periodo (e dall'utilizzo che se ne fa) possiamo risalire indirettamente alle contraddizioni della società che le ha create.
Nel capitalismo, il problema principale della tecnologia è il fatto che il suo uso e sviluppo, nonché la ricerca stessa che ci sta dietro, sono sotto il controllo della classe al potere, dell'1%. Dunque ogni tecnologia ha più possibilità di essere finanziata, prodotta e diffusa se e solo se risponde alle esigenze di questa classe, alla sua sete di profitto e alla sua necessità di accumulare capitale.
Un'economia pianificata invece si fonda sul controllo democratico della tecnologia e deve dunque sviluppare delle istituzioni adatte a questo scopo.
Queste istituzioni si occuperebbero di settare gli obiettivi e le priorità su cui deve concentrarsi la tecnologia e dovranno necessariamente essere democraticamente integrate, ovvero soggette agli stimoli che arrivano dalla società e dalla volontà collettiva.
In primis abbiamo la Pianificazione Comune incaricata di sintetizzare questa volontà collettiva: tra i vari punti su cui la gente può votare, ci deve essere un punto sulla tecnologia. Dove concentrare gli sforzi della ricerca, quali obiettivi perseguire, in quanto tempo, quanta percentuale del budget comune viene usata per finanziare i progetti di ricerca indipendente ecc....
In particolare il punto fondamentale sarebbe la gestione del trade-off tra crescita (o decrescita) economica e tempo libero.
Supponiamo infatti che l'anno prossimo i dati ci dicono che la produttività del lavoro annua è salita del 3%. Questo dato apre un campo di scelte molto ampio: si può scegliere se lavorare sempre le stesse ore (e quindi ottenere una crescita economica del 3%), produrre come l’anno scorso lavorando il 3% in meno ogni giorno, oppure una combinazione delle due -- produrre un po’ di più e lavorare un po’ meno.
O addirittura si potrebbe scegliere di produrre ancora meno dell'anno scorso e guadagnare ancora più tempo libero.
Scegliere liberamente quanto tempo dedicare alla produzione e quanto invece lasciare a libera disposizione per le persone – sulla base sia delle considerazioni oggettive (in primis il degrado ambientale e la necessità di produrre abbastanza per garantire standard di vita elevati), sia di quelle soggettive (i desideri dellə cittadinə) – è il primo passo verso la gestione collettiva della tecnologia.
Ovviamente poi queste scelte astratte nei Piani Comuni vanno ad articolarsi negli strati più dettagliati della società: le assemblee dei consigli di produzione, i consorzi dei consumatori e i community center devono dedicare del tempo per decidere sull'uso concreto della tecnologia disponibile. La Pianificazione Locale si deve occupare di integrare i vari input al comfort e alle richieste delle persone come lavoratorə, consumatorə o membri della comunità.
Al tempo stesso ci sono dei principi e obiettivi imprescindibili, che non possono essere a nostro parere violati. Questi principi dovrebbero essere codificati in una forma analoga a quella delle costituzioni liberali, ma al servizio di una società senza classi sociali, senza denaro circolante e senza sfruttamento economico.
In primis la considerazione dei costi ecologici di ogni tecnologia. Sinceramente poco ci importa di poter interagire con l'Intelligenza Artificiale (ad oggi poco più di un robottino che fa le ricerche su google al posto tuo), se questo significa consumare 4-5 volte l'energia che usa mediamente una Nazione.
Ma poi molto altro ancora: la riduzione progressiva delle ore di lavoro necessarie, l'innalzamento del benessere e degli standard di vita delle persone, l'assistenza medica sia generale che specifica per ogni tipo di corpo non-conforme, lo sviluppo della conoscenza e delle facoltà cognitive di tuttə, la sperimentazione sui propri corpi, sui propri stati di coscienza, l'innalzamento della qualità del nostro tempo libero.
Un'alternativa democratica, pianificata e matura non può definirsi tale senza questi principi e obiettivi strutturali.
Rimangono ovviamente diversi quesiti aperti: che forma avranno queste istituzioni democratiche specializzate nell'uso e nello sviluppo della tecnologia, come rendere sostenibile e trasparente l'uso delle tecnologie ereditate dal capitalismo e altri aspetti su cui dovremmo iniziare seriamente a riflettere oggi.
Tutte le fantomatiche istituzioni di cui parliamo dovranno essere sviluppate prima (nel capitalismo) come contro-istituzioni.
Il grande quesito relativo alla tecnologia però rimane un altro. Come evitare una degenerazione tecno-totalitaria?
Dalla tecnologia deriva potere: la democrazia liquida sarà abbastanza sviluppata, solida e matura da riuscire a strappare la tecnologia dalle mani dei tecnici e delle istituzioni più centralizzate e di larga scala? Saremo in grado di evitare che rispuntino fuori forme di sorveglianza di massa, data la facilità e velocità con cui le tecnologie digitali possono reperire informazioni?
In ogni caso, sappiamo che, una volta liberata dalle catene del profitto e della classe miliardaria, la tecnologia può mostrarci tutto il suo potenziale: in una società in cui tutto il valore generato dal lavoro vivo torna nelle mani della classe operaia e della collettività, l'unico modo per migliorare le performance economiche (e quindi di conseguenza il benessere collettivo) è attraverso lo sviluppo tecnologico.
Se, infatti, il capitalismo ha accelerato il progresso tecnologico con una mano, con l'altra continua a tirarne il freno a mano. La tecnologia ad oggi viene sviluppata e diffusa solo se può garantire un ritorno sul capitale investito sotto forma di profitto.
Questo presta il fianco ad una serie di distorsioni economiche folli: prodotti che si rompono sempre più velocemente, scarsità artificiale, brevetti che rendono impossibile la diffusione del progresso tecnologico....
Al di là di tutti i dubbi siamo certə di una cosa: nel comunismo di lusso, in un'economia pianificata democraticamente, non sarà nemmeno concepibile una situazione, come quella odierna, in cui l'intelligenza artificiale scrive poesie, compone musica e si diverte al posto nostro mentre noi andiamo a fare lavori sempre più inutili, di merda e pagati male.
Innovazione
Come ogni aspetto sociale, non possiamo solo contare ciò di cui siamo consapevoli. L’uso collettivo della tecnologia e dell’allocazione degli investimenti sono tutte decisioni esplicite, consapevoli, di cui possiamo avere una grande quantità di informazioni prima di compiere scelte collettive a riguardo.
Ma cosa fare invece per l’innovazione che è, per definizione, ciò che ancora non esiste e dunque che non può essere ancora ben concepito?
Come creare un’economia democratica e pianificata in grado di liberare anche le capacità produttive non ancora sviluppate? Come poter eliminare tutti gli ostacoli ai processi inconsci e impliciti che fanno nascere le grandi innovazioni tecnologiche, di quelle che segnano le differenze generazionali e che cambiano realmente il mondo e l’umanità in positivo?
Per il dilemma del tema dell'innovazione all'interno di un contesto di economia pianificata ci viene in soccorso David Kotz, economista marxista, all'interno del suo lungo articolo Socialism and Innovation (Long Version), a nostro parere il miglior focus teorico sull'argomento.
Innanzitutto Kotz delinea la successione dei processi socioeconomici che portano alla realizzazione dell'innovazione:
1) Invenzione, processo con il quale nasce un'idea per realizzare un nuovo prodotto o un nuovo processo produttivo
2) Sviluppo, ovvero il periodo di tempo necessario a trasformare l'invenzione ancora grezza in un prodotto in grado di soddisfare delle esigenze economiche
3) Produzione, in cui il nuovo prodotto – o processo produttivo – viene sperimentato nel tessuto industriale
4) Diffusione, processo con il quale l'innovazione viene propagata all'interno dei canali dell'economia
Affinché la nostra alternativa si stabilizzi e risulti davvero preferibile al capitalismo è assolutamente necessario che i processi di innovazione all'interno della nostra economia pianificata siano più efficienti di quelli capitalisti, nonché impostati in modo tale da soddisfare la volontà popolare.
Per stabilire cosa rende un sistema economico più efficiente nella gestione dell'innovazione tecnologica, possiamo porci 3 domande:
1) Il sistema riesce a garantire forti incentivi all'innovazione?
2) Il sistema riesce a garantire sufficienti risorse, tecnologia e manodopera per sostenere le esigenze concrete del processo innovativo?
3) Il sistema produce innovazioni che contribuiscono effettivamente allo sviluppo degli standard di vita della collettività?
A questo punto dunque Kotz fa un paragone tra come queste fasi del processo innovativo vengono gestite all'interno di vari sistemi economici. Fa l'esempio del capitalismo, del sistema sovietico e poi di una forma di economia pianificata democraticamente. Qui vedremo in modo riassuntivo solo il paragone tra il capitalismo e l'alternativa che abbiamo descritto fino ad ora.
È indubbio che il capitalismo crei delle condizioni oggettive che incentivano fortemente la nascita, lo sviluppo, la produzione e la diffusione dell’innovazione.
La competizione e l'incentivo al profitto creano un contesto economico che spinge ogni capitale operativo ad abbassare i suoi costi di produzione e uno dei modi per arrivare a questo fine è proprio attraverso le innovazioni nei processi produttivi. Chi taglia i costi per primo può guadagnare extra-profitti per un periodo di tempo – quello necessario a diffondere l'innovazione stessa in tutto il settore – e soprattutto ha più possibilità di rimanere in piedi durante delle crisi generalizzate.
Addirittura le stesse lotte delle classi subalterne (in particolare quelle della classe operaia) sono un'ulteriore spinta al processo di innovazione, forse la più potente di tutte. Durante i periodi più intensi di lotte sui luoghi di lavoro, di minaccia di espropri, di insubordinazione operaia e di lotta per la conquista del potere dal basso, il capitale è costretto a mettere in campo tutto il potenziale produttivo per dare il contentino, licenziare personale, reprimere le lotte o anche solo cambiare il contesto dello scontro e disorientare la classe nemica.
Quasi ogni nuova ondata tecnologica messa in atto dal capitalismo ha sempre un'origine di questo tipo.
Ma come ci avverte Kotz:
- "A un'indagine più attenta, i risultati dell'innovazione capitalista non sono così ovvi e positivi come suggerisce il resoconto di un qualsiasi libro di testo di economia. In primo luogo, la scienza di base non rientra nel quadro descritto. Il processo capitalistico non gestisce affatto bene la scienza di base, poiché per sua natura non è un'attività che genera profitti. Per questo motivo, nella società capitalista è stata organizzata e finanziata quasi interamente da istituzioni statali e private senza scopo di lucro. Il livello di impegno scientifico dipende da fattori diversi da quelli specifici del processo capitalistico"
L'economista marxista mostra come il capitalismo tiri il freno a mano al processo innovativo.
Spesso la competizione si concentra nel danneggiare gli avversari piuttosto che migliorare i propri processi produttivi; per le aziende è più facile copiare l'innovazione già fatta da altri, piuttosto che accollarsi i costi e i rischi di essere i pionieri; ma soprattutto non c'è nessuno strumento (se non la pressione politica di massa ben coordinata) che assicura che i processi innovativi siano in grado di contribuire davvero all'aumento del benessere collettivo. Questi sono solo gli ostacoli più evidenti, ma la lista prosegue per pagine intere nell’articolo.
Qui però vogliamo concentrarci sulle istituzioni, processi e pratiche diffuse che possono permettere una gestione efficace del processo innovativo, consapevoli che l'innovazione è un tema ancora molto aperto.
Stimolazione della ricerca e della scienza
Ovviamente non possiamo che partire dalla base oggettiva di ogni processo innovativo. La creatività, di cui l'innovazione è una delle sue articolazioni, ha bisogno di tempo e spazio, soprattutto di essere liberata dalle contingenze quotidiane per poter impostare il proprio lavoro nel lungo periodo e con i tempi necessari. Spesso per un decennio non succede nulla e poi invece la pentola a pressione della ricerca inizia a creare un circolo positivo di innovazione e creatività.
Data la sua natura imprevedibile, l'unica certezza che abbiamo per stimolare l'innovazione sono finanziamenti abbondanti per i settori di ricerca scientifici e tecnologici. La ricerca deve essere in grado di astrarre sé stessa dai tempi caotici e mutevoli della produzione quotidiana per poter avere spazio e tempo di concentrare i propri sforzi verso il lungo periodo e verso cambiamenti positivi per le masse.
Democrazia Liquida
Dei processi decisionali collettivi e un esercizio dal basso verso l'alto del potere politico-economico, ovvero le basi di una democrazia liquida e dislocata sui territori, sono sicuramente un ottimo metodo per mantenere l'innovazione agganciata alla volontà popolare. Dalla Pianificazione Comune, alle assemblee dei Consigli di Produzione, passando per i Community Center e i consorzi dei consumatori, l'innovazione dev'essere messa al centro di ogni discussione. Da quante risorse destinare alle nuove tecnologie, fino agli obiettivi che dovrebbe raggiungere, la democrazia liquida è uno strumento fondamentale per direzionare i nostri sforzi ad innovare i processi produttivi.
Ricompense per gli sforzi all'innovazione
Come affermato da Kotz,
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"Non solo i manager, ma tutti coloro che partecipano a una qualsiasi delle fasi dell’innovazione dovrebbero avere diritto a premi per l’innovazione di successo. Non è sufficiente presumere che i Consigli Operai innoveranno automaticamente: occorre comunicare loro, attraverso un sistema di ricompensa, che la società valorizza l’innovazione".
È importante che ci siano dei canali economici, politici, sociali e culturali, che comunichino l'importanza sociale dell'innovazione. Le ricompense possono essere di vario tipo: ricompense materiali, di prestigio, decisionali (più margine di libertà nello scegliere in che settore e posizione lavorare), morali ecc...
L'importante è che, insieme agli incentivi strutturali e sistemici all'innovazione, ci sia spazio anche per ricompense individuali a chi ha partecipato attivamente agli sforzi innovativi
Più Cooperative per la stessa industria
Ogni industria avrà bisogno di diverse Cooperative Sociali. Questo è fondamentale non per farle competere tra di loro (anche se, in determinate circostanze la competizione controllata può essere uno strumento utile), ma per poter comparare i loro punti di forza e di debolezza. Se vogliamo introdurre una nuova tecnologia all'interno di un settore non è meglio avere un gruppo eterogeneo di Cooperative Sociali, ognuna con la sua intensità di capitale, con la sua particolare combinazione di input produttivi, coi suoi macchinari specifici ecc...? In questo modo possiamo vedere in tempo reale gli effetti di una modifica ai processi produttivi in un campione variegato e dunque raccogliere più informazioni utili ad affinare e flessibilizzare le innovazioni stesse.
Monitoraggio delle Cooperative Sociali
Ovviamente abbiamo bisogno di strumenti prettamente tecnici e di monitoraggio. È fondamentale ricavare informazioni utili sullo stato tecnologico delle Cooperative Sociali. Capire quali sono più indietro e più avanti (e su quali fronti), applicare ad ognuna una versione specifica di nuovi prodotti (o processi produttivi) e aumentare il raggio di informazioni ricavabili è fondamentale per avere un'immagine sempre aggiornata dello stato dell'arte della produzione economica.
Capacità Produttiva di Riserva
Per poter dare concretezza alla flessibilità della pianificazione è necessaria una capacità produttiva di riserva. Se i Piani impiegassero tutti gli input di produzione a disposizione in un determinato periodo, non ci sarebbe lo spazio reale e materiale per cambiare tragitto in corsa, o per poter sperimentare nuove tecniche di produzione.
È necessario dunque calcolare una certa quota di impianti e infrastrutture da usare come riserva per crisi inaspettate, sperimentazioni sociali, o per mettere alla prova processi di innovazione. La pianificazione strategica dovrà occuparsi di mantenere abbastanza diversificati ed eterogenei quegli input che lasciamo come riserva produttiva.
Simulazioni
Come accennato nel Capitolo della Pianificazione (Sezione Network Comune) si sottovaluta l'importanza astronomica delle simulazioni. Le simulazioni ti permettono di sapere gli effetti di ogni piccolissima modifica produttiva senza dover effettivamente sprecare materie prime (se non per il minuscolo consumo di energia che prende la simulazione stessa). Si tratta di un risparmio di costi enorme su scala incalcolabile.
Le simulazioni sono una spinta importantissima per il processo innovativo perchè lo rendono meno rischioso e meno costoso.
Innovation Facilitation Board e Innovation Approval Board
Infine, Kotz propone anche due possibili istituzioni che possono facilitare il collegamento tra le prime due fasi del processo innovativo, la pianificazione, la democrazia liquida e la concretizzazione del nuovo prodotto o del nuovo processo produttivo.
Il primo è l'Innovation Facilitation Board (IFB), che si occuperebbe per l’appunto di facilitare i processi di innovazione su larga scala.
L'IFB è un'istituzione più tecnica che altro e avrebbe diverse funzioni: anticipare dei finanziamenti, ricevere le proposte di persone, enti, agenzie e cooperative sul tema innovazione e valutarle, e dovrebbe fare questo in un'ottica di medio-lungo periodo.
L'IFB, però, potrebbe confliggere in parte con alcuni principi democratici:
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"Determinare l'appartenenza all'IFB rappresenta un problema potenzialmente serio per il DPPS (Democratic Participatory Planned System). Supponiamo che, seguendo il principio di base di un sistema DPPS, l'IFB includa rappresentanti di tutti i collegi elettorali interessati dall'innovazione. Ciò potrebbe sovvertire la funzione prevista dell’IFB. Le innovazioni più importanti in genere hanno delle vittime e i costi potenziali possono essere più evidenti dei potenziali benefici quando l’innovazione è ancora in una fase iniziale. Una semplice applicazione del principio di ampia rappresentanza potrebbe bloccare lo sviluppo di nuovi prodotti e processi prima ancora che i loro potenziali benefici diventino evidenti"
Ma in realtà la tensione è solo apparente
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"Per essere in grado di svolgere il suo mandato, l'IFB dovrebbe discostarsi dall'usuale principio della piena rappresentanza delle circoscrizioni interessate. Dovrebbe essere un organo indipendente, magari composto da rappresentanti dei consumatori e da esperti di vario genere. Questa deroga alla prassi abituale sarebbe coerente con il principio alla base del DPPS, a patto che la decisione finale di implementare un'innovazione spetti a un consiglio rappresentativo.
L'IFB faciliterebbe e incoraggerebbe le fasi di invenzione e sviluppo di nuovi prodotti e processi. In queste prime fasi, non è ancora possibile identificare con precisione i potenziali benefici e costi sociali di un'innovazione. Sembra giustificato proteggere le fasi iniziali dell'innovazione da una decisione sociale finale, finché non sia stata sviluppata al punto da poter esprimere un giudizio ben informato su benefici e costi."
Ed è proprio su questa base che sorgerebbe l'Innovation Approval Board (IAB)
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"Tuttavia, la decisione di implementare un’innovazione dovrebbe superare la prova dettata dal cuore del processo di valutazione del sistema e raggiungere un compromesso tra tutti i collegi elettorali interessati. Ciò richiede una seconda istituzione, un Innovation Approval Board (IAB). Sarebbe costituito nel modo consueto, con la rappresentanza di tutti gli interessi rilevanti. Il suo ruolo sarebbe quello di determinare se un nuovo prodotto o processo proposto, emerso da una sovvenzione dell'IFB, debba ricevere il via libera per la produzione/introduzione"
La collaborazione tra le due agenzie permette all'economia di avere due fluidificanti del processo innovativo interni al sistema produttivo e non come elementi distinti.
Dal progresso tecnologico, dall'oculata gestione degli investimenti e dalla proliferazione dello spirito creativo e innovativo si edifica un sistema in grado di battere il capitalismo sul suo campo.
Continuare a mutare l'apparato tecnologico-sociale sulla base dei desideri delle nuove generazioni e abbassare il tempo di lavoro necessario alla produzione crea quell'humus economico da cui nasce l'abbondanza.
V.
Gestione dell’Abbondanza
Quest'ultimo capitolo tratta del grande quesito aperto a cui non solo i Movimenti anticapitalisti, ma anche l'umanità stessa, dovrà dare una risposta il prima possibile: l'abbondanza.
Una società si dice "dell'abbondanza" quando la maggior parte della sua produzione aggiunta è a costo zero. Significa che ha raggiunto un tale livello di sviluppo tecnologico-produttivo che una buona porzione dei beni viene creata utilizzando minimo sforzo e tempo umano, nonché minimo consumo di risorse naturali. In questo capitolo vogliamo innanzitutto esplorare meglio il vero significato nonchè le fonti oggettive e concrete dell'abbondanza; ma soprattutto vogliamo interrogarci su quali possono essere le possibili istituzioni economiche, pratiche comuni e processi sociopolitici capaci di liberare, produrre e distribuire abbondanza diffusa.
Per farlo prenderemo principalmente spunto dal capitolo "Verso la Macchina Gratuita" del libro Postcapitalismo dell'economista eterodosso Paul Mason, come punto di riferimento teorico che delinea le origini oggettive dell'abbondanza.
Innanzitutto è innegabile che il presupposto necessario affinché si possa anche solo parlare di abbondanza sia l'automazione.
Mason descrive il cambiamento repentino che c'è stato all'interno della fabbrica in cui aveva lavorato negli anni '80, mostrando l'automazione all'opera.
- “[Negli anni '80 dove lavoravo,] sopra di me c'erano due attrezzisti di presse, operai semi-specializzati che a intervalli di qualche ora riparavano l'utensile e lo riallineavano. Nella stanza accanto c'erano gli operai specializzati che fabbricavano gli utensili. Senza l'abilità delle nostre dita e un occhio attento a difetti, pericoli e procedure sbagliate, nella fabbrica non funzionava nulla.
Oggi lo stampaggio è quasi completamente automatizzato. L'operazione viene prima simulata su un computer, con migliaia di punti di rilevamento rappresentati in forma matematica per comprendere la pressione esercitata sul metallo. Poi un disegno tridimensionale viene inserito sul computer che controlla la macchina. Se qualcosa va storto il computer che controlla la macchina se ne accorge.”
“Queste macchine sono capaci di completare in un'ora quello che io facevo in un giorno senza difetti e senza il rischio di mani mozzate".
Il motivo per cui queste macchine sono "capaci di completare in un'ora" ciò che prima impiegava una giornata di tempo non sta nell'intensificazione della velocità delle macchine. Non è che il braccio meccanico si muove a cento all'ora.
Il motivo è dato invece dall'informatizzazione della macchina.
"A rendere possibile tutto questo" prosegue Mason "è una serie di applicazioni della tecnologia informatica: analisi computerizzata e progettazione tridimensionale nella fase preparatoria, feedback e analisi in tempo reale durante il processo, e, per il futuro, conservazione dei dati per facilitare l'affinamento del processo.
Insomma tutta la macchina vive di informazione, così come il prodotto.
- "L'autentica meraviglia dell'informazione non risiede nella sua natura materiale o immateriale, ma nella sua capacità di eliminare la necessità del lavoro su scala incalcolabile"
Ma l'informazione altro non è che la sintesi di un processo che lo stesso Karl Marx, profeticamente, descrisse già nell'Ottocento: il general intellect. Il general intellect è il livello della conoscenza collettiva generale in un determinato periodo storico. Nel capitalismo esso viene assorbito dalle macchine e si incorpora nel capitale fisso.
Più le macchine assorbono la conoscenza collettiva umana, più la potenza produttiva sociale aumenta e fa avvicinare la società ad un contesto di abbondanza generalizzata. Come spiegato nei Grundrisse:
- "Con lo sviluppo della grande industria, la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato (...) ma dipende invece dallo stato generale della scienza e del progresso della tecnologia, o dall'applicazione di questa scienza alla produzione... Non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l'uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante o regolatore.
In questa trasformazione non è nè il lavoro immediato, nè il tempo in cui egli lavora, ma è l'appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura, che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza."
L'informatizzazione è ciò che collega il general intellect alla produzione sociale. Attraverso l'uso di processi informativi, le macchine diventano intelligenti quanto basta per poter far andare la produzione in modo semi-automatico su scala globale.
Le simulazioni permettono di testare e sperimentare qualsiasi cosa senza bisogno di usare effettivamente le risorse necessarie a produrre materialmente gli esperimenti; la raccolta dati permette di affinare ogni piccolo processo che avviene nei luoghi di produzione; gli algoritmi sono in grado di riarrangiare da un giorno all'altro intere catene logistiche nel modo più efficiente possibile. E la lista prosegue.
Tutto grazie all'informazione, che permette di trasformare il general intellect in potenza produttiva abbondante.
Occorre discutere a questo punto di quello che potrebbe sembrare un paradosso (o peggio una contraddizione) intrinseco all'impostazione politica della sinistra radicale.
Il paradosso in questione sta nella logica secondo cui l'alternativa al capitalismo debba essere economicamente migliore, più produttiva ed efficiente, ma al tempo stesso ecologicamente sostenibile.
Com'è possibile volere più lusso per tutte le persone ma senza l'inevitabile spillover climatico che ne deriva?
La risposta a questo dilemma sta proprio nel produrre merci a costo zero. Nell'espressione a "costo zero" infatti intendiamo anche zero (o minimo) consumo di risorse.
Ad esempio se avessimo una tecnologia in grado di catturare l'energia del sole e distribuirla a tutto il Mondo, a quel punto la produzione energetica sarebbe a costo zero in quanto ogni unità aggiuntiva erogata non necessiterebbe né di ulteriore lavoro umano, né di consumo di risorse naturali. Lo stesso vale per le maree e per tantissimi altri fenomeni naturali da cui si potrebbe ricavare energia senza consumare nulla.
L'abbondanza è dunque il collante tra una società abbastanza produttiva da garantire benessere collettivo e abbastanza attenta da rispettare i vincoli ecologici imposti dal Pianeta.
Tutti gli strumenti in grado di superare la scarsità sono in grado sia di liberarci dalla necessità di lavorare, sia di risolvere la crisi climatica.
Una società abbondante permette all'umanità di poter sperimentare, oziare, dilettarsi e dormire sapendo che al proprio risveglio la produzione sociale ha continuato ad operare senza intoppi e senza prendere dal Pianeta più di quello che ci può offrire.
Per questi motivi l'abbondanza è il faro che dovrebbe muovere ogni progetto politico che vuole davvero superare il capitalismo.
Al contrario la scarsità e la conseguente lotta per la sussistenza è stata storicamente il motore delle peggiori forme di oppressione e sfruttamento. La necessità di sopprimere le proprie pulsioni per poter provvedere alla riproduzione dei propri corpi e delle proprie relazioni sociali ha spesso giocato un ruolo fondamentale nel creare forme di disuguaglianza sistemica. D'altronde non c'è nessuna legge metafisica che impone l'equa distribuzione della fatica e della repressione dei propri desideri.
Anzi, gran parte della storia umana si è fondata proprio su questa disuguaglianza: le classi al potere hanno fondamentalmente accollato il peso del sostenimento sociale sulle classi oppresse, prendendosi tutti i meriti e i privilegi.
La divisione in classi economiche ad esempio nasce dall'iniqua distribuzione del lavoro produttivo che è a sua volta un processo necessario solo in un contesto di scarsità economica; il patriarcato si fonda sulla necessità di scacciare il fantasma della scarsità di forza-lavoro attraverso il controllo del corpo riproduttivo. Allo stesso modo lo schiavismo, il colonialismo e il razzismo sono stati possibili anche per colpa della scarsità economica.
Più una società è abbondante e prospera, meno incentivi ci sono per riprodurre condizioni di oppressione, competizione o sfruttamento: se tuttə possono avere realmente accesso totale ai mezzi di sussistenza c'è sicuramente meno bisogno di sgomitare o comandare per vivere meglio⁹ Per approfondire bene la relazione tra scarsità economica e repressione (sia sociale che individuale) consigliamo la lettura dei primi capitoli di Eros e Civiltà di Marcuse. .
La vera questione dunque è come liberare e riprodurre l'abbondanza stessa. Ad esempio, se le industrie che creano le tecnologie post-scarsità non fossero più in grado di produrre tutto il castello crolla.
Inoltre dobbiamo considerare che la soglia della scarsità non esiste davvero: più che a due campi distinti separati da una linea, dobbiamo immaginare abbondanza e scarsità come le due estremità di uno spettro. Abbiamo bisogno dunque di strumenti che ci permettano di monitorare quali industrie si avvicinano di più o di meno alla parte abbondante e trattarle di conseguenza.
Dobbiamo essere in grado di distinguere tra prodotti e servizi che sono abbondanti perché il loro costo è davvero irrisorio e quelli che lo sono come semplice eredità della sovrapproduzione del mercato. Ad esempio se prendiamo una canzone essa è effettivamente abbondante in quanto (una volta creata dall’artista) basta un semplice tasto copia-incolla a produrne una nuova unità; invece i vestiti sono in abbondanza perché ne abbiamo prodotti ben di più di quelli che una persona può indossare ragionevolmente in un anno. Questi sono due tipi di abbondanza qualitativamente diversi.
In poche parole dobbiamo fare lo sforzo di immaginarci quali strumenti economici odierni o nuovi potranno essere utili ad accompagnarci ad una società realmente abbondante.
In primis possiamo sicuramente riprogrammare alcune forme di gestione economica già esistenti in funzione della nostra alternativa.
A nostro parere processi di economia circolare possono essere funzionali alla gestione dell'abbondanza. Sappiamo bene che in questo momento ogni discorso sull'economia circolare è una grande opera di greenwashing fatta da "intellettuali" che vogliono darsi un tono da radicali senza mettere davvero in discussione lo status quo.
Al tempo stesso è innegabile che i principi dietro una vera economia circolare siano funzionali alla proliferazione dell'abbondanza: recuperare lo spreco è sicuramente un metodo indiretto per immettere nell'economia nuovi prodotti a costo zero (o comunque solo al costo fisso dell'infrastruttura logistica).
Per quei beni la cui abbondanza deriva dalla sovrapproduzione capitalista, l'economia circolare potrebbe essere un modello adatto.
Più che un modello economico totale però, la circolarità economica potrebbe essere un ottimo strumento facilmente integrabile nell’apparato pianificatore.
Il modello circolare dell'economia non arriva però alle condizioni strutturali dell'abbondanza, ovvero un regime di automazione diffusa e di bassissimi costi di produzione. Come abbiamo visto, le tecnologie digitali sono abbondanti perché lo sono anche i loro principali input di produzione – software e informazioni.
Per poter abbattere la scarsità c'è bisogno di investire in macchinari intelligenti, ultra-duraturi e in grado di autoriprodursi. In poche parole c'è bisogno di politicizzare oggi l'automazione a favore del 99%, così che domani possiamo usarla per diminuire le ore di lavoro al minimo possibile.
Senza automazione, info-macchine e digitalizzazione è impossibile costruire le basi dell'abbondanza.
Ovviamente non può mancare la pianificazione dei beni comuni. Open Software, Wikipedia, e diverse risorse naturali sono già utilizzabili come tali.
Ma cosa sono i beni comuni? Sono dei beni distribuiti socialmente in modo che il loro utilizzo sia accessibile a chiunque.
Essi hanno un rapporto dialettico fondamentale con l'abbondanza. Da una parte l'abbondanza è l'unica condizione che rende davvero sostenibile un regime economico fondato sui beni comuni. Senza abbondanza si creano problemi come quello della proliferazione dei "free rider", risolvibile solo attraverso un vero e proprio Stato di polizia.
Ma al tempo stesso i beni comuni sono la formula perfetta per usare l'abbondanza a favore della collettività, rendendola disponibile all'utilizzo ed evitando monopoli privati – come invece accade ora.
I beni comuni sono la colonna portante del nostro progetto postcapitalista e devono dunque essere in grado di assorbire le innovazioni esterne per poter tenere il passo col resto della società.
Per questo è necessario che una parte dell'apparato pianificatore sia dedicato alla gestione e alla stimolazione di progetti in larga scala à la Wikipedia, in cui le persone possono partecipare volontariamente alla costruzione di beni comuni abbondanti (a seconda dei loro interessi personali) e tutta la collettività ne riceve i vantaggi.
Soprattutto è necessaria una pianificazione che sia in grado di evitare sbilanciamenti tra persone che lavorano troppe ore ai progetti comuni e persone che ne godono i frutti senza contribuire.
Riconosciamo però che sono necessarie anche nuove istituzioni e nuovi strumenti per poter navigare le complesse acque dei beni a costo zero. In primis, abbiamo la necessità di dislocare su tutto il territorio centri di distribuzione dell'abbondanza, fondati tutti sul Metodo Biblioteca che abbiamo descritto due capitoli fa.
Swap Market, Centri di Mutuo Soccorso, Ambulatori Popolari, Biblioteche Autogestite… insomma dei luoghi materiali o immateriali che possano ricevere e distribuire l'abbondanza (anch'essa materiale o immateriale) sul territorio.
Per coordinare logisticamente questo nuovo settore economico non possiamo fare a meno della pianificazione, ma soprattutto del Network Comune, il mezzo più capace di rispondere e adeguare l'economia ai continui aggiustamenti a livello subconscio e locale.
Lasciare spazio all'iniziativa spontanea e collettiva, attraverso il Network Comune, è fondamentale soprattutto quando si parla di post-scarsità.
Infine, da un punto di vista più tecnico-burocratico (sì, purtroppo è necessario considerare anche quest'aspetto) crediamo che siano fondamentali delle agenzie pubbliche in grado di monitorare l'andamento dell'abbondanza. Queste agenzie hanno il compito di usare complessi modelli economico-matematici per riuscire a categorizzare le diverse industrie, beni e servizi in base al loro grado di scarsità o di abbondanza.
Non solo devono comprendere nel complesso quali industrie o Cooperative Sociali sono più vicine ad uno o all'altro limite dello spettro, ma anche essere in grado di distinguere i diversi tipi di abbondanza. Come già affermato, il motivo per cui i vestiti sono abbondanti è qualitativamente diverso da quello per cui i software lo sono, e le agenzie devono essere in grado di captare questa differenza.
Insomma - no abbondanza, no party.
Abbiamo ereditato dal capitale un apparato produttivo in grado di produrre e riprodurre abbondanza. Le infomacchine, l'automazione, le intelligenze artificiali sono armi a doppio taglio sia per il capitalismo, che per un'economia pianificata democraticamente.
Dobbiamo necessariamente liberare l'abbondanza repressa dal sistema odierno e poi sostenerla attraverso un complesso apparato economico-pianificatore, così da poterne godere tuttə.
Il comunismo è abbondanza, perché il comunismo è un sistema che abolisce ogni possibile incentivo a degenerare di nuovo nelle barbarie dello sfruttamento, dell'oppressione e delle disuguaglianze, tutte strutture sociali repressive che derivano in ultima istanza dalla scarsità economica.
Conclusione
In “How to Kill a Zombie: Strategizing the End of Neoliberalism” Mark Fisher viviseziona il cuore della strategia che ha reso il neoliberismo dominante dagli anni ‘80 in poi. Per farlo cita proprio l’artefice di questo progetto: Milton Friedman.
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“Solo una crisi, reale o percepita, produce reale cambiamento. Quando questo avviene, le azioni intraprese dipendono dalle idee che circolano in giro. Questa è la nostra funzione di base: sviluppare alternative alle policy esistenti, finché ciò che è politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”
E Fisher procede dicendo:
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“Il problema è che, sebbene la crisi del 2008 sia stata causata dalle politiche neoliberiste, queste stesse politiche rimangono praticamente le uniche “in circolazione”. Di conseguenza, il neoliberismo è ancora politicamente inevitabile.
Non è affatto chiaro se l'opinione pubblica abbia mai abbracciato con grande entusiasmo le dottrine neoliberiste, ma ciò che ha convinto la gente è l'idea che non ci sia alternativa al neoliberismo.”
I due grandi problemi cronici della sinistra postmoderna (quella rimasta quantomeno fedele all’anticapitalismo) sono stati un’incredibile incapacità strategica e un appiattimento della creatività politica nel prefigurare delle alternative attraenti, positive e realistiche, possibili anche con i mezzi odierni. Ma questi due problemi sono interconnessi: come fai a delineare una strategia che ti porta dal punto A al punto B se non hai un’idea chiara di cosa sia il punto B?
Per quanto i Movimenti durante il neoliberismo abbiano ampliato il terreno della lotta – con ad esempio l’intersezionalità – e abbiano sviluppato una buone dose di creatività critica (anche se a volte politicamente sterile), è mancata la creatività politica, sovversiva ed immaginativa per trasformare la realtà in cui viviamo, e non solo criticarla.
La vera creatività sovversiva sta nell’immaginarsi nuove forme economiche e politiche qualitativamente diverse da quelle odierne, riproducibili in larga scala e con i mezzi che abbiamo a disposizione oggi, senza sperare l’attesa di un Grande Evento, dell’Uomo Nuovo o della Rivoluzione Culturale. Con le persone e le risorse di adesso, cosa possiamo fare per cambiare il mondo in modo concreto, pratico e non-utopico?
Questo è uno dei nostri obiettivi, sia con questo articolo che con altri che pubblicheremo in futuro.
La pianificazione democratica dell’economia che abbiamo descritto è un sistema in grado di sostenersi sul lungo periodo, in larga scala e con le risorse disponibili, ammettendo un ragionevole miglioramento delle performance dell’apparato produttivo odierno. Abbiamo provato a descrivere un mondo in transizione dal capitalismo al comunismo, impegnato nella sfida di reprimere tendenze economiche reazionarie, servirsi degli strumenti ereditati dal sistema precedente a suo favore, sostenere la sua riproduzione sociale e al tempo stesso navigare le complesse acque che portano dallo sfruttamento sistemico ad una società dell’abbondanza.
In un contesto in cui l’ideologia dominante è incapace di formulare reali alternative allo schifo odierno (se non per false alternative di estrema destra), è necessario aggiustare il tiro e concentrare i nostri sforzi nel delineare un’alternativa plausibile, qualitativamente migliore e una strategia per arrivarci partendo dal presente così com’è. Altrimenti saremo condannatə alle illusioni, al pensiero magico o disfattista che permea la sinistra radicale odierna. E questo è il miglior regalo che possiamo fare ad un’estrema destra che sta ormai occupando ed egemonizzando le istituzioni dominanti.