01/09/2024
La Seconda
Metà
Di Agosto

La Politica

è Terrorismo
Le notizie della seconda metà di agosto.
#freepalestine

#proteste
Le notizie della seconda metà di agosto.

Questa fine di agosto ci ha ricordato che, in fondo in fondo, ogni atto politico è una forma di terrorismo.


La politica, lo Stato, il capitale – queste istituzioni hanno monopolizzato ogni forma di violenza reputata legittima.

Che si tratti di coercizione economica, della brutalità delle forze armate, o della sistematica repressione di forme di potere davvero democratiche, la politica usa la violenza – e il terrore che ne segue – per mantenersi in piedi e continuare a funzionare.


In Francia, Macron tiene in ostaggio un’intera classe politica pur di non concedere alla coalizione vincitrice l’esecutivo che le spetta.


Negli Stati Uniti, la Convention Democratica si è svolta di fianco ad una guerriglia urbana che ha coinvolto dellə attivistə contro il genocidio e le peggiori forze armate al Mondo. In Medio Oriente, Israele continua indisturbato a sterminare il popolo palestinese, per il decimo mese di fila.


Dal Kenya al Bangladesh, dal Sud America alla Germania e alle Filippine, il popolo è esploso in intense proteste, represse dal potere con ogni mezzo necessario (legale o illegale che sia).

In una società classista, la violenza è la base dello scontro politico.


Parlare di politica “non-violenta” è un ossimoro. Nel migliore dei casi, un’affermazione del genere rivela una profonda cecità davanti alla violenza perpetrata quotidianamente dalle Istituzioni. Nel peggiore, una frase del genere la pronuncia un esperto dirottatore, che usa la scusa della “non-violenza” per rendere inefficaci le strategie di chi vuole cambiare il Mondo.

Le istituzioni hanno manipolato la nostra percezione di violenza: un accoltellamento da parte di una persona araba è un brutale attentato; la morte di decine di migliaia di senzatetto è semplice sfortuna.

 

No Violenza, No Politica: ricordiamocelo sempre, specialmente quando un Capo di Stato pronuncia l’ennesimo discorso in favore della pace, e nel frattempo fornisce aiuti militari ai peggiori eserciti del Mondo.



Notizie effettivamente importanti

( Che i media mainstream se le siano cagate o meno )

Israele e gli Stati Uniti Voltano le Spalle agli Accordi di Pace
+

Una cosa è certa: se c’è bisogno di montare la realtà al contrario e rigurgitarla in faccia alla popolazione, i Media Mainstream dei Paesi Occidentali ci sono sempre. Soprattutto se gli ordini arrivano da tutte le forze politiche istituzionali, da destra e centro-sinistra.


Nessun altro apparato istituzionale si piega agli interessi della politica tanto quanto i giornalai europei e statunitensi.


Negli ultimi mesi, il più notevole colpo di classe sferrato dai giornalai è stato la narrazione dei negoziati di pace in Medio Oriente.


La storia va così: Gli Stati Uniti e Israele, da brave forze democratiche, provano ad impegnarsi per la pace in Palestina, ma quei pazzi di Hamas e dei palestinesi sono d’intralcio. I trattati di pace ovviamente ci sono, ma i terroristi non ne vogliono sapere.


Non è sicuramente la prima volta che i media mentono per appoggiare guerre in giro per il Mondo – basti guardare alla Storia recente, dall’accoppiata Iraq-Afghanistan, passando dal Vietnam, dalla Corea e da tutte le lotte di decolonizzazione in Africa.


La retorica è sempre la stessa: i nostri nemici sono dei terroristi/comunisti/pazzi/fondamentalisti; noi, invece, siamo brave persone, ma non si può mica fare pace con dei mostri. Siamo praticamente costretti a far guerra in modo preventivo.



In tutto questo, tra l’altro, Hamas sembra essere molto più moderato del previsto, stupendo addirittura i suoi stessi militanti.

Ha già ceduto su tantissimi punti, anche quando avrebbe potuto spingere. Parliamo di temi come la fine dell’occupazione dei coloni, la fine degli embarghi, la liberazione delle 9mila persone palestinesi nelle carceri israeliane e il risarcimento di tutti i danni sofferti in guerra.

Uno standard del genere è il minimo sindacabile, eppure Hamas ha chiesto ancora di meno.


Con Gaza completamente rasa al suolo, è Hamas – non Israele – che tira le giacchette dei diplomatici per intavolare dei trattati di pace.


A luglio, gli Stati Uniti avevano proposto un trattato di pace che accennava ad un potenziale Cease Fire e Hamas ha accettato la proposta in toto, ad un’unica condizione: la garanzia di un cessate il fuoco permanente ed il ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati.


Questa “modifica” richiesta da Hamas è in realtà la base, la conditio sine-qua-non per un trattato di pace degno di questo nome.

Che pace è se l’esercito israeliano non si leva dal cazzo, assicurando di fermare i bombardamenti?


Israele, ha tentennato per un mesetto davanti a questo “accordo”, e la notizia cade nel vuoto. Una manciata di settimane dopo (in questa seconda metà di Agosto); Israele accetta improvvisamente un altro piano di Blinken, stilato in una conferenza diversa, a Doha, guarda caso in assenza di Hamas.

Letteralmente due cazzo di bambini viziati.


Dopo Doha, tutti i giornalai hanno intonato in coro “Hamas deve accettare i trattati di pace!” nonostante le forze palestinesi siano le uniche a reclamare il minimo indispensabile affinché la parola pace abbia un senso.


Per l’Impero nulla è mai abbastanza: indipendentemente dal terreno già ceduto, da tutte le ingiustizie subite, c’è sempre qualche nuovo profitto che si può spremere dalla sofferenza, dall’oppressione e dallo sterminio di un popolo.

Ogni decisione presa dalla politica, ogni dichiarazione per la stampa, ogni storia raccontata dai media, ogni azione militare è finalizzata a questo scopo.


Abbiamo il dovere di far tornare un po’ di cinismo e di sospetto nel grande pubblico, specie quando il potere compie atti esplicitamente patetici pur di conservare i suoi privilegi.

Non ci aspettiamo che l’attuale democrazia diventi improvvisamente il “fucile in spalla agli operai”, ma dovrebbe essere quantomeno la sorveglianza e la revocabilità popolare nei confronti di politici e “tecnici” delle Istituzioni.

Omicidio sul Lavoro, Omicidio di Stato
+

Il 18 Agosto, Dalvir Singh – un bracciante agricolo nel Lazio – è stato ucciso sul posto di lavoro. L’ennesimo lavoratore razzializzato a fare questa fine.


È possibile che la notizia vi sia sfuggita. Rispetto alla morte di Satnam Singh un paio di mesi fa, non se n’è parlato quasi per nulla.


Il motivo? Dalvir Singh era un lavoratore a contratto regolare, con permesso di soggiorno e documenti in regola. Il governo dunque non ha potuto manipolare la notizia per prendersela con l’immigrazione “clandestina”, e l’alternativa era piuttosto scomoda. Chi si permetterebbe mai di andare contro gli investitori, anche fossero dei padroncini agricoli di merda nella Regione Lazio?


Anzi, andare contro di loro è ancora più pericoloso: la reale spina dorsale dell’estrema destra è la piccola borghesia, i più reazionari e falliti delle classi al potere.


Dati alla mano, i morti sul lavoro dipendono molto poco dalla bontà d’animo dei sindacati e dei padroni. Sono piuttosto le riforme concrete a supporto del lavoro o del capitale a fare la differenza.

Quando il braccio di ferro lo vincono gli operai, bisogna solo dare il tempo alle riforme di fare effetto, e in un paio d’anni il numero dei morti sul lavoro diminuisce. Quando vincono i padroni, non c’è scampo: il numero sale.


I fatti parlano chiaro, ed è da qui che bisogna ripartire per impostare la discussione dalla nostra parte.



In Italia, la stagione di lotta degli anni ‘70 ha portato ad una diminuzione vertiginosa delle morti sul lavoro relative al numero di occupati.

Negli anni ‘8o, le élite hanno ripreso in mano la situazione, e il numero è salito un po’ più su; la deindustrializzazione degli anni ‘80-’90, infine, ha riportato il trend ad un livello più basso.


Dagli anni 2000 in poi la tendenza è costante, e dal 2010 ha addirittura iniziato a salire.

Le ultime riforme di macelleria sociale hanno distrutto la legacy delle lotte sul lavoro del passato – lotte che, nonostante tutto, avevano conquistato regolamentazioni importantissime per la sicurezza sul lavoro.



Le morti sul lavoro hanno poco a che fare con questioni tecnico-legali. Piuttosto, dipendono dalle priorità della produzione. Più le priorità si spostano verso il profitto – si legga: i ricchi hanno vinto la lotta di classe – più cresceranno le vittime di questa crudele piaga sociale.

La tutela sul luogo di lavoro sarà raggiunta soltanto quando la classe lavoratrice imporrà le sue condizioni.


Se le morti sul lavoro dipendono dalla politica, allora possiamo dichiarare legittimamente che ogni persona morta sul posto di lavoro è vittima di un Omicidio di Stato, di cui i primi responsabili sono politici e Confindustria – il braccio e la mente dell’1% italiano.


Ormai è già tardi: dobbiamo istituire il reato di omicidio sul lavoro.

Ancora Stallo Politico in Francia
+

Visto che parliamo spesso della situazione politica francese, abbiamo pensato di scrivere un articolo decisamente più lungo del solito che racchiudesse in modo esaustivo le considerazioni che abbiamo maturato su questo tema.

Ne abbiamo parlato più nel dettaglio anche in questo articolo e in diversi episodi precedenti della Distopia in Tempo Reale.


Per scrivere questo testo abbiamo collaborato con il Collettivo Emile Lexert, in Val D’Aosta, che ci ha potuto dire qualcosa di più sulla struttura istituzionale francese, oltre che in generale del suo clima politico.


La Francia è una repubblica semi-presidenziale.

Per capire al meglio come funziona dobbiamo dare un’occhiata alla sua Costituzione, promulgata nel 1958 e che ha dato avvio alla quinta repubblica, fase nella quale siamo ancora oggi.


Essa è stata promulgata in un periodo di forte instabilità, causata dalla guerra d'indipendenza algerina.


Il 13 maggio di quell'anno infatti fu portato avanti un colpo di stato (guidato da esponenti dell’esercito e della comunità dei “Pied-noirs”, ovvero i francesi residenti in Algeria) che riportò De Gaulle alla guida del paese.

La nuova Costituzione (approvata in un referendum il 28 settembre 1958) è caratterizzata da un potere esecutivo molto forte e riprende la tradizione centralista dello Stato francese.


Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale, e ha il potere di nominare e dimettere il Primo Ministro, organizzare Referendum, sciogliere l’Assemblea Nazionale (solamente dopo un’anno dall’ultima elezione) e accentrare tutti i poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) in casi di emergenza.

Il PdR dispone di altri poteri, che però richiedono la controfirma ministeriale.


Il Parlamento, invece, detiene il potere legislativo è composto da 2 camere:


-> ’Assemblea Nazionale, composta da 577 deputati eletti a suffragio universale con eventuale ballottaggio
  • -> Il Senato, composto da 348 senatori, vengono eletti dai “grandi elettori” (deputati, consiglieri regionali, delegati dei consigli municipali)

  • Questa divisione comporta una forte divisione nel sistema parlamentare, con una forte differenza fra i partiti in base alla loro capacità di avere influenza nelle elezioni amministrative.

    Per esempio, il Partito Socialista e il Partito Repubblicano, che alla Camera dell’Assemblea Nazionale hanno un numero discreto di deputati, al Senato controllano invece la maggioranza dei seggi.


    Ovviamente però, la struttura istituzionale non causa le situazioni politiche, pone soltanto una base su cui esse si sviluppano. Esse sono mosse dal conflitto di classe.

    La situazione politica della Francia è peculiare da questo punto di vista, al di là della crisi istituzionale di questo periodo, che ha soltanto portato alla luce dei cambiamenti sociali più profondi.



    La Francia è all’interno del panorama europeo la Nazione che sta realmente superando il paradigma neoliberale e sta varcando le porte dell’ignoto.


    Dalle prime proteste di Occupy del 2010-2011, passando dagli eventi politici dal 2016 al Covid, le crepe del neoliberismo si sono allargate e gli equilibri politici, economici e sociali che lo avevano caratterizzato iniziano a crollare sotto i colpi delle esigenze del capitale stesso.


    Se si leggono i manifesti politici delle Europee, tutti i partiti si “dissociano” dalle politiche di Austerity che hanno firmato fino al giorno prima.

    Il neoliberismo non serve più a nessuno, neanche all’1%.


    L’allergia al potere che ha caratterizzato la sinistra radicale post-68 ha creato una situazione in cui a tutti puzza un po’ il neoliberismo, ma – in mancanza di un progetto politico di rottura e di larga scala a sinistra – solo l’estrema destra sta guadagnando politicamente da questo crollo.


    In Italia soprattutto, ma a turno in diverse altre nazioni europee (come la Germania, la Francia stessa e anche l’Inghilterra), le forze politiche alla destra di quelle neoliberali (i fascisti per intenderci), sono quelle che hanno fatto i balzi in avanti più significativi.


    Ma questi gruppi di estrema destra non hanno reale interesse a superare le contraddizioni del neoliberismo: si limitano solo a manipolare il disagio sociale del 99% e a scatenare fratricide guerre tra poveri.

    Il ché significa che, nelle nazioni in cui la minaccia politica reale del neoliberismo arriva da destra, il cambiamento è solo di facciata: il potere continua a marcire senza nessuna reale modifica.


    In Francia questo invece non accade.

    In mezzo a mille difficoltà il Movimento Francese è stato in grado di mantenere il difficile equilibrio tra spinta politica dal basso e presenza in Parlamento e nelle Istituzioni che contano, tra azione diretta e strutture politiche di larga scala.


    Il risultato è che solo in Francia dunque esiste una forza politica che costringe le altre a scoprire le carte, oppure a fingere meglio.

    Macron è costretto a usare misure esplicitamente autoritarie per frenare l’avanzata della sinistra radicale – scoprire le carte – e la destra è costretta a fingere di essere davvero “sociale” se vuole continuare a sopravvivere (fingere meglio).


    La classe operaia invece ha splittato il voto anti-Macron quasi perfettamente a metà tra NFP e RN al contrario di ciò che accade nel resto d’Europa in cui il voto operaio è assente oppure a destra.


    In questo senso dunque la Francia si erge come prima Nazione che sperimenta una situazione politica ben lontana anche solo dal 2017, quando Macron stravinse le elezioni e il Parlamento fu travolto da un’ondata di suoi rappresentanti.

    La sinistra ha un reale interesse a superare le condizioni del neoliberismo e questo si ripercuote a catena su tutto il resto della politica francese.


    La sinistra radicale francese ha imparato la sottile arte del riuscire a tirare la corda dalla propria parte, ad applicare la maggior pressione politica possibile e la mossa ha pagato. Dovremmo tutti prendere appunti.


    Questo non vuol dire che la situazione sia rosea. In Francia il voto in termini assoluti è stato comunque vinto dall’estrema destra e sembrerebbe che il Centro possa dare vita ad un ultimo noiosissimo governo neoliberale.

    Soprattutto se c’è una forza politica che in questo momento non ha perso la spinta è paradossalmente RN che può permettersi di prendere i popcorn e aspettare che Centro e NFP finiscano di scannarsi.


    Entrare in un nuovo paradigma politico non è facile: i momenti di transizione (politici, economici, o sociali) portano grandi opportunità, ma anche fallimenti spettacolari e brutali.

    Soprattutto non possiamo continuare a trattare l’estrema destra come una forza politica erratica, un fuoco di paglia.


    L’estrema destra è il vero nemico su cui i Movimenti dovranno scontrarsi in questo prossimo decisivo decennio politico.


    Il Centro ha perso ogni forza per portare avanti il suo progetto e i fascisti ne hanno approfittato meglio di noi. Globalmente hanno una rete più ampia, meglio strutturata e coordinata, in grado di stare all’interno delle masse, di manipolarle e di arrivare al potere. Lo dimostrano i fatti.


    La nostra strategia politica dovrebbe adeguarsi di conseguenza: bisogna prendere atto che si tratta di una sfida a lungo termine.


    Il presidente Macron è ben consapevole di questa crisi e sta usando il suo potere di nominare un nuovo primo ministro come leverage per i suoi interessi politici.

    Egli ha finora rifiutato 3 possibili primi ministri, uno dal Partito Comunista, il secondo dai Verdi e il terzo da una candidata indipendente vicina ai Socialisti.


    Ognuno di questi avrebbe proposto un governo senza la France Insoumise, il quale avrebbe dovuto dare un appoggio esterno senza ministeri. Come sempre, nonostante la sinistra si mostri più moderata, escludendo dal governo il partito più di sinistra, il potere non cede comunque di un millimetro.

    Se la stessa cosa fosse successa a destra, (governo di centrodestra senza Le Pen) Macron avrebbe già accettato.


    Che prospettive si aprono per la Francia? Le vie più probabili sono due.


    La prima, di un “campo largo” del blocco Macronista, i Socialisti e i Repubblicani. Questo potrebbe conservare la continuità gattopardiana del vecchio governo, garantendogli 279 seggi, non sufficienti per la maggioranza (ne servono 289), però permettendogli di governare (magari grazie a potenziali diserzioni tra i verdi e gli indipendenti).


    La seconda, una svolta a destra dell'esecutivo, con una più o meno limitata partecipazione della destra. Questo avrebbe conseguenze molto forti; la destra sarebbe costretta a votare riforme di stampo liberista del governo Macron, distruggendo la sua forte base fra i lavoratori e la piccola borghesia francese bianca.


    Secondo diversi sondaggi, infatti, gli elettori del RN votano quel partito anche perché vedono in esso l'alternativa più seria alla “macronie” parigina.

    Se il RN si “sporca le mani” potrebbe tradire le aspettative di una fetta importante della sua base.



    La Francia è un paese complesso, ma c'è un fattore di cui si parla poco.

    C’è un desiderio di rivalsa sociale che accomuna provincia e periferia contro la “macronie”.

    Essa è il sistema, inteso sia come gestione della politica e dello Status Quo.


    La macronie si identifica nella “Parigi bene”, benestante, con la puzza sotto il naso, progressista ma non troppo.

    Se mettiamo a confronto un ipotetico elettore medio della Francie Insoumise con uno dell’estrema destra, vedremmo da un lato una persona delle periferie e delle banlieue ghettizzate e dall’altra una persona dalla provincia.


    Ma la rabbia sociale è comune: il welfare è sempre meno presente, i salari sono bassi, il costo della vita è alto e manca il lavoro, specie per le giovani generazioni.

    Sulle città è stata la sinistra radicale a riuscire a costruire egemonia, mentre nelle zone di provincia la battaglia la sta vincendo l’estrema destra.


    Il risultato è che nelle periferie delle città la direzione della rabbia è dal basso verso l’alto, come hanno dimostrato le manifestazioni massicce portate avanti dal Movimento; nelle zone rurali si trasforma in odio xenofobo e misogino dall’alto verso il basso.


    Su questo il Movimento dovrà lavorare, nello “strappare” al RN le sezioni di operai e lavoratori autonomi della provincia e ridirezionare la loro rabbia sociale lontana da altre persone oppresse verso gli sfruttatori in Francia.


    La situazione di stallo politico in Francia sarà decisiva e avrà ripercussioni anche per il resto della politica europea.

    Il lavoro politico del 99% e delle sue Contro-Istituzioni ha permesso alla sinistra radicale francese di essere in grado di costruire un progetto politico che abbia un effettivo peso nelle decisioni della politica nazionale.

    Solo grazie a questo lavoro la Francia sta entrando in una nuova fase della politica, con nuovi equilibri di potere economici, politici e sociali.


    Nulla è predeterminato: la forma di questo nuovo mostro politico verrà modellata dallo scontro di classe e dalle strategie politiche di oggi.

    Il coordinamento e l’organizzazione del Movimento e della sinistra radicale francese devono essere in grado di sostenere la lotta politica in questo periodo decisivo.


    Nessuna strategia può essere risparmiata: non si può essere schizzinosi appena si sono messe le mani nella merda (le Istituzioni).

    Comunque finirà questo braccio di ferro, ciò che conta sono due cose:

    In primis che insegnamenti possiamo trarre da questa esperienza? Ovvero, quanto terreno possiamo guadagnare all’interno delle Istituzioni, quanto spazio di manovra c’è per mettere pressione allo Stato “dall’interno”?


    Ma soprattutto come rispondiamo nelle piazze, negli scioperi e con le strategie di azione diretta per rispondere allo scenario politico più probabile, ovvero di un’alleanza politica – più o meno esplicita – tra centro ed estrema destra?


    Nonostante in Francia stiamo vedendo i migliori risultati del lavoro politico del Movimento, al tempo stesso la sinistra radicale francese è solo all’inizio: ha la forza per mettere seria pressione alla politica, ma ora è arrivato il momento di usarla per rompere definitivamente col neoliberismo ed aprire un nuovo corso politico.

    Why is it trending?

    Perché stiamo ancora parlando di questo?

    Gli Unici Terroristi sono gli Stati Occidentali
    +

    Lo scorso 25 agosto un uomo in Germania ha accoltellato un gruppo di persone, uccidendone 2 e ferendone 8.

    Sembrerebbe un normalissimo (per quanto tragico) fatto di cronaca nera, se non fosse che l’Isis ha rivendicato l’attacco e dunque questo è immediatamente diventato un attentato terroristico, che richiede tutta la nostra attenzione.


    Risulta sempre più chiaro che l’utilizzo della parola “terrorismo” sia ormai un ornamento, un accessorio che si usa ogni volta che la violenza deriva da una forza politica che non piace all’Occidente.


    Su quale base un’azione è terroristica? Quando fa tanti morti e feriti?

    Se è per questo allora la NATO è la prima organizzazione terroristica, per non parlare dell’esercito israeliano.

    Quando incute terrore nella popolazione? Ma quello è il compito di ogni Stato: punire chi protesta e disobbedisce alle leggi – anche se ingiuste – così da dissuadere altre persone a fare lo stesso, attraverso proprio la paura di subire una punizione.


    O anche solo supportare militarmente Israele nella spedizione punitiva collettiva nei confronti del popolo palestinese non è terrorismo?



    È inutile inseguire il segreto di Pulcinella: la differenza tra un’azione terroristica e un’operazione militare è l’etnia di chi compie il gesto – o di chi lo rivendica.

    Se è un borghesotto americano che spara nella sua scuola è un gesto di una persona traumatizzata; se la stessa azione la fa il suo compagno di banco arabo allora è terrorismo.


    Se la polizia usa metodi di guerriglia che arrivano all’equivalente della tortura secondo i report delle organizzazioni umanitarie, si parla di qualche mela marcia, ma nulla di cui preoccuparsi.

    Se un tipo accoltella delle persone per strada in nome dell’Isis allora è la più pericolosa azione terroristica al Mondo.



    Da qualsiasi punto di vista oggettivo, i primi terroristi sono le forze armate statali e le Multinazionali belliche: uccidono e torturano più persone all’anno dei “terroristi islamici” e sono responsabili di flussi di armi globali, che ammontano a migliaia di miliardi di dollari.

    Soprattutto, sono loro a usare l’arma del terrore tra la gente per ottenere ciò che vogliono.


    La maggior parte delle cose che evitiamo di fare non sono per paura di essere uccisə da un terrorista, ma per paura di andare in prigione.


    Il governo tedesco sotto sotto questo lo sa e, invece di andare alla causa del problema – l’imperialismo e il colonialismo occidentale che hanno devastato il resto del Mondo – si muove per attuare una ridicolissima stretta legale sui “coltelli”.


    Perché d’altronde se il terrorista non avesse avuto accesso ad un coltello sarebbe cambiato tutto. Un altro problema risolto dai grandi statisti che ci governano.

    Meno male che esistono i governi liberal-”democratici” a salvare di nuovo la civiltà occidentale….


    Gli unici veri terroristi sono gli Stati, specie quelli Occidentali colonizzatori che hanno costruito la loro ricchezza sul furto violento e costante di risorse alle Nazioni del Sud Globale.


    Non hanno alcuna legittimità di decidere per noi cosa viene considerato terrorismo e cosa invece “effetto collaterale”.

    Sono criminali e vanno trattati di conseguenza.

    La Distopia Colpisce Ancora

    Non ci aspettavamo nulla, però porco d-

    Il Perverso Rapporto tra “Scuola del Merito” e “Precarietà”
    +

    Da quando ha messo piede (di nuovo) nelle Istituzioni, Valditara ha provato a presentarsi come un riformatore della scuola, in grado di prendere decisioni difficili in momenti decisivi e trasformare realmente una scuola poco funzionante.


    In particolare, Valditara ha provato a plasmare la sua immagine sulla modernizzazione.

    Ovviamente questo termine – che di per sé non vuol dire niente – viene usato come facciata per giustificare intrusioni dei privati nei programmi scolastici e forme di parziale privatizzazione (come nel caso della riforma 4 + 2 sugli Istituti Professionali).


    La “modernizzazione” neoliberale si è sempre presentata come una forza capace di scardinare la burocrazia e semplificare i processi economici delle Istituzioni. Di conseguenza, le persone avrebbero lavorato con stipendi più alti, in condizioni migliori.



    La realtà è che Valditara sta mostrando tutta la sua inadeguatezza.

    Il “Liceo Made in Italy” è un fallimento spettacolare; la folata effimera di occupazioni studentesche dell’anno scorso (un anno sicuramente “di magra” da questo punto di vista) ha sbilanciato il precario equilibrio del ministro. Valditara ha immediatamente evocato il valore della "disciplina" e dell'"umiliazione", giusto perché possiamo difendere anche i fascisti pur andare contro ai collettivi di sinistra.


    Soprattutto, è stata la cosiddetta “modernizzazione” di stampo neoliberale a mostrarci il suo vero volto, esplodendo in un picco di precarietà.

    Dal 2018 ad oggi, lə professorə precariə sono passati da 123 mila a 223 mila, praticamente quasi il doppio. Il numero non è mai stato così alto.


    Questo governo ha voluto fin da subito rendere esplicita la volontà di trasformare la scuola, da un “diplomificio” alla “Scuola del Merito”.

    Questa retorica è in realtà – come sempre – solo una scusa per giustificare enormi disuguaglianze sociali all’interno delle scuole, per motivare ulteriori tagli ai fondi pubblici e abbandonare il personale scolastico nel suo vortice di povertà.



    Dagli anni ‘70 ad oggi, ogni industria è stata rivoluzionata dalle nuove tecnologie – o ci si adatta, o si finisce travolti.

    La scuola, dal canto suo, non ha cambiato nulla. Era ed è noiosa, disciplinare, Fordista.

    Con i mezzi che abbiamo oggi, la scuola potrebbe davvero essere il primo esperimento reale di un’Istituzione sociale capace di trasmettere conoscenze, curiosità e competenze in modo disinteressato (dal profitto), critico e interattivo.


    Una società che smette di investire nella scuola ha altre priorità. L’importante è bloccare ogni forma di conoscenza (e quindi potenziale emancipazione) della società. L’importante è riportare l’istruzione alle sue impostazioni di fabbrica, il tutto spendendo il minimo indispensabile.

    La scuola sta diventando una fabbrica, il cui unico compito è sfornare lavoratori obbedienti.


    Le generazioni giovani non sono stupide né pigre: è la scuola che è arretrata.

    Il Movimento (specie in Italia, dove l’istruzione porta ancora l’impronta fascista) dovrebbe essere in grado di porsi alla testa di un vero processo di modernizzazione della scuola, che usi le migliori tecnologie per riscoprire il piacere di imparare le cose attraverso il gioco, la curiosità e l’esplorazione critica della realtà.

    Israele, Poliomelite ed Efficienza Genocida
    +

    Stando alle ufficiali priorità della linea difensiva Israeliana, sembrerebbe che l’esercito di Netanyahu sia organizzato di merda, ed abbia pressoché zero competenze sul campo.


    Se davvero l'obiettivo fosse eliminare Hamas, ed Hamas sta effettivamente usando la popolazione di Gaza come “scudo umano”, bombardare a tappeto un’intera città non è il modo migliore per gestire la situazione.

    È come se una banda di ladri stesse rapinando tre banche, ognuna con una manciata di ostaggi, e per sbloccare la situazione la polizia iniziasse a bombardare l’intera città.

    Ok che le forze armate non sono sveglie, ma lo sa anche il digossino che ti controlla il cellulare che questo metodo non avrebbe alcun senso.


    Dopo tutto, Israele è supportata dell'intero Occidente, gestisce servizi di intelligence surreali e comanda un esercito sovra-finanziato da Stati Uniti e Unione Europea.

    Israele ha a disposizione le migliori forme di AI e l’avanguardia delle tecnologie digitali. Dovrebbe essere capace di compiere attacchi sempre più precisi, missili sempre più veloci e sistemi di autodifesa sempre più potenti.


    Vuoi vedere che forse le priorità di Israele sono diverse? Che la sua unica intenzione è far tabule rasa del popolo palestinese, di generazione in generazione, così da poter controllare sempre meglio risorse e forza-lavoro che non gli appartengono?


    Dovremmo essere più spesso diffidenti di chi parla di efficienza in termini assoluti (negativi o positivi che siano). L’esercito israeliano ha portato avanti uno sterminio nel modo più efficiente di sempre.

    L’efficienza è un mezzo, non un fine.


    La diffusione della Poliomielite a Gaza è un esempio lampante dei reali obiettivi israeliani.


    Già un mese fa il virus è stato trovato nelle fogne palestinesi. I soldati Israeliani sono stati vaccinati, ed il genocidio è andato avanti.


    Israele non solo ha ignorato le direttive internazionali, ma addirittura fha facilitato il contagio, come testimoniato dalle dichiarazioni dell’ex Generale della Sicurezza di Israele, Giora Eiland.


    Ad oggi, secondo Il direttore del programma per le emergenze sanitarie dell’OMS, Mike Ryan, “per fermare il contagio e impedire la diffusione internazionale della ​​poliomielite [...] è necessaria una copertura di almeno il 90% in ogni round della campagna.”


    Solo adesso, dunque, che la situazione è diventata davvero insostenibile, l’esercito israeliano ha accettato di condurre una pausa dai combattimenti. Una pausa di tre giorni, limitata ad alcune zone, per permettere la vaccinazione dei 640 mila bambini palestinesi.

    Già tra 4 settimane, sarà necessario un secondo round di vaccinazioni.


    Indipendentemente da come andrà, Israele sarebbe ben contenta di lasciare che la Poliomielite faccia strage in un popolo che sta già morendo di fame, un popolo “scomodo” che l’esercito ha ridotto ad un gruppo disperato di sfollati.


    La politica è terrorismo. Israele ne è sempre di più la prova.

    La Dittatura Americana Mostra il suo Vero Volto
    +

    Gli Stati Uniti sono in crisi. Sarebbe una buona notizia, se non fosse che (come abbiamo spesso ripetuto) il vuoto di potere è ormai stato colmato dall’estrema destra.


    I conservatori cristiani fondamentalisti sono stati in grado di tirare la corda del Partito Repubblicano dalla loro parte, mentre la sinistra radicale ha fallito sia nello spingere i Dem a sinistra, che nel creare forme parallele di contropotere fuori dalle Istituzioni.


    Queste elezioni stanno evidenziando tutto il marciume della politica americana.


    Trump non può più fingere di essere un outsider e viene esposto per quello che è: una versione più brutale dello Status Quo.

    I dem, dall’altra parte, continuano con la vibe-politics, usando la qualità principale di Kamala Harris (il possesso di una vagina) per provare a coprire i loro crimini di guerra.


    Ad oggi Harris non ha una piattaforma politica, se non forse dare 20 miliardi a Israele mentre fa gaslighting sul “lavorare duro” per un cessate il fuoco – my sister in Christ, you’re the fire, just cease it.



    È proprio in queste situazioni che emerge la vera faccia della “democrazia americana”, un’oligarchia dittatoriale con due ali: l’ala di estrema destra e l’ala di centro-destra.


    Ad oggi però, guardando le dichiarazioni dei due leader, queste due ali si assomigliano sempre di più.

    Trump e Harris dicono le stesse cazzo di cose. Questa campagna elettorale racchiude tutto ciò che c’è di distopico al centro dell’Impero.


    La Convention Democratica ha toccato il punto più basso della storia politica recente statunitense. Hanno parlato repubblicani contro l’aborto, poliziotti, conservatori, merde di ogni tipo, mentre nessuna delegata dem pro-Palestina ha poturo parlare alla Convention del suo stesso partito.

    Insomma, il Partito Democratico è aperto e tollerante quando si parla di persone che vogliono limitare i diritti di autodeterminazione delle donne, ma tracciano la linea a chi protesta contro un genocidio.

    Anzi, le proteste a favore del popolo palestinese vengono represse violentemente e con l’esercito schierato.



    Gli Stati Uniti non possono fare lezioni di democrazia a nessun altro Stato fino a quando non puliranno la loro merda politica.

    I due partiti sono finanziati dalle stesse Multinazionali, le loro posizioni politiche indistinguibili, la corruzione è legalizzata ed è la parte fondamentale del processo elettorale statunitense.


    Addirittura il Partito “progressista” è disposto a rischiare di perdere le elezioni pur di continuare a finanziare un genocidio e prendersi i soldi della Lobby americana più influente “AIPAC”.


    Ricordiamoci di queste merdate ogni volta che qualche infame della politica degli Usa si permette di dire quale Stato in Sud America – o altrove – non sta rispettando le “procedure democratiche”.

    What the Fuck?

    Che dire, a volte certe notizie ti lasciano senza parole.

    Arianna Meloni non Conta un Cazzo?
    +

    L’apparato mediatico dell’estrema destra – capeggiato da “Il Giornale” – mostra ancora una volta i muscoli affinando sempre di più l’arte della manipolazione mediatica mentre tirano la corda del discorso pubblico sempre più dalla loro parte.


    Questa volta si parla di una fantomatica caccia alle streghe nei confronti di Arianna Meloni, vittima – poverina – di un attacco alla democrazia delle toghe rosse comuniste. È sempre più bella la “distopia” immaginata dall’estrema destra, fatta di comunisti al potere, distruzione della civiltà occidentale e sesso libero e non-eteronormato. Un sogno che si avvera, se non fosse solo nella loro testa.


    D’altronde Arianna Meloni dovrebbe davvero essere processata, visti i contatti che ha con una forza politica conclamatamente fascista – la giovanile del suo partito –, nonché responsabile di nomine molto dubbiose e contatti illeciti con i Nazi duri e puri.

    Il chè rende tutto ancora più surreale: l’estrema destra frigna per accuse politiche che non esistono, ma che dovrebbero esistere.

    Come direbbe il loro amico Vannacci: “Il mondo al contrario”.



    Dovremmo smettere di trattare questi personaggi come persone “stupide” o “ignoranti”: l’estrema destra sa benissimo cosa sta facendo.

    La storia della sorella di Giorgia Meloni è un’operazione consapevole della destra che misura il suo potere mediatico.


    Quanto riusciamo a tirare la corda e a imbrigliare i media “avversari” del centro-sinistra? Questa è la domanda a cui provano a rispondere sempre questi giornalai fascisti.

    Se da una parte il centro-sinistra ci casca sempre, perché loro sono davvero degli idioti senza spina dorsale, dall’altra la nostra contro-narrazione è penosa in termini di numeri.

    Nessuno sa un cazzo di come la pensiamo.



    L’infimo livello toccato dal discorso politico di oggi non è solo colpa della destra o dei liberali, ma è anche colpa nostra.

    Dov’è il nostro apparato mediatico? Dove sono le assemblee di grandi associazioni giornalistiche anticapitaliste che si coordinano globalmente per indirizzare una linea narrativa comune, di rottura, chiara e brillante?

    Quali sono le nostre strutture reali in grado di dare l’equilibrio al Movimento tra azione diretta e propagazione fitta delle nostre idee?


    Fino a quando non ci svegliamo e ci scrolliamo di dosso l’allergia al potere e alle strutture di Movimento di larga scala continueremo a vedere queste merdate politiche.

    E noi non ne possiamo più.

    Good Ending

    Perché succedono anche cose belle

    Un’Estate Incandescente
    +

    Se si cerca “Sud America Proteste” su Internet, ogni risultato cita delle fantomatiche proteste “anti-Maduro”, diffuse in tutto il Sud America. Un italianə qualunque che apre Google per informarsi sul clima politico sudamericano arriverà alle solite conclusioni: il Sud America vuole tanto, tanto bene all’Occidente (d’altronde, siamo noi i buoni della Storia) e si ribella contro la “dittatura di sinistra” che li tiene in ostaggio.


    Se come noi vi siete sforzatə di aggiungere alla ricerca le giuste parole chiave e magari il nome di un paio di giornali indipendenti, allora forse siete riusciti a trovare un articolo decente, e sapete già cosa sta succedendo davvero.


    In Perù, il popolo scende nelle strade e nei cantieri per bloccare dei nuovi siti di estrazione mineraria che rischiano di danneggiare gli acquedotti e inquinare l’acqua.


    In Argentina, la popolazione si sta organizzando da mesi contro il Governo Milei, in una serrata colpo su colpo.

    La pressione messa in campo dal 99% argentino è stata così alta che il Parlamento ha corretto il tiro sulle ultime riforme ed ha aumentato le buste paga delle pensioni. Questa mossa non è piaciuta a Milei che, da bravo dittatore e servo degli interessi statunitensi, ha immediatamente imposto il veto.


    In Bolivia, la classe operaia, coadiuvata dalle sue istituzioni dal basso, ha messo in campo scioperi a macchia contro inflazione e abbassamento dei salari.


    Dopo il tentato Colpo di Stato, gli Stati Uniti ed il mercato internazionale hanno rafforzato la presa, chiudendo il governo di Luiz Arces in una strada senza uscita. La classe operaia boliviana sta attaccando da sinistra un governo che essa stessa ha votato, a dimostrazione che il voto da solo non basta e bisogna sempre lottare per guadagnarsi i propri diritti.


    Le parole dei giornalai ci dicono ben poco su queste notizie, o, se ce le raccontano, le raccontano al contrario. Il caso del Sud America non è affatto unico nel suo genere, anzi. Ad agosto l’ondata di proteste si è propagata quasi ovunque.


    In Bangladesh, continuano le proteste dellə studentə, che hanno messo in guardia anche il nuovo governo provvisorio (un governo comunque moderato), spingendo per una transizione democratica e di giustizia sociale.


    In Kenya, il popolo intero si è sollevato contro i tentativi autoritari del governo Ruto, che sta cercando di attuare il pacchetto di riforme imposto dal Fondo Monetario Internazionale – un progetto non solo impopolare, ma addirittura incostituzionale. Il popolo, guidato dalla Gen Z, sta mettendo a ferro e fuoco la nazione, protestando contro l’impennata dei prezzi e per mantenere i propri diritti sociali.


    In India, continuano le proteste a seguito del femminicidio di una specializzanda del Bengala Occidentale, brutalmente uccisa la notte del 10 agosto. Questa settimana i manifestanti hanno chiesto le dimissioni della prima ministra bengalese, marciando per le strade di Calcutta contro i lacrimogeni della polizia. Le proteste vanno avanti da settimane e non accennano a fermarsi.


    Negli Stati Uniti, durante la Convention dei Dem a Chicago, dei gruppi di attivisti contro il Genocidio in Palestina si sono scontrati con la polizia, in una vera e propria guerriglia urbana.

    Il massiccio intervento delle forze armate davanti alle decine – se non centinaia – di migliaia di manifestanti non ha arrestato le proteste. Sembra anzi che l’estate abbia solo che rinvigorito la forza del Movimento statunitense.


    Infine, lə lavoratorə del trasporto pubblico nelle Filippine hanno si sono organizzatə in uno sciopero massiccio contro una nuova riforma, che abolirebbe i ‘Jeepneys filippini’, dei mezzi di trasporto iconici nelle Filippinee usati dalla maggior parte della popolazione per via della loro incredibile accessibilità. minacciando di far perdere il lavoro ad una sostanziale fetta di forza-lavoro nel settore.

    Abolirli significherebbe far perdere il posto il posto ad una sostanziale fetta di forza-lavoro nel settore dei trasporti, e provocherebbe un’impennata dei costi nel bel mezzo di una crisi globale inflazionistica, di fatto trasformando il trasporto in un lusso che nessun membro della classe lavoratrice può permettersi.


    Il mese di Agosto ci ha mostrato che la lotta non va in vacanza, almeno non nel Sud Globale.


    Nel cuore dell’Impero, i Movimenti stanno facendo fatica a sfruttare tatticamente la vicinanza maggiore con la cabina di comando del potere.

    La fine delle “vacanze” dovrebbe ricordarci che, se vogliamo uscire da questo loop di burnout lavorativo e tempo libero finanziato a colpi di debiti, abbiamo bisogno di un cambio strategico anche in Occidente.


    Manchiamo solo noi all’appello.


    Potete trovare le fonti delle proteste citate sul canale telegram e pagina instagram di Redstreamnet.