15/10/2024
A Morte
il Sacrificio
La Prima Metà di Ottobre.
Le notizie della prima metà di Ottobre.
#freepalestine
#cambiamentoclimatico
La nostra società – senza eccezioni – esalta e romanticizza il sacrificio. Sul posto di lavoro e in famiglia, nelle organizzazioni di Movimento e nei rapporti di coppia, “fare un sacrificio” è universalmente riconosciuto come un segno di maturità ed eroismo.
Per carità, sicuramente non si può avere tutto. Il sacrificio è per forza di cose necessario, almeno fino ad un certo punto.
La politica, però, strumentalizza questa retorica per scaricare le conseguenze della crisi sulle spalle della povera gente, che così può sentirsi eroica e tenace mentre assiste al saccheggio del proprio futuro.
Il Governo Meloni scrive una manovra di bilancio che guarda caso pretende sacrifici solo dalla classe operaia, precaria e povera; negli Stati Uniti, le persone sfollate dagli uragani sono costrette ad accontentarsi di sussidi ridicoli, praticamente un paio di spiccioli ripescati dal fondo del portafoglio di Biden, perché la priorità economica degli USA rimane armare Israele; in Argentina, Milei ripropone ad oltranza il valore del sacrificio, nel tentativo disperato di giustificare gli aggiustamenti economici imposti dal Fondo Monetario Internazionale (e accettati passivamente dal dittatore).
Purtroppo, anche i Movimenti cadono spesso in questa retorica.
I “sacrifici” necessari per le mobilitazioni in favore della Palestina hanno dato vita a decine se non centinaia di migliaia di piazze in tutta Europa: un’overperformance che in cambio ci ha lasciato ben poco, se non una stanchezza fisica e psicologica dilagante e la violenza gratuita degli Stati di Polizia occidentali.
Il sacrificio non è una virtù, ma un peso che le classi sociali si rimpallano vicendevolmente. L’Austerity imposta dall’oligarchia dell’1%, ad esempio, altro non è che un’intera struttura eretta per ottenere sacrifici dalle classi precarie, operaie e povere.
Per spostare gli equilibri di potere, dobbiamo rifiutare la retorica del sacrificio e costruire un paradigma nuovo, all’avanguardia, che pretende dei cambiamenti tangibili.
Ad oggi, il sacrificio per la causa pervade la retorica nei luoghi di estrema sinistra e spesso degenera in militanti in burnout mentale e pervasi da sensi di colpa.
È chiaro che così non non andremo mai da nessuna parte.
La capacità performativa di cui tanto ci vantiamo non è in grado di cambiare il mondo. Continuare ad invocare sacrifici invece che risultati tangibili non è un ottimo modo di attirare persone all’interno delle nostre strutture politiche.
Gli scioperi e le occupazioni in Argentina e le mobilitazioni in Kenya di questi mesi e tutti i grandi Movimenti rivoluzionari e conflittuali della Storia hanno conquistato legittimità popolare perché offrivano qualcosa in più al 99% e non qualcosa in meno.
I moralismi, i sacrifici e la povertà economica di cui ci siamo fattə paladinə non fanno altro che rallentarci. Per vincere, dobbiamo offrire un futuro migliore, emancipato, frizzante – possibile.
( Che i media mainstream se le siano cagate o meno )
Quando il Cambiamento Climatico si Abbatte sull’Occidente
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Il mese scorso, abbiamo riportato i danni causati dai devastanti incendi nella Foresta Amazzonica. “Quando a bruciare è un paese lontano,” scriviamo nell’articolo, “possiamo fare finta che non stia succedendo niente”.
Beh, è arrivato il momento di scoprire l’altra faccia della medaglia.
In patria, le stragi climatiche fanno sicuramente più scalpore. L’occidentale medio non ha idea di cosa sta succedendo in Amazzonia, ma è molto probabile che le parole “uragano Helene e Milton” non gli siano nuove.
I due uragani si sono abbattuti sugli Stati Uniti uno dopo l’altro, ed hanno causato centinaia di morti e almeno 26 miliardi di dollari in danni. Il disastro è completo ed innegabile.
In questi casi, quando nascondere e tacere non risulta sostenibile, l’Impero Occidentale mette in atto il piano b: delegare ogni colpa e scaricare il peso delle conseguenze sulle classi povere.
Se i media volessero riportare gli eventi così come stanno, i telegiornali dovrebbero raccontarcela più o meno così: la classe al potere ha consapevolmente avvelenato il pianeta per decenni, e gli uragani Helene e Milton sono una semplice, logica conseguenza del cambiamento climatico.
Per ovvi motivi, questa versione dei fatti non convince politici né giornalai. La loro memoria storica si assottiglia fino a scomparire, ed improvvisamente è lecito parlare soltanto di quel che è successo stamattina, massimo massimo ieri sera. I responsabili del disastro si possono permettere con tutta tranquillità di sfruttare il tema come strumento propagandistico, addossandosi la colpa vicendevolmente in funzione delle prossime elezioni. Gli uragani sono disastri naturali, lo dice anche il nome! Le vittime sono state uccise dal vento e dall’acqua, non certo dalle decisioni deliberate di un ristretto gruppo di individui.
Questa bugia ce l’hanno raccontata così tante altre volte che oramai anche gli americani fanno fatica a crederci. Piuttosto che sfogare la rabbia in un sano odio di classe, però, le folle si riversano nell’unico posto dove la loro voce sembra avere peso: gli ambienti cospirazionisti di estrema destra.
È una situazione incredibilmente frustrante. Tutta questa gente si è finalmente convinta della pura verità (queste stragi sono una responsabilità del governo) ma, invece di supportare la loro tesi con le innumerevoli prove tangibili di cui disponiamo da decenni, va in giro a minacciare di morte i meteorologi, convinta che il potere sia letteralmente in grado di controllare il tempo con un telecomandino tascabile.
Ci sentiamo di dire: punto bassissimo per il Movimento Occidentale. All’estrema destra americana basta girare un paio di TikTok per convincere le masse che il governo abbia sperperato tutti i suoi soldi cercando di aiutare i migranti, e noi non riusciamo a dire “cambiamento climatico” in televisione senza che ci ridano dietro?
Senza rendersene conto, queste persone fanno il gioco del potere mentre si vantano di essere dei ribelli.
Fino ad ora abbiamo parlato dei modi in cui lo stato delega le colpe, ma su chi è che scarica le conseguenze?
Giusto per citare due categorie: carceratə e immigratə, soprattutto se senza documenti. Quale bersaglio migliore di persone ridotte in condizioni di moderna schiavitù?
Dal 27 settembre al 2 ottobre, più di 550 uomini sono rimasti bloccati in prigione senza luce né acqua corrente, senza nemmeno poter andare in bagno, costretti a defecare in buste di plastica. Almeno tre carceri della contea della Florida (uno stato con 84 mila detenuti) hanno deciso di non evacuare i prigionieri dalle aree di evacuazione obbligatoria.
I cinque milioni di immigrati che risiedono in Florida devono combattere con una recentissima, tremenda legge sull’immigrazione, e l'uragano li coglie completamente impreparati - e come potrebbe essere altrimenti?
Le informazioni nelle loro lingue madri scarseggiano, e organizzazioni non-governative come l’Hope CommUnity Center si trovano a dover coordinare un flusso insostenibile di informazioni di cui nessun altro si sta occupando.
Circa 35.000 lavoratori H-2A ed un numero incalcolabile di immigrati privi di documenti non hanno nessun diritto agli aiuti per i disastri dell'Agenzia federale per la gestione delle emergenze (FEMA), né ai buoni pasto o all'assistenza per la disoccupazione.
La sproporzione tra fasce della popolazione è chiara anche in categorie sociali relativamente più tutelate. Basti citare, ad esempio, la differenza geografica: nei sette stati colpiti dall'uragano Helene, solo lo 0,8% delle case nelle contee dell'entroterra aveva un'assicurazione contro le inondazioni, contro il 21% delle case nelle contee costiere.
Come se non bastasse, il sistema non si limita ad abbandonare gli sfollatti, ma trova anche il modo di lucrarci sopra. Soltanto il sindacato More Perfect Union in queste ultime settimane ha ricevuto migliaia di denunce di frode sui prezzi. Le denunce includono “i prezzi di hotel, benzina, propano, generatori, ghiaccio, acqua, servizi di rimozione degli alberi, costi di alimentari e fast food, e in particolare di latte, pane e uova” che si alzano vertiginosamente proprio quando la popolazione si ritrova improvvisamente senza soldi e senza casa.
Mentre gli Hotel affittano stanze a mille dollari a notte e lasciano dormire intere famiglie per strada, il governo lancia addosso alle persone sfollate giusto un paio di spiccioli. Dopo un anno intero passato a riempire di soldi l’esercito genocida israeliano, questo fantomatico sussidio per gli uragani non solo è proibitivo e spesso inaccessibile, ma in generale è totalmente insufficiente, anche dovessero riceverlo tuttə in questo preciso istante.
Insomma, gli americani bianchi tornano nelle loro cittadine distrutte senza un soldo in tasca, e poi incolpano gli immigrati e i criminali di una tragedia firmata e controfirmata dall’1%. Nelle celle e nei campi, in tendopoli e in appartamenti di fortuna, lə più marginalizzatə aspettano impotenti l’arrivo di un uragano oramai inarrestabile. Biden, Harris e Trump a pranzo svuotano una valigia di soldi sul tavolo da pranzo di Netanyahu, e poi a cena sfruttano la tragedia per la loro sporca propaganda.
E noi, in tutto questo, dove siamo?
Il cambiamento climatico è già qui, e non possiamo permetterci di non avere nessuna voce in capitolo. Le persone si sono accorte che qualcosa non va, e se la sinistra non è in grado di accoglierli tra le sue fila, non avremo più alcuna speranza.
Israele e il Diritto di Difendersi
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Dopo un intenso anno di pieno genocidio, Israele procede spedita per la sua strada.
In Libano, il numero delle vittime continua a salire. La pagina di Al-Jazeera che documenta gli eventi su questo fronte è in costante aggiornamento. Ambulanze, moschee, mercati, stazioni dei pompieri – nessun posto è al sicuro, e non c’è legge internazionale o precetto morale che regga.
Nel nord di Gaza, ormai stiamo assistendo ad un “genocidio dentro un genocidio.” Circa 400.000 palestinesi sono essenzialmente tenuti in ostaggio dall’esercito israeliano, che prima emette un ordine di evacuazione e poi non permette a nessuno di andarsene. L’unico contatto che hanno con il resto del mondo passa attraverso i social media, che si riempiono di messaggi disperati, le ultime grida di un popolo distrutto. “Non ce ne andremo,” scrive uno di loro. “Moriremo e non ce ne andremo”.
Ieri notte, nel centro di Gaza, la tendopoli dell’ospedale Al-Aqsa Martyrs ha preso fuoco. Questa volta, i civili indifesi sono bruciati vivi, tra le urla dei sopravvissuti che hanno fatto l’impossibile per salvare i corpi ancora riconoscibili.
Eppure, niente di tutto questo smuove il cuore della modernissima civiltà occidentale.
Quel che invece ha fatto discutere in queste settimane, l’atto imperdonabile che ha spinto gli USA ad esporsi, è stato l’attacco da parte dell’Iran ad una base militare israeliana.
Non pensiamo ci sia bisogno di giustificare a chi legge una mossa del genere (e se ad indebolire Israele c’è arrivato prima l’Iran, il massimo che possiamo fare è mangiarci le mani).
Gli Stati Uniti, invece, non accetterebbero spiegazioni nemmeno da una divinità scesa in terra apposta per maledirli. Non vale la pena neanche provarci. Per gli USA, solo e soltanto Israele ha il diritto di difendersi.
I missili iraniani, infatti, sono stati subito percepiti come un grave affronto, e l'esercito statunitense ha immediatamente collaborato con quello Israeliano per tentare di abbatterli.
Non solo - nei giorni seguenti, ogni grande figura politica americana ha sentito il bisogno di ribadire il suo sostegno verso lo stato genocida.
Joe Biden parla di piena solidarietà, mentre Kamala Harris descrive l’Iran come “il più grande avversario degli Stati Uniti” e ribadisce il suo incrollabile sostegno.
Queste grandi dichiarazioni d’amore si sono tradotte in fatti con sorprendente velocità, e gli USA hanno implementato poco tempo dopo delle sanzioni commerciali sul petrolio iraniano.
In tutto questo, Israele continua a sostenere che l’attacco iraniano sia stato “del tutto inefficace”, visto che, tra l'altro, “non è morto nessuno”. È un paradosso, no? La “moderna civiltà democratica” fonda la propria idea di successo militare sulla quantità di civili morti; i “selvaggi paesi arabi” invece sulla quantità di danni infrastrutturali subiti dall’occupante.
Guai per l’Iran, insomma. Che non si azzardi mai più a bombardare uno stato che brucia vivi civili innocenti senza nemmeno uccidere nessuno.
Ormai è evidente. Il diritto di difendersi ce l'hanno solo i giocatori da una certa parte del campo.
Un anno di proteste per la Palestina
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Ad un anno dal 7 ottobre, nel bene e nel male, il Movimento Occidentale continua a scendere in piazza per la Palestina.
L’anniversario di quest’ultima fase del genocidio ha catturato l’attenzione dellə attivistə tanto quanto quella dei poliziotti. Mentre organizzatorə da ogni angolo dell’Europa discutevano sul da farsi in lunghe assemblee, gli sbirri si preparavano a reprimere ogni sforzo colpo su colpo.
Nella Germania del famoso Never Again, la polizia ha perquisito le case dellə attivistə nei giorni antecedenti alla manifestazione, ed ha apertamente intimidito le realtà locali dichiarando pubblicamente che la piazza sarebbe stata “protetta” da una serie di cecchini sui tetti delle strade circostanti. Arrivato il fatidico momento del corteo, l’impiego dei gas lacrimogeni ha immediatamente disperso la folla e diversə attivistə sono statə arrestatə.
I giornali hanno riportato l'accaduto passivamente, citando con scioltezza la scena di un manifestante in sedia a rotelle, che è stato trascinato con la forza in un veicolo della polizia.
In Italia, la situazione è la stessa se non peggiore. La piazza romana è praticamente una sconfitta annunciata.
Nelle settimane in cui i nostri politici discutono con entusiasmo il DDL 1660 – un capolavoro repressivo di proporzioni inquietanti – la questura vieta ufficialmente la manifestazione del 5 ottobre. Il giorno del corteo, Roma è bloccata da un improbabile sciopero dei mezzi, e la piazza è circondata da macchine della polizia e supervisionata da un elicottero. Quattro persone vengono arrestate, anche qui la polizia ci lancia addosso i lacrimogeni, e dopo tre ore di interventi la folla si disperde.
Episodi del genere sono molto gravi, ma (purtroppo) per nulla nuovi. D’altronde, quest’anno l’Europa è scesa in piazza più di 26mila volte. Alcune lezioni dovremmo averle imparate una volta per tutte.
Cosa dobbiamo farcene di questo quadro generale? Al tentativo 26mila di fermare un genocidio, ancora una volta torniamo a casa con le mani vuote e gli avvocati da pagare.
Mappe come questa ci dimostrano senza ombra di dubbio che sono tante le persone che non stanno guardando altrove. L’Europa - e il mondo intero - è pieno di comunità desiderose di manifestare il proprio dissenso. La solidarietà è un carburante potentissimo e lodevole, ma non ce ne facciamo niente di una macchina da corsa col serbatoio pieno se viaggiamo con il freno a mano tirato.
Attualmente, il genocidio perpetrato dallo stato di Israele procede con spietata risolutezza. Se seguite qualche giornalista palestinese su twitter o su instagram, vi sarete resi conto che la violenza israeliana sembra solo peggiorare. Secondo un recentissimo report di 99 medici e operatori sanitari statunitensi, esistono “prove probanti che il tributo di vite umane a Gaza è già superiore a 118.908, un sorprendente 5,4% della popolazione.”
Non possiamo neanche convincerci che Israele sia un mostro inscalfibile. E non solo perché nessuna forza politica è di per sé onnipotente, ma perché abbiamo prove tangibili del contrario. Secondo gli economisti, la guerra non ha portato benefici all'economia israeliana, che è “in declino e potrebbe addirittura essere in recessione”.
Lo stato in cui verte la popolazione palestinese è devastante, Israele ha delle ferite scoperte che possiamo quantomento chiederci come sfruttare, lo stato di polizia ha imparato a reprimere le nostre forme di protesta con preoccupante efficenza, e soltanto in Europa ci sono abbastanza persone convintamente pro-palestina da riempire 26mila piazze in un anno.
La domanda sorge spontanea.
Non sarà forse il momento di riflettere sulle nostre modalità di lotta, e costruire una strategia più efficiente?
Perché stiamo ancora parlando di questo?
La Teoretica Giuliana
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Possiamo dircelo con tranquillità: Giuli ha tirato una supercazzola.
Non dovrà nemmeno essere la prima volta che gli succede, visto il folle estremismo degli ambienti da cui è uscito.
Nel discorso ormai diventato virale, Giuli stava semplicemente cercando di fare l’occhiolino al pubblico di estrema destra, cimentandosi nei temi teorici classici del futurismo (come la doppia anima del fascismo rispetto al progresso tecnico e al tradizionalismo culturale).
Il discorso, però, gli è uscito male – così male, che i dog-whistle sono sfumati sullo sfondo, sepolti dal caos generale. Dubitiamo che i fascisti abbiano colto il senso dell’orazione, che pure era stata scritta proprio per loro.
Per quanto ci faccia piacere notare l’incompetenza del nemico, c’è da dire che come Movimento non siamo nella posizione giusta per giudicare.
Purtroppo – e ci spiace fare quellə presə male – la maggior parte dei nostri discorsi politici suona esattamente così.
Insomma, che ci serva da lezione. Questo è quel che si prova quando i discorsi del nemico risultano incomprensibili, quando semplicemente non ci si capisce un cazzo.
Giuli è un nazista liberale (sì avete letto bene) uscito fuori direttamente da Meridiano Zero, ma la destra è piena di figure perfettamente in grado di tenere un ottimo discorso. Alla retorica della sinistra radicale manca quasi interamente della sana leggerezza, quella componente fresca e innovativa tipica del populismo.
Proprio perché ci auguriamo che Giuli venga umiliato fino alla fine dei suoi giorni, non vogliamo fare la sua stessa fine.
(Per chi fosse sinceramente interessatə a comprendere e interpretare da sinistra il discorso di Giuli, vi consigliamo questo articolo.)
Un Sacrificio di Classe
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“Ci saranno sacrifici”: queste le parole del Ministro dell’economia Giorgetti all’indomani della votazione sulla manovra finanziaria del governo. Quante ci siamo sentiti ripetere questa stessa frase nelle stesse identiche circostanze?
Giorgetti, però, non è come gli altri; addirittura ha avuto il coraggio di dichiarare che anche i banchieri dovranno fare sacrifici. Insomma, stavolta lo Stato non fa il gioco della classe al potere: il peso della crisi viene quantomeno equidistribuito tra lavoro e imprese, tra precariato e banchieri.
Ma è davvero così?
Magari siamo noi complottiste, ma a guardare più da vicino questa manovra tutta sta equidistribuzione del peso della crisi non la vediamo.
Lo Stato deve rientrare di ben 25 miliardi, eppure Giorgetti si vanta di non aver alzato le tasse. Questo può significare solo una cosa: tagli su tagli su tagli. E i tagli ai servizi pubblici non impattano di certo i banchieri – è la classe lavoratrice, precaria e povera a pagarne le conseguenze.
I soldi mancanti, in realtà, avremmo potuto ottenerli abbastanza facilmente. Come affermato dallo stesso giornale di Confindustria, nel 2023 le banche hanno versato solo il 25% dei loro guadagni, contro il 42% pagato dal resto della società.
Non solo le banche non sono state tassate, ma il Governo continua a dare spazio ai condoni e alla flat tax – una riforma talmente reazionaria da essere incostituzionale.
In tutto ciò, gli extra-profitti generati dalla crisi energetica e dalla guerra (esplosi già nel 2020) sono così alti che in confronto 25 miliardi è una cifra ridicola. Come se non bastasse, stiamo svendendo il nostro debito pubblico ad una delle peggiori Multinazionali americane.
Giorgetti mente sapendo di mentire. Questa destra non è “sociale” in nessun senso. Con il suo background operaio, il nostro ministro dell’economia è l’esempio lampante di un traditore di classe.
E sappiamo la fine che si meritano personaggi del genere.
Tra l'altro, com'è che è assolutamente necessario recuperare questi soldi? Ah già: “ce lo dice l’Europa”.
Il Governo che prometteva di lottare contro la tirannia dell’Unione Europea ha già esaurito le forze. Bugiardi e falliti.
Ancora una volta, l’estrema destra rivela la sua natura da tigre di carta, da arma di distrazione di massa utile solo a nascondere l’ennesimo saccheggio economico dell’1%.
Sui giornali sentiamo spesso dire che “l’Austerity è tornata”. Dopo il momento sussidi in supporto alla pandemia, è ritornata la ferrea regola europea del bilancio in equilibrio.
In realtà, però, l’austerity non se n’è mai andata. Il termine, infatti, non descrive soltanto un meccanismo tecnico-economico, ma un impianto strutturale creato per redistribuire le ricchezze dal basso verso l’alto.
E il nostro governo ha una storia d’amore intensissima con questa forma di capitalismo.
Nessun sacrificio può essere ulteriormente tollerato.
In primo luogo perché le classi popolari hanno già sacrificato tutto in nome dei profitti, e poi perché ci troviamo in una crisi che può essere risolta solo ed esclusivamente con un aumento del potere d’acquisto operaio, con politiche monetarie espansive e con la transizione ecologica pianificata, l’unica in grado di stimolare investimenti e salvare il pianeta.
Insomma, non esistono sacrifici capaci di salvarci dalla crisi. Quel che serve è un sistema economico democratico, lontano dai profitti di pochi e vicino alle esigenze e ai desideri delle persone.
Non ci aspettavamo nulla, però porco d-
Inefficienza Anti-Comunista
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Come lo chiamereste un gruppo di persone che vive di rendita grazie ad un libro incredibilmente controverso, pieno zeppo di propaganda complottistica su una superpotenza del passato? Se vi è venuta in mente la parola “setta”, non ci siete andate poi così lontani.
In questo caso, la fondazione di cui stiamo parlando si chiama “Victims of Communism” e formalmente si occupa di documentare in modo archivistico i “morti del comunismo”. Stando la loro ultima stima, le vittime sarebbero ben 460.000 gorillioni di morti.
Lungi da noi affermare che Stalin fosse un personaggio pacato e ragionevole. Sicuramente non l’avremmo candidato al Nobel per la pace.
Quando certe accuse escono dalla bocca di gente apertamente nazista, però, dubitiamo che siano state fatte in buona fede.
A noi non risulta che esistano Fondazioni internazionali altrettanto ricche che denunciano i crimini dell’Impero Americano, Britannico o Francese.
Vuoi vedere che forse – ma magari siamo noi complottiste – questa “Victims of Communism Foundation” non è altro che una gigante opera di propaganda anticomunista?
In Canada, i nazisti hanno fatto esattamente ciò di cui accusano lə comunistə: hanno sprecato tutti i soldi pubblici in cose totalmente inutili. La Fondazione ha sforato di 5 milioni il budget originale di un milione e mezzo, drenando i fondi pubblici per oltre 15 anni.
Ironico, no?
Per quanto i liberali e nazisti si sciacquino la bocca di competenza ed efficienza, l’Unione Sovietica ha condotto con successo ed in breve periodo una mastodontica opera di industrializzazione, e nel frattempo ha mandato l’uomo nello spazio.
Il Memorial “Vittime del Comunismo” è l’emblema dell’inefficienza anti-comunista: se i Movimenti non ci sono, i topi sperperano denaro pubblico e privato fino a drenare l’intera economia.
La Differenza tra Kamala Harris e Joe Biden
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È da qualche mese che il dibattito pubblico americano è ossessionato da un'unica domanda: che differenza c’è tra Kamala Harris, Joe Biden e Donald Trump?
Sulla questione Trump, i liberali ormai si sono convinti. Donald Trump è Hitler, e Kamala Harris e Joe Biden sono due persone quantomeno ragionevoli, due Hitler depotenziati che finanziano genocidi senza fare la figura dei coglioni.
Harris e Biden, invece, sono una coppia di gemelli in tutto tranne che nell'aspetto esteriore. I moderati amano ricordarci che Kamala Harris è una donna nera e Joe Biden un uomo bianco molto vecchio, fondamentalmente perché è l'unico fattore a cui possono appellarsi.
Questa settimana, Harris ci ha dato la sua versione dei fatti. “Mi avete chiesto qual è la differenza tra me e Joe Biden,” ha dichiarato in un'intervista. “Questa sarà una delle differenze: io avrò un repubblicano al Gabinetto.”
Be, insomma. Bella merda.
Quando le conviene, Kamala Harris fa la parte della donna compassionevole, capace di dedicare addirittura un paio di frasi ai bambini palestinesi morti sotto le sue bombe. Questi riferimenti pseudo-umanitari, però, sono solo un tentativo chiaro e svogliato di appellarsi ad una fascia elettorale politicamente ignorante e/o leggermente meno a destra di lei.
La differenza fondamentale tra lei e Biden è una sola: Kamala Harris, a differenza dell'attuale presidente degli Stati Uniti, è in piena campagna elettorale, e sbandierare ai quattro venti le sue innumerevoli alleanze politiche è semplicemente un buon modo per farsi votare.
Gira che ti rigira, si tratta di scegliere tra due brand che vendono sempre la stessa merda.
Perché succedono anche cose belle
Occupa Tutto, Occupa Subito: Non si Molla un Cazzo contro Milei
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Per noi ormai è un mantra: la lotta di classe in Sud America è tutta un’altra storia. In risposta alle policy di Milei, il Movimento Operaio e Studentesco argentino ha paralizzato l'intera economia.
Abbiamo già parlato negli scorsi episodi degli scioperi generali in Sud America, e l’Argentina ha alzato il tiro del conflitto già da marzo.
In questi mesi, persone anziane si sono scontrate con la polizia per il diritto ad una pensione dignitosa e le mobilitazioni operaie si sono trasformate in guerriglie urbane. In queste ultime settimane, lə studentə hanno occupato un gran numero di Università.
Questo è un esempio concreto del famoso “Occupa tutto, occupa subito” che in Occidente è sempre rimasto solo uno slogan.
Milei si è presentato al potere con un'immagine molto simile a quella di Trump: l’establishment è corrotto, e solo io so come sistemare tutto.
L’estetica da outsider ha funzionato da Dio nel delicato clima politico argentino di questi ultimi anni.
Una volta finita la predica, però, non c’è livello di corruzione che regga: le riforme messe in campo dall’autocrate anarco-capitalista diventano una scelta intollerabile.
In Argentina, gli unici indicatori economici in aumento sono quelli dei profitti, della povertà relativa e della realtà assoluta. Il reddito medio pro-capite, il potere d’acquisto e la crescita economica stanno tutti crollando.
Milei ha concretizzato in pochissimi mesi l'incubo “comunista” di cui tanto si è lamentato: una piccola oligarchia di ricchi sta guadagnano sulle spalle della povera gente, che nel frattempo annega in un mare di inefficienza economica e povertà alle stelle.
Come al solito, ogni accusa dei burattini del capitale è una confessione, la fedele descrizione di ciò che faranno o che hanno già fatto nei nostri confronti.
Per fortuna in Argentina il Movimento è solido e sta rispondendo colpo su colpo. Javier Milei ha cagato fuori dal vaso. È ora che ne paghi le conseguenze.