Luglio 2025
Un Socialista
a New York
Considerazioni a freddo sulla vittoria di Zohran Mamdani.
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Considerazioni a freddo sulla vittoria di Zohran Mamdani.

Intro


Gli anni immediatamente precedenti alla pandemia del Covid hanno subito una grande influenza, spesso sottovalutata, dai movimenti della sinistra radicale. Specie dopo il 2008, i gruppi no-global, Occupy e la wave populista e socialista democratica hanno riacceso il conflitto sociale sia dentro che fuori le istituzioni, mettendo finalmente in crisi 30 anni di egemonia neoliberista incontrastata.

Nel periodo 2017-2019 si arriva all'apice di questo scontro: Podemos vince le elezioni in Spagna, Corbyn è impegnato in una dura lotta intestina con la vecchia guardia del Partito Laburista, Fridays For Future porta in piazza centinaia di milioni di studenti in tutto il mondo in nome della giustizia climatica, Ghana, Kenya e altre regioni nel cuore dell'Africa insorgono contro il neocolonialismo del Fondo Monetario Internazionale e, addirittura, comincia a sembrare realistica una possibile vittoria di Bernie Sanders alla Casa Bianca (o quanto meno alla guida dei dem).


La prima grande emergenza, però, ha subito dimostrato la fragilità di questi movimenti relativamente giovani e poco esperti. Con il COVID-19, gran parte del potere accumulato negli anni precedenti è andato perso.

Vuoi per la configurazione orizzontalista dei movimenti (che feticizza degli incontri "faccia a faccia" impraticabili durante una pandemia), vuoi per l'inerzia dei socialisti democratici che si rintanano nel centro-sinistra non appena le cose si fanno più serie, a 6 anni da quel 2019 la situazione politica è ancora sottosopra. La destra ha colmato il vuoto di potere alle spalle del centro neoliberista e la sinistra radicale è stata di nuovo scacciata ai margini.

Sanders ha perso le primarie, i movimenti anticapitalisti si sono frantumati in mille pezzi, Corbyn è stato espulso dal suo partito e Podemos governa a fatica, con la metà dei consensi degli esordi.

L’anno scorso – quello con più elezioni della storia – le destre hanno fatto il loro "grande balzo in avanti”, e il potenziale accumulato dal 2010 dalla sinistra radicale sembra svanito nel nulla.


In questo contesto, è facile capire perché la vittoria di Mamdani alle primarie dem per la candidatura a sindaco di New York abbia risvegliato qualcosa nell’inconscio delle persone.

Un 33enne socialista, musulmano, anti-Israele, progressista e vocalmente anti-establishment ha vinto delle primarie in cui partiva da sfavoritissimo, e la gente – o, almeno, una fetta sempre più crescente dell'elettorato di "sinistra" degli Usa – ha celebrato la sua ascesa con un entusiasmo che non si vedeva da anni. Dopo anni di delusioni, sconfitte, ridicole diatribe interne e disfattismo, la sinistra radicale torna ad essere cool, spensierata, felice.


Parliamoci chiaro: Mamdani non è comunista, sebbene alcune delle sue posizioni siano sinceramente radicali. Non viene dalla tradizione comunista dei movimenti operai, né da qualche gruppo sconosciuto della New Left americana. È semplicemente un socialdemocratico nel cuore dell'Impero in putrefazione.

Ad un certo punto, però, anche sticazzi.

Quando i movimenti anticapitalisti si rifiutano di presentarsi in Parlamento e rigettano dogmaticamente l'uso della politica parlamentare come arma strategica, un socialdemocratico è il meglio a cui possiamo aspirare. I politici comunisti non crescono sugli alberi.

Ad oggi, Mamdani è il prodotto migliore della sinistra populista/radicale. "Non è molto, ma è un lavoro onesto" diceva un meme diventato virale proprio durante il Covid, una frase che racchiude al meglio la nostra visione su Zohran.


In questo panorama politico post-apocalittico per la sinistra radicale, in cui i pezzi distrutti dallo shock del Covid ancora non sono stati ricomposti e l’estrema destra si muove a piede libero, che tipo di lezione possiamo trarre da questa vittoria? Soprattutto, come dovrebbero interagire i movimenti anticapitalisti con la possibilità concreta di vedere un candidato pro working-class alla testa di una delle città più grandi dell'Impero?



Cosa ha funzionato?


Andiamo per ordine, e partiamo indagando le cause che hanno portato a questa prima vittoria inaspettata.


  • I. Comunicazione Media all'Avanguardia


Innanzitutto, Mamdani ha costruito il suo successo su una comunicazione mediatica all'avanguardia.


Il tema dell’uso politico dei social, ad oggi, ci sembra particolarmente frustrante. Nonostante siano stati movimenti anticapitalisti – come quelli sotto l’ombrello dei No-Global – a spalancare di prepotenza le porte della politica sui social come la conosciamo oggi, la destra è ormai diventata la regina indiscussa della propaganda online.

Tutto il lavoro fatto durante gli anni 2000 – la coordinazione digitale dei movimenti su scala globale, i momenti virali in cui brevi video di proteste infuocate e repressione violenta dello Stato circolavano in poco tempo in tutto il mondo, alla faccia dei mass media più tradizionali (giornali e TV) – è stato colonizzato con successo dall'estrema destra.

In mancanza di una strategia chiara e di una comprensione reale del nuovo campo di battaglia, abbiamo ancora una volta fatto il lavoro sporco per la classe al potere: ci siamo accollate i rischi dell'innovazione e poi abbiamo lasciato il premio nelle mani del nemico. L’1% ha potuto assorbire le nostre pratiche senza troppi problemi.


A nostro parere, la campagna di Mamdani è stata in grado di reclamare un posto per la sinistra nel cosiddetto cyberspazio. Contrariamente alla tendenza di alcuni compagni – che decidono di abbandonare il web e concentrarsi su incontri faccia a faccia, pena il crimine di finire dalla parte del nemico e fare la figura degli “influencer” – Mamdani ha scelto di alimentare un credibile doppio potere comunicativo.

Da una parte, il suo team di volontari ha passato giorno e notte a bussare alle porte di ogni zona della città, dalla periferia al centro urbano; dall'altra, il suo team di tecnici ha sfruttato la potenzialità virale della rete per raggiungere in breve tempo il grande pubblico giovane.

Usando i social in maniera "normale", come un carismatico streamer che sa di dover catturare la tua attenzione in una manciata di secondi, Mamdani ha fatto passare dei messaggi credibili tanto contro il Movimento MAGA quanto contro l'establishment democratico, proponendo riforme di sinistra sostanziali senza risultare un accademico pedante e cagacazzo (un’altra delle tendenze masochiste nel “cyberspazio di sinistra”).

Senza neanche avere troppe pretese, il candidato dem ha dimostrato che per il potere costituito non c'è nessuna vittoria a tempo indeterminato. Co-optare, colonizzare ed assorbire le nostre pratiche comporta solo uno spostamento dello scontro su terreni più avanzati: basta trovare il taglio e la strategia giusta e la classe al potere viene subito colta di sorpresa.


  • II. Rivendicazioni Politiche di Alto Livello, Chiare e Dritte al Punto


Ovviamente, da marxiste quali siamo, riconosciamo nei temi trattati da Mamdani il punto di forza più importante della sua ascesa.

La sua campagna elettorale, dallo slogan fino ai contenuti più dettagliati, si è concentrata fin da subito sulle questioni materiali che affliggono la vita quotidiana del grande pubblico. Dall’iconico "a city we can all afford” alle rivendicazioni di diritti economici di base (casa, salute e reddito), passando dalla proposta di supermercati pubblici a bassi prezzi (tema che finora non abbiamo sentito sulla bocca di nessun comunista “duro e puro"), Il programma di Mamdani si è inserito nelle crisi economico-sociali che dilaniano questa società e ha dato una risposta al rialzo, negli interessi delle classi economiche svantaggiate.

Anche sui temi rispetto a cui ha assunto una retorica più moderata – è il caso della sicurezza pubblica; per forza di cose, è difficile vincere delle elezioni negli US se sei un 33 enne musulmano che urla "defund the police" – Mamdani ha saputo proporre delle riforme effettive che vanno comunque nella direzione desiderata.

Nel caso della polizia, l’idea è quella di spostare il focus delle forze dell’ordine verso i crimini violenti e particolarmente gravi (omicidi and co) e, al contempo, creare delle task-force di servizi sociali che possano prevenire il crimine – soprattutto i piccoli crimini "di necessità" causati dalla povertà dilagante che colpisce tutte le nuove "città globali".


Per cogliere la dirompenza delle proposte di Mamdani, d’altronde, non è necessario scendere nei dettagli. Ci basti osservare il panico che hanno causato nei palazzi del potere statunitensi.

I dem hanno denunciato l’"irresponsabilità" dell'ala sinistra del partito mentre l'estrema destra ha immediatamente iniziato a vomitare notizie false, facendo leva in modo spregiudicato su classismo e razzismo.

Nessuno ha perso tempo a criticare proposte effettive – i dem si sono rintanati nel famoso “pragmatismo” (nonostante abbiano perso e anche male) e in una presunta superiorità morale (nonostante sostenessero uno stupratore come Andrew Cuomo), mentre l'estrema destra ha puntato su attacchi ad hominem. Fox News ci aveva anche provato a cimentarsi in trasmissioni più specifiche, dove le proposte di Mamdani venivano contrattaccate punto per punto, ma ha dovuto immediatamente rinunciare: il suo stesso pubblico gli si stava rivoltando contro.

Già solo questo spettacolino dovrebbe spingerci a godere e festeggiare.


  • III.Un piede dentro e uno fuori dalle istituzioni


Tra le cause di questa vittoria, ce n’è una decisiva che è passata parzialmente inosservata.


La politica, soprattutto in scala così ampia, si gioca in parte sul rapporto parasociale che i leader creano con il grande pubblico. Ogni politico, a suo modo, deve instaurare un rapporto di fiducia col suo elettorato e col suo blocco sociale di riferimento.

Questa fiducia la si costruisce in base all’aria che tira. In tempi più "tranquilli", il popolo si fida più degli "insider", mentre in tempi intensi e proto-rivoluzionari i favoriti sono gli “outsider”.

Oggi, vista la crisi economica unita alla mancanza di una risposta ben organizzata da sinistra, le acque sono poco chiare. Gli insider vengono considerati complici di questa crisi, ma, al contempo, nessuno si fida fino in fondo di un outsider, magari affiliato a organizzazioni conosciute poco o per niente.

La destra questa situazione l'ha capita molto bene, ed ha abbracciato il fenomeno elevando delle figure dall'estetica "outsider", che però, nei fatti, sono "insider" puri. Citiamo Trump (letteralmente un miliardiario proprio di New York), Farage in Inghilterra (veterano della politica istituzionale) o Meloni (già presente nelle coalizioni di destra berlusconiane) giusto per fare qualche esempio.


Mamdani ha ribaltato questa prospettiva sui suoi piedi, e si è presentato come un "outsider" che non ha paura di "fare l'insider" e mettere le mani nella merda, anche nelle stanze della temutissima politica istituzionale.

In quanto outsider, Mamdani ha la legittimità di attaccare l’establishment. La sua esperienza da "insider", però, controbilancia l’equazione e gli permette di risultare competente agli occhi del grande pubblico, un uomo in grado di cambiare davvero le cose.

È vero, il potere sta nelle mani della collettività e non nei leader, ma oggi più che mai la sinistra ha bisogno di una leadership convincente che sappia articolare questo potere anche dentro le istituzioni.


Per farvi capire cosa intendiamo, prendiamo ad esempio il momento più caldo del dibattito delle primarie (subito dopo l'indimenticabile "My name is M-A-M-D-A-N-I").

Nel botta e risposta con Andrew Cuomo, Zohran attacca il rivale proprio sul tema dell’esperienza. Accusato dall’avversario di essere inesperto, Mamdani ribatte che sì, effettivamente lui non ha alcuna esperienza nel prendere i soldi dai miliardari repubblicani o nel commettere violenze sessuali ai danni delle mie segretarie.

In questo primo momento, Zohran sta sfruttando a pieno il suo ruolo da outsider. Poco dopo, però, lo stesso Mamdani riporta l’attenzione sulle sue precedenti conquiste politiche, rivendicando un’esperienza di successo nelle istituzioni: “abbiamo conquistato 450 milioni di dollari in riduzione del debito per i tassisti”.


Come ha sottolineato più volte Mark Fisher, il realismo capitalista si consolida grazie alla mancanza di alternative percepite come concrete e possibili.

Oltre a dimostrare al grande pubblico quanto faccia schifo il capitalismo – operazione che Occupy e No-Global hanno portato a termine con discreto successo – dobbiamo servirci delle istituzioni per mostrare cosa è possibile fare di nuovo (e di meglio) quando le si fanno operare sulla base di logiche alternative. Il valzer di Mamdani dentro e fuori dall’apparato istituzionale è un ottimo modo per dare adito a questo processo.



L’arte di Chiamare il Bluff: Costruire un Rapporto Positivo tra Movimenti e Sinistra Populista


Quando Malcolm X parlava di lottare "con ogni mezzo necessario", la sua non era un’iperbole. Le pratiche dell'Organizzazione per l'Unità Afro-Americana – di cui Malcolm X era il principale leader – spaziavano dalla strategia elettorale all'autodifesa armata dei quartieri neri, dalla pressione politica nei luoghi istituzionali alla costruzione di un contropotere credibile all’interno della comunità nera. Il celebre militante e intellettuale di Harlem aveva ben chiara l’importanza degli strumenti istituzionali, attraverso cui può e deve essere veicolato anche il messaggio più radicale del mondo, come dimostrano le sue decine e decine di interviste rilasciate nei media più all’avanguardia del suo tempo (la televisione). Insomma, si può votare anche col fucile carico e si può sparare anche con la tessera elettorale timbrata.


Ad oggi però, il Movimento è pervaso da una vera e propria ossessione per la purezza e dal rifiuto sistematico di sporcarsi le mani in sciocchezze istituzionali. Questo atteggiamento ci ha portato ad abbandonare degli asset indispensabili semplicemente perché riteniamo (non a torto) che da soli non siano abbastanza. Così facendo, nel 2025 non abbiamo né una strategia elettorale ben elaborata, né il fucile carico.


Sappiamo benissimo che (di nuovo, da marxiste), poco importa a livello di analisi sistemica se al potere c'è Gesù Cristo o Hitler. Il capitalismo è una struttura economica molto complessa con centinaia di anni di storia alle spalle e non guarda in faccia il primo scemo che mette piede nelle stanze del potere.

A livello di militanza politica, però, avere un Mamdani come sindaco di New York fa la differenza, poiché rappresenta un punto di leverage importante, uno snodo nevralgico a partire dal quale diffondere pratiche sovversive sempre più incisive, agguerrite e conflittuali. Un politico, se intende rimanere al potere, deve quantomeno dare l'impressione di essere dalla parte del suo blocco sociale di riferimento, ed è innegabile che i socialisti democratici ricerchino quel blocco nelle classi oppresse. Le varie "rainbow coalition" sono un tentativo di catturare il precariato giovane e multietnico per unirsi contro il nemico principale, l'1% e i suoi burattini.


Che questi politici credano o meno in certi ideali poco importa. Sta a noi forzarli a mantenere la parola data ed esercitare pressione politica come blocco sociale. Se, come è accaduto negli ultimi anni, ci rifiutiamo di intrattenere un rapporto con figure del genere, queste crolleranno sotto la pressione politica esercitata dal nemico. Che motivo c’è di spostarsi a sinistra se tanto sanno già che non li voteremo (o che li voteremo a prescindere)?



Chi all'interno dei movimenti decide di sparare a zero, ignorare o idolatrare ciecamente la sinistra populista fa un danno a tutta la collettività, tanto quanto i liberal-democratici e i neofascisti che ci fanno opposizione da destra.


Siamo totalmente d'accordo sul fatto che la prima wave dei socialisti democratici abbia flirtato fin troppo col potere e ne sia rimasta un po' troppo sedotta, chinando pian piano la testa all'establishment. La sinistra populista americana, in particolare, ha fatto tanti errori tattico-strategici.

Ma di chi era il compito di tenere in riga questi leader? Chi avrebbe dovuto forzare la mano dei socialisti democratici, per fare in modo che rimanessero davvero radicali? Come scrive Fisher,



Il fallimento della prima ondata populista di sinistra è il sintomo del fallimento dei movimenti orizzontalisti nel mantenere dritta la schiena dei politici, piuttosto che la prova dell'inevitabile "corruzione" parlamentare.


"Ciò che dobbiamo fare," prosegue Fisher, "è costruire una forza extraparlamentare sufficientemente potente da esercitare un'influenza decisiva sulla politica parlamentare".

Se è vero che, per ora, la sinistra populista non si è dimostrata pronta a colmare l’attuale vuoto di potere, sicuramente i collettivi da dieci persone sparsi per tutto l'occidente, i partiti comunisti e il fantomatico "mutuo soccorso" non hanno brillato da questo punto di vista.


È evidente che serva un nuovo approccio, un nuovo tipo di rapporti e relazioni politiche da tessere coi socialisti democratici.



In poche parole, finché i socialisti democratici rimarranno più anticapitalisti che anticomunisti dobbiamo farceli andare bene. Ci sarà tempo, in futuro, per accoltellarsi a vicenda.


È vero, oggi i rapporti di forza sono decisamente sbilanciati verso la parte "moderata" della sinistra radicale, ovvero verso i socialdemocratici (al contrario dei tempi di Marx, quando la situazione era più bilanciata).

Quello che dobbiamo fare, allora, è "chiamare il bluff": sostenere il loro programma (che attualmente presenta le uniche policy all'avanguardia disponibili) e mettere pressione affinché portino a casa le loro promesse, indipendentemente da cosa pensino davvero o dalle pressioni che subiscono dall'1%. C’è molto lavoro da fare per superare l'influenza e il dominio dei ricchi sulla politica istituzionale, ma i leader populisti di sinistra sono il punto giusto da cui partire, a maggior ragione che questi sono i primi a privilegiare le piccole donazioni come autofinanziamento politico (una struttura paragonabile ad una sorta di azionariato popolare elettorale).


I movimenti devono iniziare a praticare la vecchia arte comunista del supporto critico, l'equivalente della carota e del bastone della classe operaia. I ricchi non si fanno troppe seghe mentali rispetto alla pressione che mettono alla politica istituzionale, lo fanno e basta, e ancora una volta dovremmo sinceramente imparare dal nemico.

Le inutili diatribe tra le bimbe di Mamdani e i "comunisti duri e puri" mancano totalmente il punto: il comunismo non è una gara a chi "ce l'ha più radicale", ma un costante (ri-)assemblamento delle pratiche politiche anti-capitaliste, in vista di un abbattimento totale del sistema economico in cui viviamo.



Due Anime Complementari per un Doppio Potere Efficace


Ok, va bene, supporto critico ai socialisti democratici. Ma perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa? Non possiamo semplicemente andare ognuno per la sua strada?

Beh, prima di tutto, in politica non esistono strade parallele. Ogni mossa fatta da una parte dello schieramento politico influenza direttamente o indirettamente il resto della scacchiera, movimenti extra-istituzionali compresi.

Le due anime della sinistra, inoltre, hanno un incentivo in più per conciliare le proprie pratiche e muoversi in modo coordinato: in questo momento, le migliori qualità dell'una coprono i peggiori difetti dell'altra e viceversa.

I Movimenti hanno gli strumenti necessari per sciogliere nell'acido la timidezza della sinistra populista, in nome di un conflitto politico più acceso ed incisivo. Nonostante gli appelli e i post strappalacrime, infatti, non appena le classi oppresse iniziano a ribellarsi davvero (vedi ad esempio le piazze di Black Lives Matter o le proteste pro-Palestina), la sinistra populista fa subito un passo indietro e inizia a soppesare ogni dichiarazione per paura di perdere i voti dei normie. Come ha dimostrato l'estrema destra, però, con la giusta strategia mediatica si possono convincere i normie di qualunque cosa. Anzi, sono proprio i momenti ad alta tensione conflittuale a fornire un terreno fertile per la retorica aggressiva e offensiva tipica del populismo. È proprio qui che i socialisti democratici dovrebbero andare all'attacco e tramutare la mobilitazione dal basso in vittorie istituzionali concrete.

Non è un caso che questi partiti abbiano riscosso il loro successo negli anni subito dopo la wave di Occupy and co. La sinistra populista ha anche vissuto di rendita di quell'esplosione popolareggiante contro lo strapotere delle banche e dei politici, un conflitto che aveva già spostato più in là i margini del discorso pubblico e dell'immaginazione collettiva. Il superamento dei limiti della politica formale, del perbenismo borghese, del gradualismo prudente e della "non-violenza" liberale è una lotta tipica dei movimenti, e applicarla alle sinistra populista potrebbe trasformarla da un’accozzaglia di "radlib" ad una forza politica davvero radicale e anti-sistema.


Al tempo stesso, solo la sinistra populista ha le carte in regola per permettere ai movimenti extra-istituzionali di superare i pesanti limiti dell'orizzontalismo neo-anarchico. Abbiamo bisogno di una rappresentanza politica nei luoghi del potere che contano – la famosa "presa del potere", qualsiasi forma essa abbia nel concreto – altrimenti i movimenti si arenano, creando la dinamica schizofrenica a cui abbiamo assistito negli ultimi due decenni – piazze da milioni di persone che si riempiono e si svuotano nel giro di qualche mese. Invece di lottare per il gusto di lottare, i socialisti democratici ci ricordano che si deve lottare con l'ambizione di vincere, di strappare sempre più concessioni all'avversario fino a quando è costretto ad arrendersi sotto il peso della nostra pressione politica e delle proprie contraddizioni interne.


Questa dialettica potrebbe concretizzarsi, ad esempio, in un nuovo “Modello Lucano”.

Nell’arco di tempo in cui abbiamo militato nei movimenti anticapitalisti, del Modello Lucano ne avremmo parlato sì e no un paio volte, nonostante costituisca il modello di governance di sinistra in piccola-media scala più all’avanguardia degli ultimi anni.

Per quale ragione quando le nostre lotte si trasformano in un progetto politico egemone e vittorioso, iniziamo ad ignorarlo o addirittura a fargli le pulci?

Come scrive Slavoj Zizek,



Diffondere Modelli Lucano in giro per il mondo è la soluzione davanti alla tragedia che attanaglia la sinistra contemporanea.

Queste forme innovative di governance ibrida possono legittimare le nostre posizioni molto più di migliaia di volantini, trecento post contemporanei o costanti mini-comizi di piazza. Al contempo, gli esperimenti pratici ci permettono di imparare come funzionano davvero le dinamiche economiche e politiche istituzionali.


La prospettiva di apprendere i trucchi di un burocrate efficiente non ci fa esattamente venire l’acquolina in bocca, ma, come dicevano le Black Panther, il modo migliore per convincere le persone è fare. La violenza randomica e frammentaria nelle piazze è una performance che possiamo tranquillamente lasciare agli "anarchici sentimentalisti" (sempre per citare le Black Panther).

Se, dunque, abbiamo bisogno di laboratori in "media scala", quale occasione migliore della wave populista di sinistra per cogliere la palla al balzo? Un socialista a New York sarebbe il "Modello Lucano" più ambizioso degli ultimi decenni, una sorta di versione contemporanea di Vienna Rossa, stavolta nel cuore dell'Impero occidentale. Non possiamo permetterci il lusso di perdere anche questo treno.


L'alleanza politica tra movimenti e socialisti democratici ci permette di mettere in campo un doppio potere efficace, costituito da due anime complementari. Insieme, possiamo stabilire dei poli di potere alternativi a quelli del capitale – capaci di essere orizzontali e verticali, centralizzati e decentralizzati, distruttivi e costruttivi, dall’alto e dal basso – per tornare a mettere una pressione insopportabile sul groppone della politica che conta.



Conclusione


"Non è molto, ma è un lavoro onesto". Questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento di fronte alla nuova wave del socialismo democratico.


I socialisti democratici sono stati parzialmente delle vittime di loro stessi, spesso per via del loro testardo rifiuto ad utilizzare in modo tattico mezzi extra-istituzionali (un’operazione che addirittura l'estrema destra ha imparato a gestire...). Durante momenti di shock politico – la Brexit o il Covid – questi politici rimangono incastrati tra l'incudine e il martello, incapaci di abbracciare fino in fondo le proteste da sinistra più "scomode", ma palesemente a disagio nel co-governare con le forze moderate di centrosinistra.

Appena le maglie si allentano, però, i socialisti democratici sono capaci di andare all'attacco contro l'establishment e causare rotture, specialmente in ambito europeo, dove è "normale" avere più di due partiti che si scontrano alle elezioni.

In Spagna, Podemos è nata dai movimenti extra-istituzionali per la casa e per la cittadinanza ed ha spostato a sinistra l'apparato istituzionale spagnolo; in Francia, La France Insoumise taglia la testa dei governi di anno in anno; in Inghilterra, Jeremy Corbyn conduce un’offensiva contro l'establishment inglese da almeno 10 anni e il nuovo partito che ha lanciato da meno di una settimana ha già mezzo milione di iscritti.


Costruire un canale di dialogo, come abbiamo visto, è benefico sia per la sinistra populista (che ha un incentivo in più a stare sull'offensiva anche quando ha le spalle al muro), sia per i movimenti anticapitalisti (che possono finalmente direzionare l'energia delle piazze e delle pratiche sovversive verso i punti nevralgici del sistema).


Per la sinistra radicale contemporanea, dunque, è importante smettere di gettare la spugna ad un passo da vittorie istituzionali importanti. Questo masochismo politico è una delle grandi cause dei nostri fallimenti. La paranoia di regalare al nemico le proprie armi è una profezia che si autoavvera: se ci rifiutiamo di interagire col potere dominante, nella pretesa ridicola di voltare le spalle ai luoghi politici che contano, ogni nostra innovazione verrà automaticamente cooptata dal potere.

Per mantenere la sovversività delle nostre pratiche, dobbiamo essere in grado di controllarle sia in piccola che in larga scala.

In più, come abbiamo già accennato, non dobbiamo interpretare l’assorbimento delle nostre pratiche da parte del sistema come un’automatica vittoria dell’1%; si tratta, infatti, di un processo inevitabile, che in realtà sposta in avanti i terreni della lotta. Se lo gestiamo con cura, questo cambiamento può permetterci di mettere parecchia pressione al sistema fino ad arrivare all'inevitabile punto di rottura.

Il motto "I capitalisti ci venderanno la corda con cui l'impiccheremo" vuol dire anche questo: nell'assorbire le nostre pratiche per destabilizzarci nel presente (vendendoci la corda che tanto desideriamo), lo status quo ci dà i mezzi con cui condannarlo a morte nel futuro.


Ad oggi, è evidente che la sinistra populista e socialdemocratica ha giocato abbastanza bene le sue carte e sta riuscendo a catalizzare il supporto di quel blocco sociale stanco del "vecchio ordine" (il neoliberismo) e preoccupato del possibile "nuovo ordine" (il neofascismo). Negli ultimi anni, sono stati loro – e non i Movimenti No-Global – a influenzare in maniera più sostanziale il corso degli eventi della politica. Questo, purtroppo, è un dato di fatto.

Nel frattempo, la politica dal basso ha gettato i semi per un possibile contropotere diffuso al di là delle istituzioni, scegliendo come punto di riferimento il precariato giovane e multietnico delle grandi città.

Solo una fonte di potere extra-istituzionale ha la potenzialità di mettere pressione ai rappresentanti populisti che a loro volta possono raccogliere i frutti di queste lotte – attraverso riforme sostanziali, redistribuzione reale delle risorse e opposizione agli attacchi legislativi del nemico.

Questo continuo feedback tra movimenti sociali e sinistra populista è, a nostro parere, l'unica reale chance che abbiamo per ricostituire un nuovo polo politico, nonchè un doppio potere popolare di alto livello. Il nuovo partito lanciato da Corbyn e Zarah Sultana, ad esempio, ci sembra la sintesi più promettente di questo processo.


Il messaggio è chiaro, come detto da Mamdani stesso: "we are done settling for less". La sinistra ha bisogno di tornare all'offensiva e andare alla conquista del futuro, e, per farlo, deve necessariamente passare per un uso strategico del doppio potere dentro e fuori le istituzioni.

Ricostruendo la spina dorsale del precariato, possiamo consolidare una classe operaia 4.0, un nuovo blocco sociale in grado di influenzare la politica istituzionale – esattamente come sta provando a fare l'estrema destra, attraverso la sua alleanza interclassista tra piccola borghesia, partite IVA e giganti del tech.

Nuovi problemi richiedono nuove soluzioni, e la sinistra populista è l'unica che si è rivelata in grado di lottare ad armi pari contro l'ondata neofascista che ha caratterizzato la politica dell'ultimo decennio. Non commettiamo gli stessi errori di cento anni fa.