Momo è una favola anti-capitalista scritta negli anni ‘70 del 900.
Il fisico Richard Feynman diceva: se non riesci a spiegare un concetto in termini semplici, vuol dire che non l'hai capito. In questo senso, il romanzo di Michael Ende mette in luce in modo semplice e brillante alcuni temi fondamentali della critica-anticapitalista.
Gli antagonisti della storia sono letteralmente dei banchieri – altrimenti detti Signori Grigi. Questi loschi uomini d’affari girano il mondo con una valigetta in mano, cercando di convincere le persone ad aprire una Cassa di Risparmio del Tempo. La storia si svolge ai margini di una grande città ed è narrata dal punto di vista di Momo, una bambina paziente e curiosa.
Attraverso gli occhi di Momo, osserviamo i cambiamenti radicali che attraversa una comunità in via di "modernizzazione". Gli adulti lavorano sempre di più, e anche l’educazione dei bambini viene improvvisamente orientata all’ingresso nel mondo lavorativo. Nessuno può più “permettersi” di pensare creativamente o organizzare una vita comunitaria piacevole. Sono tutti troppo impegnati a risparmiare in vista di un profitto lontano, che forse ammonterà ad un decennio di pace dopo sessant’anni di fatica.
Non c’è bisogno di leggere tra le righe. Il messaggio del libro è chiaro: la mentalità del risparmio – e, più in generale, del profitto – ci impedisce di godere dell’abbondanza di cui già disponiamo.
Incredibilmente, l’autore del romanzo non era un Marxista. Anzi, Michael Ende si prende gioco di Marx proprio nelle prime pagine di Momo, e neanche troppo velatamente.
Noi, però, non dobbiamo farci ingannare. La morale della favola rimane la stessa: quando non bisognerà più produrre il massimo nel minor tempo possibile, il mondo ritornerà pieno di colori.