7/11/2024
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il Sistema

Una Rilettura di Lenin

Cosa recuperare dal leader della Rivoluzione Russa, al di là dei soliti inutili dibattiti?
#lenin
Cosa recuperare dal leader della Rivoluzione Russa, al di là dei soliti inutili dibattiti?

È inutile girarci troppo intorno: Lenin fa parte di una schiera di politici condannati alla damnatio memoriae. Per ogni nerd o militante che di tanto in tanto prova a tirarlo fuori – strumentalizzandolo o sfigurandolo a seconda dei casi - ci sono almeno cento persone che a malapena sanno chi è, e/o che lo conoscono soltanto come un dittatore sanguinario.

Nell’immaginario politico comune, Lenin è una follia politica del passato, il sintomo di un secolo marcio che abbiamo fortunatamente superato.


Il ricordo di Lenin è stato plasmato su questa damnatio memoriae. Nonostante fosse una figura di spicco nell'organizzazione dei Soviet – la forma più elevata di democrazia operaia del suo tempo – Lenin è passato alla Storia come un tiranno.



Usiamo il termine ‘sinistra neoanarchica’ per descrivere la fazione egemonica all’interno dei Movimenti anticapitalisti occidentali contemporanei. Mark Fisher ce ne dà una critica lucida e sintetica in in questo articolo.

I nemici di classe lo snobbano come un invasato, che ha manipolato un popolo intero per i suoi sporchi interessi (cosa che loro invece non farebbero mai). La sinistra neo anarchica, invece, lo considera un “fascista rosso”, un traditore della rivoluzione, nonché il teorico della sinistra "statalista" (qualsiasi cosa “statalista” voglia dire).

Gli accademici hanno letto l’espressione “dittatura del proletariato” e si sono abbandonati in una lettura mistificata e fuorviante della sua intera visione politica. All’interno dei Movimenti, invece, Lenin è spesso il simbolo del vecchio militante, uno di quelli rigidi e verticali, che sostiene la burocrazia e l'autoritarismo disciplinare, soffocando l’inventiva militante.


Infine, troviamo un’esigua minoranza di persone che idealizza Lenin in due modi diversi.

Da una parte, c’è chi è rimasto bloccato nel passato, incapace di superare il trauma del cambio di paradigma fordista e del crollo dell’Urss, e che nel 2024 ripropone ciecamente e acriticamente tutto ciò che Lenin abbia mai detto o fatto più di un secolo fa. Di solito hanno alle spalle un partito dal nome esotico (Partito del Comunismo Ultra-Leninista-Maoista Fortissimo) e provano a venderti giornali incomprensibili porta a porta, ripetendo costantemente parole come “proletariato” e “borghesia” anche davanti agli sconosciuti.

Dall’altra, ci sono quei militanti che vogliono darsi un tono, e che sono davvero convinti che il Movimento di oggi sia, con poche correzioni, una fedele riproduzione delle strategie politiche leniniste: una vera e propria illusione, nata da una rilettura di Lenin fatta un po’ a caso.


A noi non interessa proporre una lettura totale Lenin. Piuttosto, vogliamo recuperare una legacy importante che è andata persa nel contraddittorio passaggio di consegne tra la Sinistra Operaia novecentesca e la Nuova Sinistra intersezionale: la concezione pragmatico-strategica della politica (da non confondere con la Realpolitik di Stalin).


Più che impelagarci in dibattiti infiniti e dualistici e rispondere sempre alle solite domande – ma Lenin era autoritario o libertario, democratico o dittatoriale, statalista o anti-statalista? – vogliamo far tesoro degli strumenti pratico-teorici che questa figura storica ha lasciato in eredità ai Movimenti.

Di Lenin non dovremmo cercare di riprodurre il partito bolscevico, il giornale, i soviet, o la specifica tattica con cui lə operaiə russə hanno preso il potere.

Quello che dovrebbe interessarci è la funzione che egli attribuisce ai singoli pezzi del puzzle, alle strategie e alle istituzioni della classe operaia, per creare un Movimento flessibile e adattabile ad ogni circostanza.


Il giornale, il partito, i soviet, i colpi di stato… sono tutti strumenti specifici attraverso cui attualizzare un processo rivoluzionario realistico, che parta dal presente. A noi il compito di rielaborare la legacy strategica leninista e aggiornarne gli strumenti.


In generale – e specie in questo drammatico momento di impasse strategico ereditato dai Movimenti No-Global – ci sembra ridicolo snobbare la sinistra operaia soltanto perché crediamo che sia stata "superata" dal Post-Fordismo.

È vero che il paradigma oggi è cambiato, ma, finchè esisterà il capitalismo, esisteranno le condizioni di esistenza fondamentali contro cui lottavano i Movimenti di quegli anni.


Nei capitoli successivi, dunque, cercheremo di scomporre e ricomporre il pensiero e la prassi di Lenin sotto un punto di vista strategico. La costruzione del processo rivoluzionario, l'anti-utopismo, la concezione del Contropotere e l'uso di ogni mezzo necessario per la conquista delle istituzioni sociali: sono questi gli ingredienti più importanti della cucina bolscevica.


Nel penultimo capitolo, criticheremo brevemente l'idealizzazione della disciplina leninista. Infine, proveremo a rimettere insieme i pezzi ed arrivare ad una conclusione unitaria.

I.

La Rivoluzione è un’Opera in Costruzione

Il Movimento odierno è un tentativo ancora incompiuto di gestire il grande trauma recente della sinistra anticapitalista – il crollo dell'Unione Sovietica. L'Urss è stata per mezzo secolo non solo un faro attorno a cui si sono condensate le speranze di un futuro post-capitalista, ma anche il sostegno materiale, finanziario e logistico della sinistra operaia del Novecento.

Il suo crollo non poteva che essere traumatico: il più importante esperimento comunista di sempre si era rivelato non solo incredibilmente ambiguo e contraddittorio ma, infine, anche fallimentare.

La sinistra post-Urss ha compensato in eccesso le problematiche dell’Unione Sovietica, e se ne è distanziata in modo molto netto.

Nel farlo, si è persa per strada una serie di strumenti politici, economici e strategici fondamentali e ne ha sviluppati di nuovi, spesso deleteri per la causa rivoluzionaria.


I Movimenti odierni (quelli dagli anni 90 in poi) hanno sviluppato una sorta di senso comune implicito, che crede ciecamente nell’idea del Grande Evento.

Nessuno ha mai realmente teorizzato questo concetto "in positivo", ma fidatevi: l’aria dei Movimenti è pervasa da questa strana credenza, questa fede che getta le sue radici nel filone ideologico di chi vuole "cambiare il Mondo senza conquistare il potere" – un vero e proprio ossimoro politico.


È stato Mark Fisher a coniare il termine, con l’esplicito scopo di criticarlo.


Fisher rileva quest’idea implicita per cui a furia di scendere in piazza ogni volta che succede qualcosa di "brutto", le mobilitazioni cominceranno ad auto-alimentarsi vicendevolmente, fino a quando non saremo semplicemente in troppi in piazza; a quel punto, la classe al potere non potrà più ignorarci e giungeremo al momento di rottura con lo Status Quo. Questo culmine è proprio il Grande Evento.

L’atteggiamento politico che consegue consiste nell’attesa: ad un certo punto le masse reagiranno spontaneamente alle follie del capitale, e il nuovo sistema emergerà naturalmente dai desideri immediati delle persone.


“Il tentativo di spiegare o giustificare non tanto la magia in sé, ma la convinzione di poter influenzare magicamente la realtà secondo i pensieri e i desideri personali [...]” Definizione di pensiero magico in psicologia.

È chiaro, allora, perché nessuno abbia mai teorizzato positivamente un concetto del genere – si tratta dell'equivalente politico del pensiero magico in psicologia.

In sostanza, ci troviamo davanti ad un meccanismo di difesa teorico che vuole proteggere la psiche collettiva dei Movimenti dalla realtà: la nostra incapacità di spostare gli equilibri di potere.


Questo senso comune implicito deriva da un'approssimativa critica al concetto di avanguardia in Lenin. Secondo questa critica, il leninismo ha fallito perché voleva delegare il processo rivoluzionario ad una ristretta élite (l'avanguardia) che pianifica e impone dall'alto una rivoluzione scollegata dalle masse. Per non peccare di questa “presunzione” quindi, il Movimento di oggi si forma in modo ultra-orizzontale, senza nessuna "pretesa" di aumentare la scala del suo operato.


Dunque si viene a creare una falsa dicotomia nella psiche di chi milita: o il processo rivoluzionario avviene attraverso una visione pianificatrice dall'alto, oppure da un insieme di pratiche dal basso spontanee.

Non solo – la dicotomia si fa immediatamente più profonda e arbitraria; improvvisamente, c’è chi crede in una rivoluzione oggettiva e dogmatica e chi vuole sperimentarne una soggettiva e fluida. Posta così chi è che non sceglierebbe la seconda alternativa?

Tutto ciò è l'ennesima opera di masochismo politico dei Movimenti occidentali.


Quando leggiamo Lenin, ci accorgiamo immediatamente che il leader russo non sta proponendo affatto una rivoluzione pianificata, e si sta approcciando il problema da tutt’altro punto di vista.

Lenin riconosce la fondamentale importanza della soggettività (intesa come la parte cosciente, attiva e militante del movimento che trasforma lo Status Quo) ma ritiene che ogni soggettività deve agganciarsi necessariamente alle condizioni oggettive presenti in quel momento. Nessun Movimento ha cambiato il mondo solo perchè lo desiderava più di ogni altra cosa.


  • "Per la rivoluzione non è sufficiente che le masse sfruttate e oppresse siano coscienti dell'impossibilità di vivere come per il passato e reclamino dei cambiamenti; per la rivoluzione è necessario che gli sfruttatori non possano più vivere e governare come per il passato. Soltanto quando gli «strati inferiori» non vogliono più vivere come per il passato e gli «strati superiori» non possono più andare avanti come prima, allora la rivoluzione può vincere."


Perché le condizioni soggettive (le classi sfruttate pretendono che le cose cambino) si allineino con quelle oggettive (gli sfruttatori non sono più in grado di esercitare il proprio potere), serve più che la sola pianificazione o la sola attesa di una rivolta spontanea.

Lenin rompe la falsa dicotomia per noi. La rivoluzione non va né pianificata, né aspettata: va costruita.


Un’opera in costruzione ha bisogno di strutture solide, in grado di rispondere colpo su colpo alla classe al potere, nel tentativo di vincere una guerra di posizione e di lungo periodo con la classe nemica.

La struttura costituisce l'impalcatura materiale su cui si sviluppa l'inventiva, la creatività e la fluidità di movimento dell'attività soggettiva.

Solo delle basi solide permettono di liberare il tempo e la lucidità necessari all'attività politica. Fino a che impegneremo ogni nostra giornata a riprodurre le condizioni di esistenza delle singole organizzazioni di cui facciamo parte, non saremo mai in grado di proporre un progetto politico dinamico e fluido.


Il processo rivoluzionario va articolato in ogni campo della vita sociale, deve avere priorità chiare e strategiche, e, soprattutto, deve sviluppare una capillare divisione interna del lavoro.


Un Movimento forte è composto da una varietà ampia e ben integrata di contro-istituzioni, ognuna con la sua funzione specifica. Oggi invece ogni spazio sociale è un’isola a sè, in un mondo sempre più interdipendente e socializzato.

Il partito, il giornale, l'avanguardia e gli altri termini "spaventosi" della tradizione bolscevica non vanno perciò né ignorati né replicati in modo acritico. Piuttosto, dobbiamo comprenderne la loro funzione specifica per poter costruire oggi delle contro-istituzioni nuove, efficaci nel presente e in grado di cambiare il futuro.


Queste istituzioni, in generale, emergono dalla necessità di suddividere in modo coordinato il lavoro rivoluzionario. Prendiamo come esempio l'istituzione di un giornale. Lenin scrive,


  • “Nell'Europa moderna senza un organo di stampa politico è inconcepibile un movimento che meriti di essere chiamato politico. Senza un organo di stampa politico è assolutamente impossibile adempiere il nostro compito di concentrare tutti gli elementi di malcontento e di protesta politica, di fecondare con essi il movimento rivoluzionario del proletariato"


L'equivalente odierno di un giornale, a nostro parere, potrebbe essere la costruzione di una piattaforma mediatica anticapitalista, una piattaforma mediatica di larga scala esplicitamente a favore della democrazia operaia, in grado di rivaleggiare con le grandi multinazionali dell'informazione. Ma potrebbe essere anche qualcos’altro. L’importante è che la funzione strategica delineata da Lenin rimanga intatta.

Abbiamo bisogno di un organo politico in grado di "concentrare gli elementi di malcontento e di protesta politica" per dare rifornimento al "movimento rivoluzionario".


Ma non solo:


  • "Un giornale, tuttavia, non ha solo la funzione di diffondere idee, di educare politicamente e di conquistare alleati politici. Il giornale non è solo un propagandista e un agitatore collettivo, ma anche un organizzatore collettivo. Sotto quest'ultimo aspetto lo si può paragonare alle impalcature che rivestono un edificio in costruzione ma ne lasciano indovinare la sagoma, facilitano i contatti tra i costruttori, li aiutano a suddividersi il lavoro e a rendersi conto dei risultati generali ottenuti con il lavoro organizzato. Attraverso il giornale e con il giornale si formerà un'organizzazione permanente, che si occuperà non soltanto del lavoro locale, ma anche del lavoro generale sistematico, che insegnerà ai suoi membri a seguire attentamente gli avvenimenti politici, a valutarne l'importanza e l'influenza sui diversi strati della popolazione, a elaborare quei metodi che permettono al partito rivoluzionario di esercitare la sua influenza sugli stessi avvenimenti. Lo stesso compito tecnico di assicurare al giornale un regolare rifornimento di materiale e una regolare diffusione costringerà a creare una rete di fiduciari locali del partito unico, fiduciari che dovranno mantenersi in contatto vivo gli uni con gli altri, dovranno conoscere la situazione generale, abituarsi ad eseguire regolarmente una parte del lavoro per tutta la Russia, a saggiare le loro forze organizzando ora questa ora quell'azione rivoluzionaria.”


Insomma, per Lenin una piattaforma mediatica di larga scala è addirittura un "organizzatore collettivo" in grado di organizzare il "lavoro generale sistematico".

Strumenti del genere permettono che la parte impersonale, sistematica e strutturale del nostro agire politico proceda senza intoppi.


Le “strutture” del Movimento oggi sono un tabù, un segreto di Pulcinella con cui nessuno ha voglia di fare i conti.

Lenin ci ricorda che senza "impalcature che rivestono l'edificio” – e che "facilitano i contatti tra i costruttori", aiutandoli a "suddividersi il lavoro” – non si va da nessuna parte.


Oggi, la benché minima forma di coordinamento di larga scala è vista come un tentativo pericoloso di burocratizzazione che potrebbe colpire l'autonomia e la creatività delle classi oppresse.

Invece di aumentare il proprio raggio d'azione, ogni organizzazione cerca dunque il mito dell'autosufficienza e si isola dalla società, e se ci riesce si trasforma al massimo in una bolla effimera, frazionata e sconnessa dal mondo reale.

In genere, le realtà non si specializzano in determinate funzioni pratiche, ma provano a fare un po’ tutto; di conseguenza, ovviamente, non riescono a fare praticamente niente.



Alla fine, stiamo parlando di un tentativo (seppur condotto a metà) di transizione economica. Un tentativo durato 70 anni che, con tutti i suoi difetti, ha forzato la mano del capitale più di quanto abbia fatto qualsiasi Movimento negli ultimi 40 anni.

Lenin, 15 anni prima di guidare la Rivoluzione più importante della Storia, si trovava davanti ad un Movimento simile al nostro. E su questo tema ci va giù pesante.


  • "Il nostro movimento, sia dal punto di vista ideologico che da quello pratico, organizzativo, soffre sempre di più a causa del suo frazionamento, dato che l'enorme maggioranza [dei suoi militanti] è quasi completamente assorbita dal lavoro puramente locale, che restringe il suo orizzonte, l'ampiezza della sua attività, la sua esperienza clandestina e la sua preparazione. Appunto in questo frazionamento si debbono cercare le radici più profonde della sua instabilità.”


Le strutture di coordinamento di massa servono a liberare lə militantə dalla necessità costante di mantenere in vita la loro organizzazione.

Solo così sarà possibile concentrare le loro forze su ciò che conta davvero: la costruzione del contropotere (e su questo torneremo nel capitolo successivo).


Ritorniamo al concetto di avanguardia in Lenin, a cui abbiamo accennato all’inizio dell’articolo. Spesso, Lenin è descritto come il teorico del “socialismo dall’alto”, un politico che fondamentalmente snobbava l’agire delle masse. Al contrario, però, la Storia ci insegna che nessun Movimento è stato in grado di interagire con le masse come quello operaio novecentesco – i cui punti di riferimento erano marcatamente leninisti.

Lo stesso Lenin polemizzava con chi voleva imporre una "direzione calata dall'alto" all'interno dei Movimenti.

L’avanguardia – la componente più cosciente di ogni Movimento, disposta a concentrare tutte le sue energie nella causa rivoluzionaria – non è un gruppo di militanti altezzosi, staccati dalla concretezza delle dinamiche sociali. Al contrario,


  • "Simili [militanti] possono educarsi solo se si abituano a valutare quotidianamente e sistematicamente tutti gli aspetti della nostra vita politica, tutti i tentativi di protesta e di lotta compiuti dalle diverse classi per cause diverse."


L'avanguardia, dunque, è una componente strutturale dei Movimenti che, attraverso un oculato lavoro quotidiano di indagine del reale e di valutazione critica delle lotte operaie, è in grado di assorbire e ridirezionare il mirino del malcontento popolare verso la vera causa di ogni male: lo sfruttamento economico e l'oppressione classista.

Specialmente nei periodi in cui la classe al potere è così brava a manipolare il malcontento popolare, una componente del genere – chiamatela avanguardia, chiamatela come vi pare – è più che necessaria.


Una gran parte dei problemi strutturali dei Movimenti odierni deriva da un dilagante spontaneismo emerso dopo il ‘68.

Se abbiamo sempre in mente la dicotomia tra anticapitalismo “dall’alto” e Movimenti “dal basso”, allora l’unica alternativa alla brutta idea della pianificazione rivoluzionaria è lo spontaneismo.

Il Grande Evento – di cui abbiamo parlato all’inizio del capitolo – si sposa naturalmente con lo spontaneismo. Parliamo alla fine di un risveglio spontaneo della coscienza delle classi oppresse che, stanche di subire lo sfruttamento e la violenza sistemica sulla loro pelle, si ribellano una volta per tutte.


L’obiettivo del Movimento, a questo punto, sembrerebbe continuare a scendere in piazza per “rompere l’ordinario” e per lasciare delle tracce che risveglino la coscienza delle persone.

Con questa premessa, la fase più difficile del processo rivoluzionario diventa saper convincere sempre più persone che questo sistema è marcio. In gergo, questo processo si chiama “attivazione della soggettività”.


Anzi, questo sforzo è l’unico sforzo utile alla Rivoluzione. Dal Grande Evento in poi, tutto è già inclinato a nostro favore, e la società futura emergerà spontaneamente dalle singole comunità.


Ancora una volta, questo è chiaramente un pensiero magico.


In realtà, Lenin non era un nemico dello spontaneità delle lotte, tutt'altro. Secondo il rivoluzionario, è molto probabile che il trigger di una rivoluzione sociale parta da un'insurrezione non organizzata, scoppiata al di là dei calcoli politici.


  • "È pienamente possibile e storicamente molto più probabile che l’autocrazia cada sotto la pressione di una di quelle esplosioni spontanee o di quelle complicazioni politiche imprevedibili che minacciano continuamente da tutte le parti."


Ma, in primis, questo scoppio insurrezionale può essere captato e indirizzato solo con delle strutture di Movimento solide. In più, questa costruzione non è neanche la parte più difficile del processo rivoluzionario.

La vera sfida arriva quando queste strutture sono abbastanza solide da poter contestare apertamente il potere dei capitalisti. La parte più difficile arriva dopo il momento di rottura decisivo, del Grande Evento.

Non basta far esplodere il cambiamento: bisogna anche renderlo sostenibile e riproducibile nel lungo periodo.


La parte più delicata della rivoluzione è quindi la transizione storica, quella in cui i due sistemi economici, e le loro rispettive classi sociali, si contendono apertamente il potere dominante.


  • "Dopo la prima rivoluzione socialista del proletariato, dopo l'abbattimento della borghesia in un paese, il proletariato di questo paese resta per molto tempo più debole della borghesia, anche semplicemente a causa dei formidabili legami internazionali della borghesia, poi a causa della ricostruzione, della rinascita spontanea e continua del capitalismo e della borghesia ad opera dei piccoli produttori di merci nel paese stesso che ha abbattuto il dominio borghese. Si può vincere un nemico più potente soltanto con la massima tensione delle forze."


  • "La guerra per il rovesciamento della borghesia internazionale è cento volte più difficile, più lunga e più complicata della più accanita delle guerre abituali tra gli Stati."


I Movimenti attuali ignorano completamente questo aspetto, sottovalutando la situazione che si creerà una volta preso il potere. Nel senso comune odierno, basta affidarsi ad uno spontaneismo idealizzato secondo cui le classi oppresse sanno già quello che è meglio per loro.

Già solo questo ci fa capire quanto siamo rimastə indietro. Il Movimento è praticamente bloccato al punto di partenza.



Citazione di Karl Marx, Manifesto del Partito Comunista.

Costruire la rivoluzione vuol dire far nascere e curare "l'embrione della società futura nel grembo di quella odierna società odierna".

Non possiamo aspettare che le persone cambino per fare la rivoluzione, ma, al contrario, è nostro dovere organizzarla sulla base di come le persone agiscono ora.


  • "Non siamo utopisti. Non sogniamo di fare a meno, dall’oggi al domani, di ogni amministrazione, di ogni subordinazione; questi sono sogni anarchici [...] che di fatto servono solo a rinviare la rivoluzione socialista fino al giorno in cui gli uomini saranno cambiati. No, noi vogliamo la rivoluzione socialista con gli uomini quali sono oggi, e che non potranno fare a meno né di subordinazione, né di controllo."


In sostanza, abbiamo il compito di costruire delle strutture progettate su misura per il nostro presente, capaci di gettare i semi di una società futura prospera ed emancipata anche all’interno di un ecosistema ostile come quello capitalista.


Ecco che, da questo semplice assunto di base, sbuca l'imponente "anti-utopismo" di Lenin, uno schiaffo di realtà che ogni organizzazione anticapitalista dovrebbe ricevere nella sua prima settimana di militanza.

Un Movimento incapace di cambiare realmente il Mondo, abituato a rifugiarsi in immaginari utopistici – spesso molto ingenui e quasi infantili – ha bisogno di un po' del realismo comunista bolscevico.


Plasmare il Movimento per come le persone "sono fatte oggi", significa agganciarsi alla complessità delle loro esigenze e dei loro desideri immediati.

Invece di inventarsi desideri falsi o socialmente imposti e contrapporli a delle necessità essenzializzate (un grande vizio della Nuova Sinistra, specie in Occidente), sarebbe il caso di dar vita a delle infrastrutture sociali in grado di captare e decifrare i desideri odierni immediati, e costruire attorno ad essi una nuova progettualità politica di ampia gittata.

Agganciare i desideri immediati operai alla progettualità politica è la difficile opera di costruzione del consenso. Un consenso diffuso è un importante leverage per la lotta: solo quando si ha legittimità popolare alle proprie spalle si può osare e alzare il livello del conflitto.


A questo punto, abbiamo visto due punti importanti del pensiero di Lenin: l’importanza della costruzione di strutture di Movimento e l'anti-utopismo.

I Movimenti possono dare vita a soluzioni strategiche e creative solo quando hanno le spalle coperte da un'impalcatura politica rodata, che procede senza intoppi e che permette una funzionale divisione del lavoro rivoluzionario.

Queste strutture devono essere plasmate sulla base delle "persone come sono fatte oggi", inserendosi nelle loro complesse dinamiche di esigenze e desideri e costruendoci sopra un progetto politico di larga scala.


Questa visione lascia poco spazio a moralismi da 4 soldi. Piuttosto, l’attenzione è focalizzata sulla costruzione concreta di strutture politiche funzionali, in grado di inclinare il campo dello scontro politico dalla nostra parte.

II.

Contropotere, con Ogni Mezzo Necessario

Al di là di varie retoriche e autonarrazioni, il problema operativo dei Movimenti di oggi raggiunge il suo apice nella rilettura di un famoso articolo di Audre Lorde: The Master’s Tools will Never Destroy the Master’s House.

Lorde, in questo brevissimo articolo, ci ricorda che non è possibile costruire una teoria politica radicale e intersezionale senza lasciare spazio a voci marginalizzate su più fronti. Il concetto è abbastanza intuitivo, e non è difficile immaginarsi perché una donna nera, lesbica e comunista abbia avuto bisogno di esprimerlo.


In tantə, però, si sono fermatə al titolo dell’articolo, immaginandosi che Lorde stia suggerendo di abbandonare ogni rapporto con le istituzioni sociali, inevitabilmente corrotte. Una lettura del genere è molto conveniente per dei Movimenti che faticano a – o si rifiutano di – costruire strumenti di leverage concreti in simili istituzioni.


Quando ogni rapporto istituzionale e ogni compromesso con lo Status Quo viene percepito come un pericolo, l’unico percorso praticabile si dirama fuori dal capitalismo, e su di esso si concentrano tutte le nostre speranze di trasformazione radicale e di rivoluzione sociale.

Gli spazi sociali si auto-definiscono spesso come dei luoghi in cui il capitalismo "non passa". Le nostre lotte evitano esplicitamente non solo ogni contatto istituzionale, ma anche specifiche rivendicazioni politiche(!).


Lenin critica atteggiamenti simili in Estremismo: Malattia Infantile del Comunismo partendo da una citazione di Engels contro la strategia blanquista.


  • "I 33 blanquisti sono comunisti perché immaginano che, dal momento che essi vogliono saltare le stazioni intermedie e i compromessi, la cosa sia bell'e fatta, e che se (come essi credono fermamente) l'affare "incomincerà" a giorni e il potere verrà a trovarsi nelle loro mani, il giorno dopo "sarà instaurato il comunismo". In conseguenza, se la cosa non si può far subito, essi non sono comunisti. Quale puerile ingenuità portare come argomento teorico la propria impazienza!"


Ancora una volta, ritorniamo al tema del Grande Evento descritto nel capitolo precedente – “il giorno dopo sarà instaurato il comunismo”.

Sono tutti segnali che emergono quando i Movimenti non sono in grado di cambiare le condizioni politiche che li circondano.


La questione è molto più semplice: non esiste un rifugio dal capitalismo, né una meta inalterata dalle sue dinamiche.

Anzi, fatevelo dire da persone che hanno gestito casse comuni di autofinanziamento: se c'è un luogo in cui abbiamo realmente sperimentato la pressione dei vincoli capitalistici, è stato proprio durante la nostra militanza politica.

Il capitale è una relazione sociale totale, che abbraccia ogni aspetto e luogo della società. E da questo non possiamo scappare.


Oltretutto, rifiutarsi di stabilire rapporti con le istituzioni è semplicemente uno spreco di energie. Il capitalismo è un sistema costellato da contraddizioni, pieno zeppo di potenzialità emancipatorie inesplorate.

Sono tanti i leverage che possiamo sfruttare all’interno delle istituzioni, nei luoghi in cui il potere si concentra per svolgere delle funzioni specifiche in supporto al sistema economico.

La competizione tra capitalisti, le crisi politiche parlamentari, le istituzioni del sapere… il leverage politico é praticamente ovunque quando sai dove guardare. Serve solo la giusta strategia.


Lenin fu il teorico del "con ogni mezzo necessario", una legacy persa dopo la sconfitta delle Black Panther in America e del Panafricanismo.


  • "Si può vincere un nemico più potente soltanto con la massima tensione delle forze e alla condizione necessaria di utilizzare nella maniera più diligente, accurata, attenta, abile, ogni benché minima «incrinatura» tra i nemici, ogni contrasto di interessi tra la borghesia dei diversi paesi, tra i vari gruppi e le varie specie di borghesia all'interno di ogni singolo paese, e anche ogni minima possibilità di guadagnarsi un alleato numericamente forte, sia pure temporaneo, incerto, incostante, instabile, infido, non incondizionato."


Non esiste un mezzo giusto, una pratica corretta e universale con cui costruire la lotta politica. Il Movimento deve disporre di un ampio set di tattiche diverse, in modo da poter sfruttare ogni possibile vantaggio e adattarsi alle condizioni del presente.

La stessa tattica, pratica e mobilitazione può essere utile o dannosa a seconda della situazione specifica. La classe al potere si adatta, le condizioni socioeconomiche cambiano, la classe operaia matura posizioni più o meno radicali – tutte queste dinamiche devono essere prese in considerazione.


  • "Il boicottaggio bolscevico del «Parlamento» nel 1905 arricchì il proletariato rivoluzionario di una esperienza politica straordinariamente preziosa, mostrando che nel combinare le forme di lotta legali e illegali, parlamentari ed extraparlamentari, è talora utile, e perfino necessario, sapere rinunciare a quelle parlamentari. Ma trasportare alla cieca, per pura imitazione, in modo non critico, questa esperienza in condizioni diverse, in una situazione diversa, è un gravissimo errore."


Come dicevano Liebknecht e Rosa Luxemburg: "Se le circostanze cambiano in ventiquattro ore, anche la nostra tattica deve cambiare in ventiquattro ore".


Al tempo stesso, Lenin riconosce questo "sinistrismo" come una forma di Movimento perversa ma tendenzialmente in buona fede. Al contrario di quelli che chiama "opportunisti", pronti a tradire ogni promessa fatta alle classi oppresse pur di mantenere il proprio potere, l'estremismo di sinistra pecca di ingenuità, mancanza di approccio strategico ed impazienza.

Una vera e propria psicoanalisi dell'inconscio dei Movimenti odierni. Riferendosi alle parole dei compagni "comunisti di sinistra" in Inghilterra Lenin afferma:


  • "Questa lettera alla redazione, secondo me, esprime perfettamente lo stato d'animo e il punto di vista di giovani comunisti o di operai della massa, che incominciano appena a venire al comunismo. Tale stato d'animo è confortante e prezioso al massimo grado; bisogna saperla apprezzare e appoggiare perché senza di essa, la rivoluzione proletaria in Inghilterra, come in qualsiasi altro paese, non avrebbe speranza di vittoria. Le persone che sanno esprimere questo stato d'animo della masse, che sanno suscitar nelle masse un simile stato d'animo (spesso assopito, non cosciente, non ancora risvegliato), devono essere trattate con riguardo e aiutate con sollecitudine in tutti i modi. Ma nello stesso tempo bisogna dir loro francamente, apertamente, che lo stato d'animo delle masse da solo non basta per dirigere le masse nella immane lotta rivoluzionaria, e che certi errori che le persona più devote alla rivoluzione sono in procinto di commettere o commettono, possono danneggiare la causa della rivoluzione."


E ancora,


  • "L'autore della lettera è animato da un nobile odio proletario. Quest'odio di un rappresentante delle masse oppresse e sfruttate è in verità il «principio di ogni saggezza», il fondamento di ogni movimento socialista e comunista e delle sue vittorie. Ma l'autore, evidentemente, non tiene conto del fatto che la politica è una scienza e un'arte che non cade dal cielo ma richiede uno sforzo, e che il proletariato, se vuol vincere la borghesia, deve formare da sé i propri «politici di classe», proletari, che non siano peggiori dei politici borghesi."


A questa ingenuità giovanile e ben intenzionata, Lenin contrappone l'esperienza operaia di lunga data.


  • "Ma i proletari che si sono educati attraverso ripetuti scioperi (per prendere questa sola manifestazione della lotta di classe), assimilano di solito mirabilmente la profondissima verità (filosofica, storica, politica, psicologica) esposta da Engels. Ogni proletario ha partecipato a qualche sciopero, ha sperimentato qualche «compromesso» con gli odiati oppressori e sfruttatori quando gli operai dovevano riprendere il lavoro o senza avere ottenuto nulla o accettando un parziale soddisfacimento delle loro rivendicazioni. Ogni proletario, grazie alla situazione di lotta delle masse e di forte inasprimento dei contrasti di classe in cui egli vive, osserva la differenza fra un compromesso imposto dalle condizioni obiettive (la cassa degli scioperanti è povera, essi non ricevono aiuti, hanno sofferto la fame e sono estenuati fino all'impossibile), cioè fra un compromesso che non pregiudica affatto l'abnegazione rivoluzionaria e la volontà di continuare la lotta degli operai che lo concludono, e il compromesso dei traditori, che scaricano sulle cause obiettive la loro vigliaccheria, il loro desiderio di ingraziarsi i capitalisti, la loro arrendevolezza di fronte alle intimidazioni, talvolta di fronte alle lusinghe, talvolta di fronte alle elemosine dei capitalisti."


È vero, c'è sicuramente del paternalismo nelle parole di Lenin, specialmente in questa associazione un po’ troppo facile tra giovane militante e ingenuità politica. Rimane innegabile, però, che le prese di posizione "di principio" delle organizzazioni anticapitaliste odierne siano un grosso peso, una zappa che continuiamo imperterritə a tirarci sui nostri piedi.

Il Movimento che ha scelto di distinguersi dalla "Vecchia Sinistra" per la sua presunta fluidità e inventiva, finisce per irrigidirsi e crollare su sé stesso. La maggior parte delle strategie possibili vengono escluse a priori, e la creatività sovversiva viene soffocata sul nascere.


Ok, abbiamo capito che la rivoluzione dev’essere costruita con ogni mezzo necessario. Ma che tipo di edificio dovrebbe venire fuori dalla nostra impalcatura? Cos'è che bisogna costruire "con ogni mezzo necessario"?

In una sola parola, dobbiamo costruire il Contropotere.

Lenin non usa mai esplicitamente questo termine, ma è innegabile che l'obiettivo dei Soviet fosse alimentare un embrione comunista all'interno della società semifeudale e semi-borghese russa. Questo embrione risponde perfettamente alla definizione di Contropotere.


Prima di addentrarci in questo concetto, è bene parlare dell’altra faccia della medaglia della rivoluzione russa: la concezione del potere costituito.

Su questo tema, l’impostazione di Lenin è tipicamente marxista: il potere politico dominante è generato dalla forma classista della società.


  • "La classe lavoratrice – scrive Marx nella Miseria della filosofia – sostituirà all'antica società civile un'associazione che escluderà le classi e il loro antagonismo, e non vi sarà più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il riassunto ufficiale dell'antagonismo [delle classi] nella società civile."


È vero che ad oggi questa posizione risulta abbastanza riduzionista; sappiamo bene che la struttura economica non è la sola fonte di oppressione sociale.

Al tempo stesso, però, l'impianto economico è la base materiale su cui si sviluppa la costellazione di oppressioni presenti nella società.

La nostra attenzione, però, dovrebbe concentrarsi su l'ultima frase della citazione di Marx estrapolata da Lenin: il potere è la sintesi dell’incessante scontro tra le classi sociali.


Questo significa che non ci troviamo davanti ad un qualcosa di necessariamente fisso ed essenzializzato. Anzi, il potere di oggi è il risultato del successo o del fallimento delle lotte passate, ed il potere di domani dipende dall'efficacia delle lotte di oggi.

È proprio questa visione fluida e dinamica del potere che permette ad un Movimento di interagire con la società e spostarne gli equilibri. Se invece, come purtroppo succede oggi, le istituzioni del potere vengono percepite come degli organi fissi e immutabili, il Movimento rimarrà bloccato nell'immobilismo e nel fatalismo.


Al contempo, Lenin riconosce nel potere anche una componente strutturale, che fornisce radici forti e solide capaci di sostenere la sua parte dinamica.

Sempre seguendo l’impostazione marxista classica, la sintesi più nitida dell'antagonismo delle classi sociali è lo Stato moderno, la struttura di potere più adatta alle dinamiche classiste specifiche del capitalismo.


  • "Lo Stato è un'organizzazione particolare della forza, è l'organizzazione della violenza destinata a reprimere una certa classe."


  • "Lo Stato è la confessione che la società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'"ordine."


  • "Le classi sfruttatrici hanno bisogno del dominio politico per il mantenimento dello sfruttamento, vale a dire nell'interesse egoistico di un'infima minoranza contro l'immensa maggioranza del popolo."


Lo Stato è "l'ufficio di gestione degli affari borghesi", un apparato dedicato alla riproduzione materiale e ideologica del capitalismo e al mantenimento del potere della classe dei padroni; è il coordinatore di tutte le istituzioni che mantengono in piedi il sistema, dalle forze dell'ordine alle istituzioni di riproduzione della forza-lavoro, passando per la gestione dei costi sociali della competizione e del profitto.


Il potere, dunque, è una sintesi in costante divenire. Lo Stato è la forma strutturale particolare tramite cui questo potere si perpetua.

Se il potere e lo Stato sono le modalità con cui una classe impone i suoi interessi, la costruzione di un sistema economico fondato sugli interessi del 99% deve passare per forza dalla conquista di queste istituzioni. La retorica del "con ogni mezzo necessario" e la totale adattabilità delle strategie sovversive è funzionale a questo fine.


  • "Il primo passo nella rivoluzione operaia è la conquista della democrazia."


Ci potrebbe sembrare di trovarci davanti ad un paradosso: Stato e potere sono organi fluidi e contestabili, ma al tempo stesso saldamente nelle mani della classe al potere. Come facciamo ad uscire da questo circolo vizioso?


  • "Lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale. Eccezionalmente tuttavia, vi sono dei periodi in cui le classi in lotta hanno forze pressoché uguali, cosicché il potere statale, in qualità di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di fronte ad entrambe."


L'obiettivo dovrebbe essere quello di arrivare a quei periodi "eccezionali", in cui il potere delle classi sociali si equivale, in modo riproducibile e autosostenibile. Una situazione del genere può avvenire solo in presenza di un embrione di potere alternativo nel grembo della società – che abbiamo definito appunto Contropotere.


Nel concreto, stiamo parlando di una rete di coordinamento che coinvolga tutte le lotte dislocate nella fabbrica sociale e che, al tempo stesso, alimenti una versione prototipica della società del futuro.

Le organizzazioni operaie del Novecento, i programmi sociali delle Black Panther, le comunità queer e di sex worker, le Società di Mutuo Soccorso – tutti questi sono esempi concreti di Contropotere.

La versione leninista di queste contro-istituzioni si traduce nei Soviet, descritti così dallo stesso Lenin:


  • "Le caratteristiche fondamentali di questo tipo [di potere alternativo] sono: (1) la fonte del potere non è una legge precedentemente discussa e promulgata dal parlamento, ma l'iniziativa diretta del popolo dal basso, nelle sue aree locali; (2) la sostituzione della polizia e dell'esercito, che sono istituzioni avulse dal popolo e poste contro il popolo, con l'armamento diretto di tutto il popolo; L'ordine nello Stato sotto un tale potere è mantenuto dagli stessi operai e contadini armati, dal popolo armato stesso; (3) l'ufficialità, la burocrazia, sono analogamente sostituite dal governo diretto del popolo stesso o almeno poste sotto un controllo speciale; non solo diventano funzionari eletti, ma sono anche soggetti a essere richiamati alla prima richiesta del popolo; sono ridotti alla posizione di semplici agenti pubblici.”


Si tratta della più alta forma di democrazia: la sorveglianza popolare delle istituzioni politiche, l'abolizione del monopolio statale sui mezzi di violenza e la legittimazione della diretta iniziativa della maggioranza.


Il Contropotere presuppone che la conquista dell’egemonia sociale avvenga in preparazione alla conquista delle istituzioni, così da disporre di una rampa di lancio che ci permetta di reggere l'urto della transizione economica e dello scontro aperto con la classe nemica.

L’egemonia sociale si costituisce al di fuori delle istituzioni sociali, sì, ma questo non significa che l’embrione del futuro debba mantenersi distante dalle istituzioni. Ogni conquista, per radicarsi, dev’essere necessariamente istituzionalizzata; al contempo, ogni istituzionalizzazione alimenta nuove possibili conquiste.

I Movimenti devono trovare un proprio equilibrio politico all’interno di questa relazione dialettica, una giusta proporzione tra il mettere pressione al potere dall'esterno e trovare buoni leverage all'interno delle sue contraddizioni strutturali, tra le lotte dal basso e la governance delle istituzioni conquistate, tra la costruzione di potere alternativo e la conquista del potere costituito.

Il Contropotere si innesta nelle contraddizioni, nella crepa tra un parziale assorbimento istituzionale e un acceso conflitto sociale.


Quando le nostre contro-istituzioni sono sufficientemente solide e in grado di imporre gli interessi delle classi oppresse e sfruttate, si crea una situazione di Doppio Potere, un contesto in cui i due poli di potere contrapposti – quello della classe dominante e quello delle classi oppresse – si equivalgono.

Fu proprio questo l'aspetto sottolineato da Lenin nei mesi immediatamente precedenti alla Rivoluzione d'Ottobre.


  • "Cos’è questo doppio potere? In parallelo al Governo Provvisorio, il governo della borghesia, un altro governo è emerso, per ora debole e in fase embrionale, ma indubbiamente un governo che esiste concretamente e che è in crescita – i Soviet dei Lavoratori e dei Soldati."


La contesa del potere tra le due classi si sublima dunque nel Doppio Potere: un Potere costituito traballante ed un Contropotere sviluppato in maniera alternativa.


Per riprodurre una situazione del genere, è fondamentale captare ogni novità politica, sociale, economica e culturale che fuoriesce dalle logiche di profitto.

Per evitare di perdere il contatto con le masse oppure di essere presi in controtempo dalla classe al potere, dobbiamo riappropriarci di ogni singola innovazione prodotta dalla società. Altrimenti, assisteremo alla putrefazione del nostro agire politico, che rimarrà attaccato a nostalgie, feticci e zone di comfort, invece di sperimentare col nuovo ed esplorare le potenzialità emancipative di ogni angolo della vita sociale.


I Movimenti odierni hanno il vizio di ignorare le novità introdotte dal capitale, barricandosi in una sterile critica disimpegnata alle nuove tecnologie e alle novità culturali, considerate inevitabilmente corrotte.

Così, però, non facciamo altro che regalare spazio di azione al capitale. Se non captiamo le novità, non potremmo mai cogliere al volo la corda con cui impiccare i capitalisti.

Un Contropotere efficace è sempre proiettato in avanti, al futuro, e si ritaglia il tempo e lo spazio giusto per sperimentare.


A questo punto, abbiamo visto altre due importanti componenti della legacy pratico-strategica di Lenin: la costruzione del Contropotere e l'utilizzo di ogni mezzo necessario, di ogni contraddizione possibile, per drenare il potere dei capitalisti ed indebolire le loro strutture istituzionali. La rivoluzione va costruita, ed il Contropotere è l'edificio eretto dall'incessante attività rivoluzionaria del Movimento.

III.

Lenin Superato: Ripensare la Disciplina

Le critiche alla presunta rigidità e verticalità leninista non sono del tutto fuori luogo. Lenin enfatizza diverse volte che una delle chiavi di svolta di un Movimento di successo è la disciplina.


  • “In tutte queste aziende, la tecnica impone la più rigorosa disciplina, la più grande puntualità nell'adempimento della parte di lavoro assegnata a ciascuno, pena l'arresto di tutta l'impresa o il deterioramento del meccanismo o delle merci.”


  • “Chi indebolisce, anche solo un po ‘, la disciplina del partito del proletariato effettivamente aiuta la borghesia contro il proletariato.

    “L’esperienza della vittoriosa dittatura del proletariato in Russia ha dimostrato con evidenza a coloro che non sanno pensare o non hanno mai dovuto meditare su questo problema, che una centralizzazione assoluta e la più severa disciplina del proletariato sono condizioni essenziali per la vittoria sulla borghesia.”


  • “È certo che ormai quasi tutti vedono che i bolscevichi non si sarebbero mantenuti al potere, non dico due anni e mezzo, ma nemmeno due mesi e mezzo, se non fosse esistita una disciplina severissima, veramente ferrea del nostro partito.”


Addirittura, Lenin spesso afferma che solo la classe operaia possiede la diligenza e la disciplina necessarie a portare sulle proprie spalle l’imponente peso della rivoluzione. Lo fa, di riflesso, psicanalizzando gli atteggiamenti politici “piccolo-borghesi”.


  • “[...] il piccolo padrone, che sotto il capitalismo soffre una continua oppressione e, molto spesso, un peggioramento incredibilmente brusco e rapido delle sue condizioni di vita e la rovina, si abbandona con facilità a sentimenti rivoluzionari estremi, ma non è capace di dimostrare fermezza, organizzazione, disciplina, tenacia.”


Sappiamo bene che, nella maggior parte dei casi, una forte enfasi sull’importanza della disciplina e della fatica non va particolarmente d’accordo con il nostro anti-lavorismo. L’idealizzazione della fatica è spesso uno strumento atto a soffocare ogni tentativo di progresso delle condizioni lavorative sociali.

L’aspetto disciplinare del leninismo è senza dubbio in contrasto con le forme che il Movimento dovrebbe assumere oggigiorno.


Vogliamo far notare, però, che è possibile superare questa contraddizione partendo proprio dagli stessi presupposti del leninismo, in particolare dall’interpretazione del processo rivoluzionario che abbiamo sottolineato nei capitoli precedenti.


Prima di tutto, abbiamo bisogno di contestualizzare il concetto di disciplina.


In uno dei suoi rari momenti teorici brillanti, il post-strutturalismo francese ci ha fornito un’analisi particolarmente utile sul rapporto tra le strutture istituzionali e gli individui in un dato periodo storico. Ogni sistema ha bisogno delle istituzioni – dei luoghi di potere “concentrato” – per assoggettare la società a delle specifiche logiche.

Le interazioni tra individui e sistema devono essere riproducibili nel tempo e nello spazio, ed ogni istituzione duratura deve funzionare da persona a persona, di generazione in generazione.


Prima dell’ascesa delle fabbriche, del capitale industriale e del dominio capitalistico, la società governava gli individui attraverso la minaccia della morte. In breve, il re aveva la libertà di terminare l’esistenza di chiunque mettesse in pericolo l’ordine sociale del suo regno.

Queste si chiamano società sovrane, perché regolamentate a discrezione del re, il sovrano del territorio.


Dopo la Rivoluzione Industriale, invece, ci troviamo davanti a delle società disciplinari.

L’industrializzazione ha permesso alle istituzioni di modellare più facilmente il tempo e lo spazio sociale, e dunque queste nuove società sono dominate da istituzioni chiuse che regolano il corpo degli individui, determinando dove può stare, che movimenti compiere e quando gli è permesso di parlare.

Il tutto agisce in funzione delle prerogative del gigante apparato industriale e di fabbrica emergente. Le scuole, gli ospedali, le prigioni, i Parlamenti moderni, i collegi e via dicendo, sono tutti esempi di istituzioni disciplinari.


Circondati da una società con questo tipo di regolamentazione istituzionale, i Movimenti Operai e i partiti anticapitalisti del Novecento hanno fatto di necessità virtù. Siccome la rivoluzione si fa con le persone realmente esistenti – e quindi disciplinatei Movimenti hanno provato a costruire del leverage attorno alla disciplina di fabbrica, così da poter tirare fuori il massimo dalle lotte operaie.

Non è strano, dunque, che il leader della Rivoluzione più significativa del Novecento ponesse particolare accento sul tema della disciplina.


Dalla rivoluzione russa, però, è passato un secolo, e la società disciplinare ormai non esiste più.

Questo non significa che non esistano più le scuole, le prigioni o altre singole istituzioni storicamente disciplinari, o che la società abbia abbandonato completamente il concetto di disciplina. In generale, però, le strutture istituzionali che regolano il flusso delle interazioni tra individui e sistema si muovono su delle logiche nuove.


Oggi ci troviamo davanti alla società del controllo. In questo caso, non sono i corpi ad essere regolati, ma l’accesso di un individuo alle stesse istituzioni.


Negli anni ‘60-’70, i Movimenti giovanili sessantottini hanno portato all’erosione delle istituzioni disciplinari. Oggi, le maestre non ci bacchettano più a scuola, in famiglia si usa sempre meno violenza per “educare” lə figliə e la gente non fa sesso con la sola intenzione di fare figli.

Nello stesso periodo, l’automazione dei processi produttivi e la digitalizzazione della società ha dato vita ad algoritmi sempre più sofisticati, in grado di precludere l’accesso alle istituzioni sociali in modo impersonale ed economico.


La sublimazione di queste due dinamiche ha creato una società in cui il controllo semi-automatizzato ha preso il posto della disciplina imposta.


Per fare la rivoluzione con le persone di adesso, è inutile concentrarsi sulla disciplina, una forma di riproduzione sociale quasi completamente superata.

I Movimenti vincono quando offrono qualcosa di nuovo alla società, non quando provano a tornare ad un passato irriproducibile.

Dobbiamo accettarlo: la disciplina non è più un fattore vincente per le lotte politiche. Così come il sistema è riuscito a rendere più sofisticati i suoi sistemi di controllo, anche le nostre strutture di Movimento devono trasformarsi per adattarsi alle condizioni oggettive che ci circondano oggi.


Insomma, possiamo buttare l’acqua sporca senza buttare il bambino. Gli insegnamenti di Lenin ci impongono di creare delle contro-istituzioni progettate su misura per la situazione odierna e dunque, di superare anche la sua celebrazione della disciplina.


Liberarsi della disciplina però non è abbastanza: un Movimento rivoluzionario ha comunque bisogno di regole chiare ed efficaci. Fin troppo spesso, gli spazi sociali vivono rinchiusi nell’illusione che il potere non esista, e che dunque non ci sia bisogno di darsi delle regole chiare da seguire con costanza.

L’istituzione di regole, principi e modus operandi collettivi e universali è un tabù nei circoli della sinistra radicale che, egemonizzata dai neoanarchici, ripudia ogni solida struttura, etichettandola come un’imposizione di potere soffocante.


Dobbiamo quindi risignificare la disciplina in Lenin.

Come possiamo costruire delle interazioni funzionali tra lə militantə e potenziali strutture stabili e regolamentate, senza però soffocare la libera iniziativa individuale? Come si supera l’impasse tra la Vecchia Sinistra che si esaltava nel rigore più severo e la Nuova Sinistra, che si è rivelata incapace di dare solidità al proprio agire politico?

Come costruire un set di regole, principi e modelli di desiderio in grado di coordinare lə singolə militanti e creare entusiasmo collettivo?


Domande del genere dovrebbero quantomeno circolare nelle assemblee di 5 ore del martedì sera.

IV.

Mandare in Overdose il Sistema

Come abbiamo visto, per Lenin la rivoluzione va costruita su condizioni materiali ed oggettive, oltre ogni forma di ingenuo utopismo. Ogni mezzo è necessario, ogni contraddizione è utile a costruire leverage e a contestare il potere ai padroni.


La costruzione di un'impalcatura di Movimento, però, così come la conquista del potere e la lotta per la transizione storica, dev'essere funzionale ad un obiettivo chiaro.

Cosa fa effettivamente una rivoluzione? Qual è il nostro obiettivo materiale? Come si "abolisce lo stato presente delle cose"?

In altre parole, come si supera il capitalismo?


Sappiamo bene che, da sole, le riforme non funzionano. Al contempo, fuggire dal capitalismo è una soluzione impraticabile.


L'unica alternativa rimasta, a questo punto, sembrerebbe un cieco insurrezionalismo, capace di distruggere il sistema senza necessariamente superarlo o costruire un futuro migliore.

Per quanto un momento forte di rottura, anche insurrezionale, sia incredibilmente importante, la sola decostruzione non può essere una soluzione valida.


In realtà, un'alternativa esiste, ed è forse la più importante legacy della sinistra operaia.

La lotta di classe e lo scontro sociale, devono spingere le potenzialità nascoste del sistema oltre i limiti imposti dalle sue logiche.

La contesa per il potere finisce a favore di una o dell'altra classe a seconda di chi è in grado di mobilitare le forze concrete, produttive e materiali della società a favore dei propri interessi.


Lenin, quindi, riconosce una realtà oggettiva che la sinistra radicale contemporanea spesso ignora nel tentativo abbozzato di criticare il capitalismo. Le prospettive di una produzione comune, autogestita, abbondante, pianificata e distribuita secondo le esigenze e i desideri collettivi, sono possibili proprio grazie all'immensa potenza produttiva del capitale. Il nostro obiettivo è quello di riprogrammare questo apparato produttivo con delle nuove logiche, nuovi incentivi e nuovi vincoli.


  • "Il socialismo è inconcepibile senza l'ingegneria capitalistica su larga scala basata sulle ultime scoperte della scienza moderna. "


  • "Organizziamo la grande industria partendo da ciò che il capitalismo ha già creato; organizziamola noi stessi, noi operai, forti della nostra esperienza operaia.”


Questa posizione non va confusa con lo sterile produttivismo generato in seguito dal realismo socialista sovietico (un realismo spento da ogni immaginazione, che rifletteva la transizione economica "a metà" compiuta dall'Urss).


Ai tempi di Lenin, gli esiti dello scontro sociale si riflettevano nella maggior o minor partecipazione sociale e operaia nei processi di industrializzazione. Questa partita si articolava in una sfida più ampia, una corsa all’industrializzazione tra grandi sistemi – corsa, tra l’altro, vinta dall'Unione Sovietica (almeno fino agli anni ‘60-’70).

Purtroppo questo scontro ha reso i Movimenti Operai spesso ciechi davanti alle istanze ecologiste per seguire un cieco produttivismo.

Oggi, invece, possiamo evitare questo perché la sfida è orientata verso la liberazione dell'abbondanza e la riconversione della produzione in chiave sociale ed ecologica. Non si tratta più di cieca crescita economica, ma dell’uso sociale, democratico e collettivo della ricchezza (prodotta, in questo caso, dalle piattaforme tecnologiche digitali, dal sapere, dalla condivisione dei dati e dall'automazione dei processi produttivi).


La forma in cui la partita si manifesta può cambiare, ma lo scontro di sottofondo è sempre lo stesso. L’obiettivo è portare l'apparato produttivo, istituzionale e tecnologico del capitalismo oltre i limiti imposti dalle logiche di profitto, dallo sfruttamento economico e dall'oppressione classista.


Questa dinamica coinvolge in primis i luoghi della produzione, ma si riversa anche nelle istituzioni sociali. Se l’apparato produttivo, infatti, è incaricato di mettere in moto i processi di accumulazione di capitale, le istituzioni hanno invece il compito di riprodurre le condizioni di esistenza del sistema.

Dunque anche l’apparato istituzionale va portato oltre i limiti imposti dalle contraddizioni sistemiche.


Per Lenin, come abbiamo visto prima, lo Stato è il baricentro dell'apparato istituzionale dedicato alla riproduzione del sistema; dunque, possiamo considerare Stato e istituzioni come due concetti omologhi.

Lenin non ha intenzione di abbandonare o distruggere acriticamente l'apparato istituzionale del capitalismo. Così come la produzione capitalistica rappresenta una rampa di lancio fondamentale per arrivare al comunismo, anche le istituzioni sociali capitalistiche rappresentano un importante terreno di conquista.

I semi per una riproduzione della ricchezza non-coercitiva, che rigetta sfruttamento e privilegi, vanno seminati all’interno dell’apparato istituzionale odierno.


  • "La civiltà capitalistica ha creato la grande produzione, le officine, le ferrovie, la posta, il telefono ecc...; e su questa base, l'immensa maggioranza delle funzioni del vecchio potere statale possono essere ridotte a così semplici operazioni di registrazione, iscrizione e controllo da poter essere benissimo compiute da tutti i cittadini per salari da operai."


Prendiamo, ad esempio, la forma istituzionale più comune del capitalismo "avanzato" – la repubblica "democratica".

Si tratta di un’Istituzione rappresentativa, che nel pratico regola i processi decisionali politici. Nelle mani della classe al potere, è dunque un potente strumento di controllo politico dall'alto.

Questo, però, non significa che la soluzione sia disfarsi della rappresentanza o "ripudiare la democrazia" in quanto stampella del capitale.


  • "La via per uscire dal parlamentarismo non è nel distruggere le istituzioni rappresentative e il principio dell'eleggibilità, ma nel trasformare queste istituzioni da mulini di parole in organismi che lavorino realmente."


  • "Non possiamo concepire una democrazia, sia pure una democrazia proletaria, senza istituzioni rappresentative, ma possiamo e dobbiamo concepirla senza parlamentarismo:"


Il concetto strategico forse più importante di Lenin è quello della "trasformazione della quantità in qualità":


  • "La Comune [ovvero il primo esperimento di democrazia operaia] avrebbe dunque "semplicemente" sostituito la macchina statale spezzata con una democrazia più completa: soppressione dell'esercito permanente, assoluta eleggibilità e revocabilità di tutti i funzionari.

    In realtà ciò significa "semplicemente" sostituire a istituzioni di un certo tipo altre istituzioni basate su principi diversi.

    È questo precisamente un caso di "trasformazione della quantità in qualità": da borghese che era, la democrazia, realizzata quanto più pienamente, è diventata proletaria. Lo Stato dunque s'è trasformato in qualche cosa che non è più propriamente uno Stato.”


Come diceva lo stesso Foucault – che non era un grande leninista, così come Lenin c'entra decisamente poco con Foucault – il potere si attiva solo a contatto con una resistenza. Senza una costante lotta di classe di sottofondo, il sistema e la classe che detiene il potere iniziano a marcire.


Il capitalismo è fondamentalmente dipendente dal conflitto di classe. Le sue migliori performance avvengono solo sotto la minaccia esplicita di esproprio e di rivoluzione. Lenin ci sta spiegando come superare il capitale: se siamo la droga del sistema, il nostro obiettivo è provocare un overdose.


Sotto questa prospettiva, l’intero impianto teorico-strategico leninista assume un senso. La costruzione delle strutture di Movimento serve a dare stabilità e concretezza alle forze produttive che manderanno in cortocircuito il capitalismo; ogni mezzo è necessario per aprire una breccia nell'organismo del sistema; e il Contropotere – come ogni overdose – dev'essere simultaneamente assorbibile e insostenibile per le vene del capitale.


Lenin è spesso associato a immagini, concetti e allusioni che non dovrebbero avere un posto nei Movimenti: la burocratizzazione eccessiva, il verticismo autoritario, la feticizzazione dello Stato e la strumentalizzazione del "bene collettivo" per reprimere il dissenso. E, sicuramente, non neghiamo che un Movimento impostato in modo rigido sul solco leninista riprodurrebbe queste problematiche.

Ma non ha senso dichiarare la morte del leninismo per risolvere queste problematiche. Con tutte le contraddizioni del caso, i Movimenti operai e anticapitalisti formatisi sotto l’egemonia dell’Unione Sovietica sono quelli che, finora, sono andati più vicini al superamento del sistema.


La vera soluzione, dunque, è riscoprire Lenin in un’ottica contemporanea. Lenin ha colto in pieno le dinamiche politiche e sociali della lotta di classe, e in questo modo è stato capace di sviluppare strategie sovversive, realistiche e creative.


Se vogliamo superare l'impasse dei Movimenti odierni, non possiamo più ignorare le basi strategiche e teoriche di chi ha fatto tremare le classi al potere per più di mezzo secolo.