15/11/2024
La Tecno-Distopia
Una Distopia Inedita in un Sistema in Putrefazione
#tecnologia
Una Distopia Inedita in un Sistema in Putrefazione

Com’è possibile vivere in una distopia e al contempo far parte del sistema più produttivo e tecnologicamente avanzato della storia umana? Com’è possibile distruggere il pianeta che ci ospita proprio nel momento in cui conosciamo più accuratamente i suoi processi di rigenerazione? Com’è possibile morire di stenti circondati dal lusso? La risposta è semplice. Nel corso degli anni, la società del profitto ha creato una strana forma di distopia sociale - la tecno-distopia.


Oggi, infatti, la violenza e l'oppressione che subiamo non sono una conseguenza della lotta per la sopravvivenza. Al contrario, sono la scarsità economica e la necessità di sopravvivere che vengono mantenute in piedi in modo artificioso dal sistema.


Produciamo più cibo di quel che è necessario, abbiamo vestiti in abbondanza per 6 generazioni, ci sono più case vuote che persone senzatetto, più medicine prodotte che malattie in circolazione. In una situazione del genere la lotta per la sopravvivenza e la competizione dovrebbero essere un ricordo del passato – cosa mi serve competere con altre persone quando c’è tutto per tuttə?

Il problema è che il capitalismo non può fare a meno della competizione, che è la dinamica principale su cui si sorreggono mercati e denaro; né può permettersi di soddisfare le esigenze delle persone, altrimenti salterebbe il processo di coercizione che le costringe a lavorare per un padrone.


L'abbondanza viene dunque repressa dal sistema, nonostante sia proprio il suo apparato produttivo a renderla possibile.

In questo conflitto tra abbondanza potenziale e scarsità artificiale si trovano i semi che danno vita alla tecno-distopia.


Questa forma di distopia sociale è dilaniata da contraddizioni interne e irrisolvibili.


Con una mano sfrutta quanta più manodopera precaria possibile, mentre con l’altra se ne disfa appena la tecnologia si dimostra in grado di sostituirla; da una parte, ricerca ossessivamente un aumento della quantità di ricchezza prodotta dalla collettività, e, dall’altra, reprime ogni tentativo di superare la barriera della scarsità; l’attività umana é costantemente assorbita dalle sue logiche, e, nel frattempo, la cosiddetta “popolazione in eccesso” viene brutalmente relegata nei margini; i salari devono essere bassi per lasciare spazio ai profitti, ma al tempo stesso abbastanza alti da assorbire l’enorme volume della produzione e non lasciare le merci sugli scaffali.


Insomma, questo sistema vuole stare con due piedi in una scarpa.


Nonostante tutto, però, la tecno-distopia si regge in piedi perchè è in grado di convincerci che la situazione sia sotto controllo, che tutto proceda razionalmente e che basti solo mettere le persone competenti al posto giusto perché tutto fili liscio.

Una capacità del genere è sicuramente affascinante, ma la realtà che si nasconde dietro l'ideologia è terrificante.


Per mantenere l’illusione che sia tutto sotto controllo, la tecno-distopia si serve di tanti burattini che lavorano giorno e notte per farci accettare qualsiasi cosa stia combinando chi sta al potere.


Questi burattini ci dicono che l’economia è come una grande famiglia, ma noi non ne siamo molto convintə.

Cosa succederebbe ad una qualsiasi famiglia (funzionale) in un periodo di difficoltà economica? Chi ha un po’ di più vedrà una parziale diminuzione della sua ricchezza, per garantire che chi ha un po’ di meno riesca comunque a risollevarsi. In genere, si troverebbero sicuramente delle formule sensate per equidistribuire il peso della crisi.


Nella società del profitto, però, le cose non funzionano così. Anzi - la crisi è un’opportunità per inasprire le disuguaglianze pre-esistenti, per spremere profitti anche in situazioni socialmente catastrofiche.

Siamo in una crisi strutturale dal 2008, una crisi che nel tempo si è aggravata, ma che trova costantemente nuovi modi di trasferire le ricchezze dal basso verso l’alto. Questa è l’espressione più pura della tecno-distopia: non solo siamo in crisi in un contesto di potenziale abbondanza – una situazione insensata – ma la classe al potere riesce a sfruttare questa crisi per monopolizzare ulteriormente la ricchezza collettiva. Il contrario di quello che farebbe una famiglia in difficoltà.


Dal 2020 ad oggi, in soli 4 anni, i 5 miliardari più ricchi al Mondo hanno raddoppiato le loro ricchezze; per ogni euro di nuova ricchezza prodotta collettivamente, 70 centesimi sono finiti direttamente nelle viscide mani dell’1%.

I nostri redditi sono stati quasi tutti erosi dall’inflazione e dalla disoccupazione di massa, mentre i “modestissimi” profitti delle Grandi Multinazionali hanno visto un boost dell’80%.

Ma, soprattutto, nonostante la ricchezza globale sia aumentata di 25.000 miliardi di dollari, ben 5 miliardi di persone sono più povere oggi di quanto fossero 5 anni fa.

Di questo passo, la povertà verrà eradicata tra 250 anni - ovvero mai, visto che questi obiettivi “utopici” chiaramente non rientrano nelle priorità della società del profitto.


Insomma, siamo davanti all'ennesimo massiccio esproprio di ricchezze da parte dell’1% ai danni del 99%. Parliamo di ricchezza a difesa di altra ricchezza. I 25.000 miliardi di dollari prodotti negli ultimi cinque anni sono serviti unicamente a difendere i privilegi e il potere di chi sti soldi se li è intascati, ovvero l’1%, e, soprattutto, a trovare metodi efficaci per continuare a sgretolare le misere ricchezze del 99%.


Forse non ce ne rendiamo conto, ma 25.000 miliardi sono tanti soldi. Veramente tanti.

Se li distribuissimo equamente in tutto il mondo, la qualità di vita di ognuno di noi aumenterebbe di migliaia di dollari all'anno. E questo in un periodo di crisi.

Stiamo parlando di 25.000 miliardi di nuovi mezzi pubblici capillari, ospedali, fondi per la transizione ecologica, welfare di base, cibo, acqua, case.


Il tutto soltanto contando l’aumento della ricchezza prodotta, senza considerare alcuna forma di redistribuzione della ricchezza già esistente.

Ad esempio, se i soldi che vanno a finire nell’industria della guerra fossero requisiti, porteremmo a casa un bottino di 3.000 miliardi di euro – la somma tra le spese militari globali e il giro d’affari del mercato bellico.

E, ancora, se attuassimo un esproprio di tutti i finanziamenti forniti dalle banche all'industria fossile, dal 2015 ad oggi, ci ritroveremo tra le mani più di 5.000 miliardi. Cifre concrete, che fanno capire che potremmo vivere in un mondo migliore se solo il capitale e la classe al potere non fossero tra i piedi, se l’apparato produttivo fosse a disposizione della collettività e non di pochi ricchi.


La società del profitto non è sostenibile. Non possiamo pensare di contrastare le crisi che attanagliano la nostra generazione in un sistema dove i ricchi usano i jet privati come se fossero biciclette.

Non possiamo continuare ad assecondare i vizi dell’1%, non possiamo guardarli mentre consumano per sempre le risorse della Terra, non possiamo tollerare la schiavitù moderna su cui si basa la produzione economica di oggi.


Pur di scongiurare un futuro fatto di abbondanza, di emancipazione, di uguaglianza radicale e di comunità aperte, la società del profitto è pronta a farci la guerra, a ridurci alle forme più estreme di povertà e disuguaglianza, fino a distruggere il pianeta stesso. È così che nasce una distopia sociale nel bel mezzo del lusso sfrenato.


La nostra lotta deve tornare alla sua essenza, espressa con semplicità e chiarezza: abbiamo il dovere di conquistare quel futuro di abbondanza ecologicamente sostenibile che il capitale ci nega quotidianamente.